Cronaca

Ahi serva Gela. Ma che stavolta la “zona rossa” abbia un senso

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Il sindaco Lucio Greco aveva proposto un lockdown di dieci giorni. Il presidente della Regione Nello Musumeci, però, ha quasi raddoppiato: Gela sarà in “zona rossa” almeno fino al 31 gennaio. A quel punto si valuterà la situazione epidemiologica e si deciderà se allentare le restrizioni o prorogarle. Un provvedimento che a novembre si era riusciti ad evitare in extremis, ma che stavolta è stato impossibile non attuare. Troppo rapida l’ascesa della curva dei contagi, che ad oggi non sembra voler accennare alcuna diminuzione o attenuazione.

Le leggi. Nel momento in cui il premier Conte, a pochi giorni dalle festività, ha annunciato l’introduzione del Decreto Natale è apparso chiaro che il sistema avrebbe fatto fatica a reggere. Il balletto di colori tra giallo, arancione e rosso sembrava replicare l’intermittenza delle luci sull’albero di Natale, più che dare riferimenti chiari sugli effettivi comportamenti da mantenere. Nel Paese in cui “Fatta la legge si trova l’inganno”, questa massima è stata reinterpretata in maniera creativa da molti gelesi (ma non solo a Gela, lo precisiamo), che ben presto hanno capito come arginare la norma scritta per trascorre Natale e Capodanno come se nulla fosse, tra cenoni e giocate a carte. Le situazioni perfette per dare al virus l’opportunità di farsi largo indisturbato. Ed eccoci qua.

I controlli. Assenti o quasi. In tanti sui social hanno chiesto come sia stato possibile vedere nel corso degli ultimi mesi sempre gli stessi assembramenti nelle stesse zone della città. Vero è che numericamente le forze dell’ordine – alle quali va sempre la nostra stima e gratitudine per il lavoro che fanno – non possono coprire capillarmente ogni angolo della città. Ed è vero anche che per intercettare furbetti e trasgressori servirebbero provvedimenti da stato di polizia. Ma il mantra del sindaco e di tante altre istituzioni, «Chiederemo maggiori controlli», certifica proprio la percezione comune di una latenza. Ad esempio, il grande quesito: le centinaia di persone in isolamento domiciliare o in quarantena obbligatoria, vengono controllate? Da chi? Come? Oppure sono libere di andare in giro senza che nessuno sappia nulla? Perché è fin troppo chiaro comprendere a che tipo di conseguenze si andrebbe incontro sapendo che c’è un positivo (o più positivi) che va (vanno) in giro come se nulla fosse. Per dare un senso a questa “zona rossa” servono necessariamente controlli strutturati e costanti, perché la raccomandazione legata alle sole uscite per necessità non funziona in un luogo in cui c’è tanta gente attenta e scrupolosa, ma anche tanti altri restii al rispetto delle regole, in cui domina la spirtizza di chi continua a fare la propria vita come se non fossimo nella peggiore pandemia degli ultimi cento anni che anche a Gela, a differenza di marzo e aprile 2020, ha colpito e sta colpendo.

I comportamenti. Il tasto più dolente di tutti. Perché il rapporto tra la bellezza naturale e potenziale di un territorio e il senso di responsabilità dei suoi cittadini da noi è inversamente proporzionale. Non si è capita la portata storica, la gravità sociosanitaria e la necessità di un comportamento condiviso per uscircene quanto prima con il minor danno possibile. Il 4 maggio scorso, nel primo giorno di Fase Due, migliaia di gelesi invasero il lungomare. Non ci fu un contagio di massa perché si era in primavera, all’aperto e il virus in città praticamente non circolava. Stavolta era inverno, chiusi dentro le case e il virus circolava eccome. Evidentemente qualcuno non se n’era ancora accorto.

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