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Giudiziaria

“Mi manda la Stidda”: in Lombardia condannati due gelesi per tentata estorsione e incendio doloso

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Due muratori gelesi di 42 e 55 anni (residenti a Busto Arsizio e a San Donato Milanese), sono stati condannati, in primo grado, dal Tribunale di Lodi rispettivamente a due anni e mezzo per tentata estorsione e a cinque anni per incendio doloso. Cinque anni di reclusione anche per un 51enne di Melegnano, anche lui muratore. Il processo ha fatto luce sui due incendi del 27 maggio e del 4 giugno 2019 nei cantieri di via Trieste e di via Gogol ai danni di un’impresa edile di San Giuliano Milanese e per un tentativo di estorsione da 150mila euro nei confronti del suo titolare. In quelle occasioni, un autocarro era stato distrutto dal fuoco, un altro aveva subito ingenti danni ed era andato in fiamme anche un container adibito a ufficio e contenente attrezzature e documentazione. Furono i carabinieri del Ris a trovare Dna e impronte di due degli indiziati tra i reperti sequestrati dopo gli incendi. La richiesta estorsiva, avvenuta presso la sede legale della società di costruzioni, aveva preceduto di alcune settimane gli incendi nei cantieri ed era seguita a un incendio degli stessi uffici di cui non sono stati invece individuati gli eventuali responsabili, e sarebbe stata accompagnata dalla frase “mi manna a Stidda”. Le indagini della Procura di Lodi hanno, però, escluso la matrice mafiosa degli episodi e anche rapporti tra il costruttore e la criminalità organizzata. Il movente ritenuto più probabile dalla pubblica accusa sarebbe invece una richiesta di aiuto finanziario da parte di un altro imprenditore edile, che era rimasta inascoltata. Ma, per carenza di indizi sufficienti, non sono stati perseguiti né quell’imprenditore né i soggetti che, stando a ipotesi investigative, potrebbero aver fatto da tramite tra di lui e i presunti autori dei reati commessi.

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Giudiziaria

Un’azienda di Gela si aggiudica il servizio di cattura, ricovero di cani randagi a Caltagirone

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Catania – Legittima l’aggiudicazione dell’appalto del servizio di cattura, mantenimento di cani randagi disposta in favore di un canile di Gela per il canile di Caltagirone.

Questa la sentenza pronunciata dal Tar di Catania: la società gelese D.V. srl. potrà avviare, in favore del Comune di Caltagirone, il servizio di cattura, ricovero e mantenimento di cani randagi nella propria struttura.

Nell’aprile 2024 il Comune di Caltagirone indiceva una procedura di gara aperta per l’affidamento per la durata di un anno del servizio di cattura, ricovero e mantenimento dei cani randagi di proprietà del Comune. Nell’ambito della procedura hanno presentato le offerte: la società V.Srl. U., con sede a Caltagirone, che presentava un ribasso dello 0,27% sul prezzo a base d’asta, sia la società D.V. srl., con sede legale in Gela, che presentava un’offerta al ribasso del 2,10%, aggiudicandosi così l’appalto. Ritendo illegittima l’aggiudicazione della gara disposta in favore della società gelese, la società V. srl U. proponeva un ricorso giurisdizionale innanzi al T.A.R. Catania chiedendo l’annullamento della delibera di aggiudicazione dell’appalto e dei successivi atti di gara adottati dal Comune di Caltagirone, oltre il risarcimento del danno per l’asserita perdita dell’appalto.

A sostegno del ricorso proposto, la società ricorrente sosteneva che la società aggiudicataria al momento della presentazione dell’offerta non disponeva di tutti i posti necessari per ospitare i cani (125) presso la propria struttura. Avverso l’ azione si sono costituiti in giudizio, sia la società gelese aggiudicatrice, con il patrocinio degli Avv.ti Girolamo Rubino e Massimiliano Valenza, sia il Comune di Caltagirone difeso dall’Avv. Giovanni De Nigris.

Gli Avv.ti Rubino e Valenza hanno rilevato l’infondatezza del ricorso, eccependo in giudizio che la struttura aggiudicataria del servizio di ricovero e cattura di cani randagi, nelle more dell’espletamento della gara, aveva presentato al Comune di Butera la segnalazione certificata di inizio attività per la realizzazione di un rifugio capace di ospitare ben 503 cani e, dunque, anche i 125 cani randagi di proprietà del Comune di Caltagirone ed oggetto della procedura di appalto in questione.

I legali, inoltre, deducevano in giudizio, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, che il bando di gara prevedeva ai fini della partecipazione unicamente di dimostrare la capacità tecnico-professionale sul servizio effettuato negli ultimi tre anni a favore di enti pubblici e che, pertanto, la disponibilità di una quantità di posti sufficienti ad ospitare i cani oggetto del bando di gara doveva ritenersi un requisito di esecuzione del servizio, il quale avrebbe potuto certamente conseguirsi anche dopo l’aggiudicazione dell’appalto.

La sentenza del 04.10.2024, condividendo le argomentazioni difensive sostenute dagli Avv.ti Rubino e Valenza, il TAR-Catania ha osservato che, in base alla normativa di riferimento ed al bando gara, la disponibilità della struttura di ospitare i cani randagi previsti dal bando, non costituiva un requisito di partecipazione al momento della presentazione della domanda, bensì un “requisito di esecuzione”, ovvero una condizione che assume rilievo ai soli fini dell’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali da parte dell’aggiudicatario e non incidente sulla fase di valutazione dell’ammissibilità delle offerte. Con la predetta pronuncia inoltre il TAR-Catania ha ritenuto che, in ogni caso, la contestata dichiarazione non avrebbe avuto in alcun modo influenza sulla decisione della stazione appaltante e, conseguentemente, ha rigettato il ricorso proposto dalla società V.srl U., condannandola anche alla refusione delle spese di lite in favore della società D.V. srl.

Per effetto della pronuncia la società gelese D.V. srl. potrà avviare, in favore del Comune di Caltagirone, l’esecuzione del servizio di cattura, ricovero e mantenimento di cani randagi presso la propria struttura.

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Processo Montante: la sentenza il 30 ottobre

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Roma – Rinviata al 30 ottobre la decisione della Corte di Cassazione per Antonello Montante, l’ex leader di Sicindustria condannato in appello dal Tribunale di Caltanissetta, a 8 anni di reclusione con rito abbreviato, per avere creato – secondo l’accusa – una rete di dossieraggio e di spionaggio per conoscere le indagini a suo carico. Lo ha deciso il presidente della Sesta sezione davanti alla quale sono stati discussi anche i ricorsi del capo della security di Confindustria Diego Di Simone condannato a 5 anni e il sostituto commissario Marco De Angelis condannato a 3 anni e 3 mesi. La procura generale della Cassazione aveva chiesto il rigetto dei ricorsi e la rivalutazione della pena della condanna in appello che potrebbe portare per Montante a uno sconto di qualche mese. Per gli altri due imputati rigetto totale dei ricorsi. Ha presentato ricorso anche il generale Gianfranco Ardizzone assolto in appello, con un reato dichiarato prescritto.

L’ex presidente storico di Confindustria Sicilia e paladino dell’antimafia, secondo le accuse mosse nei suoi confronti, avrebbe creato un sistema di spionaggio e ricatti tale da condizionare gli indirizzi della politica siciliana. Nelle motivazioni della sentenza di appello i giudici di Caltanissetta  hanno spiegato che “molte intercettazioni descrivono la ‘fama’ acquisita da Montante presso soggetti imputati, indagati o estranei ai fatti oggetto dell’indagine. Se ne ricava prova del fatto che in quegli ambienti e in contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacita’ di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici non tanto del territorio, ma della Regione e del Paese.

Ed era nota anche la sua complessa rete informativa”.  Un altro maxi processo si celebra contestualmente al Tribunale di Caltanissetta : contra di due filoni investigativi riuniti e che riguardano il presunto sistema che Montante  avrebbe organizzato utilizzando il favore di esponenti delle forze dell’ordine, rappresentati della politica e imprenditori. Iniziato con 30 imputati, il procedimento ne conta 26,  in quanto i termini della prescrizione dei reati sta cancellando, con il trascorrere del tempo, le risultanze dell’inchiesta portata avanti  dalla Squadra mobile di Caltanissetta e coordinata dalla Procura distrettuale.

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Il Tar di Palermo ha respinto la domanda di sospensione del calendario venatorio 2024/2025

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Palermo – Il Tar di Palermo ha respinto la domanda cautelare di sospensione del calendario venatorio 2024/2025 della Regione Siciliana proposta dal Legambiente Sicilia e da altre associazioni ambientaliste.

Con Decreto del 17 luglio 2024 l’Assessore Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea ha regolamentato l’esercizio del prelievo venatorio della stagione 2024-2025 e, con calendario ha autorizzato l’apertura anticipata della stagione venatoria (“preapertura”) nei giorni 1,2,4,7,8 e 11 settembre 2024 per alcune specie selvatiche di ucelli e, l’apertura generale della stagione venatoria a far data dal 15 settembre, anziché dal 1° ottobre 2024, per le altre specie animali cacciabili.

Lamentando un asserito stato di crisi e di emergenza ambientale, ecologica e climatica della Regione Siciliana, le Associazioni ambientaliste Legambiente Sicilia, Associazione Italiana Per Il World Fund For Nature (Wwf Italia) Onlus e LIPU, l’Ente nazionale protezione animali (enpa) onlus, la LNDC Animal protection, Lega per l’Abolizione della Caccia hanno impugnato il decreto n. 52/GAB del 17 luglio 2024, avanti al Tar -Palermo, chiedendone, previa sospensione dell’esecuzione, l’annullamento, nonché l’adozione di provvedimenti cautelari urgenti.

Avverso tale azione e al fine di intervenire in giudizio, si sono costituite le Associazioni: Unione Associazioni Venatorie Siciliane – UN.A.VE.S, con il patrocinio degli Avv.ti Girolamo Rubino e Massimiliano Valenza, LCS – Liberi Cacciatori Siciliani, l’A.N.CA. – Associazione Nazionale Cacciatori, l’Associazione Italcaccia Sicilia, Comitato Regionale Anuumigratoristi Sicilia, con il patrocinio dell’Avv. to Alfio Barbagallo, la Federazione Italiana della Caccia- Consiglio Regionale Sicilia e la Regione Sicilia- Assessore Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea, difesa dall’Avvocatura dello Stato, che hanno eccepito l’infondatezza delle argomentazioni sostenute dalle associazioni ricorrenti, nonché la mancanza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare ex art. 56 cpa.

Gli Avv.ti Rubino e Valenza, con l’atto di intervento, hanno eccepito come, contrariamente a quanto asserito dalle associazioni ambientaliste, la Regione Siciliana ha emanato un calendario venatorio, in relazione ai periodi ed alle specie cacciabili, pienamente rispettoso di quanto tassativamente previsto dall’art. 18 comma 1 L. 157/1992, recepito dalla L.R. n. 33/97., ovvero anche nel rispetto del principio di precauzione e di piena conservazione del patrimonio faunistico.Inoltre, detti legali hanno rilevato l’infondatezza della richiesta di adozione di misura cautelare avanzata dalle associazioni ricorrenti, in quanto essendosi già quasi pienamente svolta l’apertura anticipata della stagione venatoria non avrebbero potuto considerarsi sussistenti i presupposti di estrema gravita e urgenza richiesti per la concessione della misura cautelare.

Con decreto del 10 settembre scorso, condividendo le argomentazioni difensive sostenute dagli Avv.ti Rubino, Valenza, Barbagallo e dall’Avvocatura dello Stato, il Presidente Tar -Palermo, Sez. III, ha respinto la richiesta di adozione di provvedimenti cautelari ed urgenti ex art. 56 c.p.a. avanza dalle Associazioni ricorrenti, ed ha fissato l’udienza in Camera di Consiglio per la data 25 settembre 2024. Durante la fase cautelare collegiale in particolare gli Avv.ti Rubino e Valenza hanno ribadito l’infondatezza della pretesa cautelare richiesta dalle associazioni ambientaliste, ed altresì, hanno rilevato come, all’opposto di quanto asserito dalle predette associazioni, il parere Ispra reso in ordine al calendario venatorio avrebbe dovuto considerarsi un atto obbligatorio ma non vincolante per il potere di indirizzo esercitato dalla Regione, ed inoltre, le previsioni dettate nel calendario venatorio 2024/2025 con cui è stata anticipata l’apertura della caccia per alcune specie selvatiche, avrebbero dovuto considerarsi ad ogni modo in linea con il quadro normativo europeo dettato dalla direttiva 147/2009/CE.

Con ordinanza del 27 settembre scorso, condividendo le tesi difensive sollevate dagli Avv.ti Rubino, Valenza, Barbagallo e dall’Avvocatura dello Stato, il Tar -Palermo ha respinto la domanda cautelare avanzata dalla associazioni ambientaliste ed ha osservato come le previsioni del calendario venatorio delineate dall’Assessorato regionale, seppur in alcuni casi si discostano dal parere Ispra, devono considerarsi ragionevoli e in linea con il quadro normativo di riferimento, ed ha altresì fissato l’udienza di trattazione di merito del ricorso per la data del 4 dicembre 2024.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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