“Gela città dalle mille risorse, poco valorizzate. Bisogna puntare sui giovani”
“A Gela ho trovato una realtà vivace, sotto tutti i profili ed anche sotto l’aspetto dei reati commessi. E’ stato fatto un lavoro importante da parte dei miei Carabinieri del Reparto Territoriale che...

“A Gela ho trovato una realtà vivace, sotto tutti i profili ed anche sotto l’aspetto dei reati commessi. E’ stato fatto un lavoro importante da parte dei miei Carabinieri del Reparto Territoriale che non finirò mai di ringraziare per il loro impegno e la loro tenacia nell’attività di controllo del territorio ed investigativa. Francamente non mi sono mai annoiato, non c’era giornata che non succedesse qualcosa e l’aspetto più bello e stimolante allo stesso tempo era quello di riuscire ad identificare gli autori di un crimine ed assicurarli alla Giustizia”.
Sono passati ben sette anni, da quando con il grado di Maggiore, Valerio Marra ha lasciato la città del golfo per ricoprire altri ruoli che lo hanno successivamente portato a Roma e da qualche mese a questa parte a Rieti, dove con il grado di Colonnello guida il Comando Provinciale. Il suo affetto nei confronti della nostra città è rimasto immutato, così come quando nel 2013 giunse dal freddo Veneto, dove per cinque anni aveva comandato la compagnia di Conegliano, dopo le esperienze significative vissute al Nucleo Operativo Catania Piazza Lanza e a Mazara del Vallo. Cresciuto a Salve, un piccolo comune di poco meno di 4500 abitanti della provincia di Lecce, situato nel versante ionico del basso Salento, l’ufficiale dei Carabinieri, ricorda con piacere la sua permanenza a Gela, individuando tra i tanti, tre particolari momenti.
“Gli incontri con i ragazzi nelle scuole, tantissimi organizzati in quel periodo grazie alla disponibilità di dirigenti scolastici ed insegnanti. Poi, la predisposizione e l’allestimento di due stanze in caserma (una a Gela ed una a Niscemi) per l’ascolto delle donne vittime di violenza: fu un’iniziativa intrapresa a livello nazionale dal Soroptmist Club e dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri. L’inaugurazione delle stanze costituì un momento di riflessione su una problematica, quale quella dei “femminicidi”, oggi purtroppo ancora presente in Italia e terribilmente attuale. L’altro momento è la riapertura del posto fisso Carabinieri Gela Centro: fu un giorno di festa. L’Arma ritornava nella caserma di Piazza Roma dopo un breve periodo di “assenza” e grazie alla volontà dei cittadini e delle istituzioni che hanno fortemente voluto ed auspicato un presidio nel vivo e popolatissimo centro storico della città”.
Qual è invece l’episodio che vorrebbe rimuovere?
“Sicuramente quello dell’omicidio avvenuto una sera in una piazza affollatissima davanti alla chiesa madre alcuni giorni prima di Natale: era il 17 dicembre del 2015. Quell’omicidio (a cadere sotto i colpi dei killer fu Domenico Sequino, ndr), a distanza di alcuni mesi e con non poche difficoltà, fu scoperto grazie alla professionalità dei Carabinieri della Sezione operativa che certamente non potettero contare, nel corso delle indagini, sulla collaborazione di coloro che assistettero al delitto. Nessuna chiamata, neanche in forma anonima fu fatta all’epoca per cercare di indirizzare o fornire qualche indizio utile a chi indagava. Ecco, a distanza di anni, posso affermare che è proprio questo il ricordo che vorrei rimuovere dalla mia mente”.
I giovani gelesi, in più di un'occasione, hanno manifestato il loro disagio per una città che offre poco, soprattutto in ambito lavorativo. In tanti, troppi sono andati via in cerca di fortuna. Come e dove bisogna intervenire per frenare questa vera e propria emorragia?
“Io penso che Gela abbia delle potenzialità straordinarie, penso alla ricchezza del patrimonio culturale, archeologico in particolare, negli anni purtroppo depredato da tombaroli e saccheggiatori clandestini senza scrupoli che hanno alimentato un mercato illegale transnazionale di reperti e monete antiche. Se questo patrimonio venisse adeguatamente valorizzato, Gela potrebbe vivere di turismo, arte, cultura innestandosi in un percorso virtuoso che vede già Agrigento e Piazza Armerina delle tappe già riconosciute ed apprezzate a livello internazionale. Poi, partendo sempre dai buoni esempi, incentivando l’agricoltura e la produzione agricola: Gela può godere di un clima favorevole e per niente freddo per 11 mesi all’anno. Ed in ultimo, ma non meno importante, la buona e sana volontà di crescere e lavorare onestamente, rispettando le regole: in questo ambito scuola e famiglia rivestono un ruolo cruciale”.
Negli ultimi tempi, a Gela, è sensibilmente calato, fortunatamente, il numero degli attentati incendiari. Ma perché in città si ricorre al fuoco?
“Ho sempre pensato che fosse un problema culturale e di mentalità che faceva fatica a cambiare, il modo più semplice e più meschino per distruggere l’oggetto appartenente ad altri con cui, forse, si era discusso animatamente: non sempre il danneggiamento seguito da incendio di un’auto, di un motociclo, della porta di un’abitazione rappresentava l’esternazione di un pregresso tentativo di estorsione non riuscito. Ecco, anche in questo ambito, l’impegno dei Carabinieri, delle Forze dell’ordine e dell’Autorità Giudiziaria è servito, nel tempo, a prevenire e contrastare in modo significativo il fenomeno”.
C'è un episodio durante la sua permanenza a Gela che l'ha profondamente colpita e perché?
“Sicuramente la morte di tre operai avvenuta il 17 luglio 2014 sulla linea ferroviaria Gela –Licata, nel territorio di Butera. Si trattò di un incidente terribile sul lavoro che spezzò la vita di tre persone a seguito del passaggio di un treno regionale. Le immagini di quei corpi ancora oggi, vive nella mia mente, mi fanno sempre riflettere sull’importanza di garantire in ogni luogo di lavoro, idonee condizioni di salute e sicurezza e sull’importanza, nella prevenzione, delle attività di controllo e ispettive condotte, ad esempio, nei cantieri edili dove è più frequente il fenomeno degli infortuni”.
Se il lavora latita, le organizzazioni criminali ne approfittano. E' assodato (purtroppo) che chi non lavora è facilmente appetibile dai clan. In che direzione bisogna muoversi per evitare tutto ciò?
“La risposta più semplice da dare sarebbe: “è opportuno creare le condizioni per incentivare l’occupazione soprattutto giovanile”. Ma questo non basta, occorre che le nuove generazioni siano consapevoli del disvalore dell’illegalità e del mancato rispetto delle leggi e dell’altro. Per questo il lavoro che è stato fatto nelle scuole e tra le comunità dei giovani attraverso gli incontri con gli studenti illustrando loro i compiti e le funzioni dei Carabinieri ed il sacrificio di tanti militari dell’Arma caduti nell’adempimento del loro dovere, è stato esemplare. Penso all’esempio del Maresciallo ordinario Sebastiano D’Immè, gelese, Medaglia d’oro al valore militare deceduto il 7 luglio del 1996 a Varese, a seguito delle ferite riportate in un conflitto a fuoco avvenuto a Locate Varesino il giorno prima, mentre stava svolgendo indagini su un gruppo di rapinatori. Ricordo il sacrificio dei Carabinieri, entrambi di Niscemi e decorati, Vincenzo Caruso e Roberto Ticli, deceduti rispettivamente il 1° aprile 1977 a Taurianova (Rc) e il 1° ottobre 1990 a Porto Ceresio (Va) durante attività di contrasto alla criminalità organizzata e comune. Questi giovani carabinieri, figli di questa terra, sono morti perché hanno combattuto per gli ideali di giustizia, pace e libertà in cui fermamente credevano e per i quali hanno giurato fedeltà alla Nazione”
Per anni ha comandato il Gruppo Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale a Roma. Numerosi sono stati gli interventi e i sequestri. Tradotto in soldoni, quanto frutta alle casse della criminalità puntare il proprio interesse sui beni archeologici?
“E’ un mercato clandestino che frutta centinaia di milioni di euro ogni anno. L’Italia, la Sicilia così come molte regioni meridionali sono parte lesa del traffico illecito di beni culturali e di reperti archeologici. Una recente indagine, l’operazione convenzionalmente denominata “Demetra”, condotta dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Palermo e coordinata dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, ha dimostrato come in Sicilia e nel Nisseno in particolare, fosse radicata un’organizzazione criminale dedita allo scavo clandestino, o meglio al saccheggio di diverse aree archeologiche del centro della Sicilia. I reperti archeologici trafugati venivano, quindi, illecitamente esportati in diverse case d’asta del centro nord Europa da dove venivano venduti. In quella circostanza è stata contestata oltre all’associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione di beni culturali, anche la transnazionalità del reato che ha permesso di eseguire tre mandati di arresto europeo in Gran Bretagna, Spagna e Germania. In quell’indagine furono coinvolti, tra gli altri, gelesi e riesini”.
Prima facevano tutto i tombaroli: scavavano, trovavano e vendevano. Adesso ci sono i committenti in giacca e cravatta. Anche in questo settore, la criminalità si è evoluta. Non crede?
“Si è evoluta e le recenti operazioni dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale lo hanno inequivocabilmente dimostrato. E’ una criminalità ben strutturata che si avvale di tombaroli, ricettatori, trafficanti, soggetti senza scrupoli che a partire dallo scavo clandestino, a volte compiuto con ruspe, che produce danni enormi al terreno e alle aree archeologiche, provoca un danno economico inestimabile quando i nostri beni vengono esportati illegalmente all’estero ed in questo caso la cooperazione internazionale giudiziaria e di polizia ha un ruolo cruciale”.
Lo accennavamo poco fa: i report sui femminicidi e le violenze sessuali in Italia sono preoccupanti. Come legge questa tragica impennata degli ultimi anni?
“Oggi il fenomeno dei femminicidi è ancora tristemente attuale, come testimoniano gli ultimi casi di cronaca. L’Arma dei Carabinieri, in questo settore, ha puntato molto sulla formazione e preparazione dei militari ai vari livelli proprio per affrontare in modo diretto, tempestivo ed efficace tutte le situazioni di rischio per la vita e l’incolumità fisica della donna e dei minori. Purtroppo tanti sono stati i casi che abbiamo affrontato anche a Gela e gli interventi compiuti anche in sinergia con la Procura della Repubblica e con i centri antiviolenza presenti sul territorio”.
Ci sono tanti predatori cibernetici. I ragazzi (soprattutto minorenni) sono facilmente a rischio. Cosa bisogna fare per evitare che cadano in trappola?
“La navigazione sul web presenta notevoli insidie. Oltre alla facilità con cui è possibile accedere a determinati contenuti, soprattutto pornografici, raccomandavo e raccomando sempre ai ragazzi di diffidare di siti internet in cui vengono proposti facili guadagni, penso ad esempio ai siti di giochi online che hanno una forte attrattiva sugli adolescenti. Attenzione, questa potrebbe rappresentare un’esca per farli cadere in trappola!”.
Come legge il costante aumento il consumo di droga tra gli adolescenti?
“Anche in questo caso, sebbene siano state compiute tante attività investigative contro il traffico e lo spaccio di stupefacenti, a Gela e nei comuni limitrofi, il consumo di droga tra i ragazzi rimane ancora una piaga da debellare: anche qui, il ruolo della famiglia e della scuola è decisivo. Spesso quando interveniamo noi Carabinieri con arresti, sequestri, segnalazioni per uso personale ovvero guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, o, peggio, in caso di morte per overdose è ormai troppo tardi”.
Qual è il messaggio che vuole inoltre agli uomini in divisa che hanno lavorato con lei a Gela e all'attuale comandante, il tenente colonnello Marco Montemagno?
“Di lavorare sempre e con impegno come finora hanno fatto per il bene della città e dei gelesi. Al Tenente Colonnello Marco Montemagno, Ufficiale serio e preparato che conosco da 20 anni, rivolgo il mio personale augurio di buon lavoro, certo del fatto che saprà ben esercitare la sua funzione di Comandante di Reparto Territoriale anche in virtù della sua esperienza nell’Arma territoriale”
Che sensazione ha provato al suo arrivo nella nuova destinazione di Rieti?
“Ho trovato una città ordinata, pulita ed una provincia ricca di paesaggi meravigliosi, forse poco conosciuta al grande pubblico e fuori da flussi turistici che vedono nella vicina Roma una tappa quasi esclusiva, in particolare per gli stranieri. Ho subito instaurato un rapporto diretto con la popolazione e con i Sindaci dei 73 comuni della provincia che sono riuscito sinora ad incontrare. A loro ho manifestato la vicinanza dell’Arma dei Carabinieri vista la capillarità delle nostre Stazioni nel territorio. Siamo impegnati su diversi fronti nella prevenzione e nel contrasto dei reati contro il patrimonio e la persona, contro lo spaccio di stupefacenti e contro la violenza di genere. La sensibilità comune dimostrata dai primi cittadini e dalla popolazione locale e la professionalità dei Carabinieri della provincia sono un ottimo presupposto per ben operare”.
Qual è il consiglio che vuole dare a chi si appresta ad entrare nell'Arma dei Carabinieri?
“Raccomando sempre umiltà, sacrificio, dedizione, motivazione, studio e preparazione fisica e mentale. Oggi scegliere di fare il Carabiniere significa lavorare lontano da casa propria, ma vicino alla comunità e ai cittadini la cui garanzia di sicurezza costituisce il nostro principale obiettivo. A loro, alle persone più deboli, alle vittime del reato non dobbiamo mai farle sentire sole, ma garantire sempre ascolto, attenzione, facendo ogni sforzo per la risoluzione di una problematica o di un reato che ci viene segnalato e di cui sono parte offesa. E’ il nostro compito ed anche una nostra responsabilità da quasi 210 anni ed è per questo motivo che la gente ci sente ancora vicini”.
Lei perché ha scelto di fare il carabiniere?
“E’ stato il mio sogno sin da bambino. All’età di 8 anni ho indossato per la prima volta la divisa, ovvero la grande uniforme storica di mio zio, all’epoca Appuntato Scelto dell’Arma dei Carabinieri in servizio in un Stazione molto impegnata nel sud Salento. Nella mia famiglia non ci sono militari dell’Arma, mio padre era titolare di un’autoscuola, mia madre casalinga, mio fratello più piccolo studente, ma ben 4 zii erano Carabinieri, tutti con esperienza in nuclei operativi o stazioni in varie parti d’Italia: mi raccontavano spesso le loro vicende direttamente vissute con i loro colleghi a contatto con il cittadino, al servizio dei più deboli, sempre pronti a difendere gli onesti e a perseguire i delinquenti con gli strumenti che la Legge consentiva loro. Ecco, a distanza di anni, posso dire che la loro dedizione al lavoro (e alla famiglia), la motivazione sempre alta è diventata e con il tempo, anche la mia”.
Per un giovane di provincia come lei, è stato complicato addentrarsi in realtà territoriali molto più estese, come ad esempio Modena dove nel 1997 ha partecipato al 179' corso "Osare" presso l'accademia militare?
“Assolutamente no. Avevo già vissuto l’anno precedente a Siena perché iscritto alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Ateneo di quella città. Lì ho imparato, per la prima volta, ad affrontare, lontano da casa e dalla famiglia, le prime difficoltà di un giovane in una città totalmente sconosciuta e con una mentalità differente rispetto a quella del sud. Poi, nel 1997, vincitore di concorso, ho frequentato con entusiasmo il biennio di formazione presso l’Accademia Militare di Modena e la città l’ho principalmente vissuta, insieme ai miei compagni di corso, nei periodi di libera uscita”.
D'impatto, che differenza ha notato proprio in Emilia Romagna tra Nord e Sud?
“Sicuramente l’aspetto climatico non mi ha lasciato indifferente, abituato a vivere in un piccolo paese del sud Salento a pochissimi chilometri dal mare. Poi anche le condizioni di vita, una realtà industriale fiorente fanno ancora oggi di Modena e della sua provincia una delle aree più sviluppate del nostro Paese anche per la posizione geografica baricentrica rispetto al centro nord Italia e alle vie di comunicazione che favoriscono moltissimo gli spostamenti anche e soprattutto in treno”.
Rimanendo in tema: perché persiste questo atavico divario tra il settentrione d'Italia e il mezzogiorno?
“Sicuramente, come dicevo prima, le vie di comunicazione rapide e velocità di spostamento delle merci favoriscono lo sviluppo economico, a questo aggiungiamo una mentalità imprenditoriale radicata, fatta anche da piccole e medie imprese, che garantiscono occupazione e benessere rispetto ad altre zone del Mezzogiorno”.
Lei è tifoso leccese...quest'anno ci sono le premesse per una salvezza tranquilla in serie A?
“Non vorrei dirlo troppo presto, per scaramanzia. E’ un campionato in cui abbiamo iniziato con il piede giusto: dopo 5 giornate eravamo al 2° posto e qualcuno parlava già (molto prematuramente) di Champions League. Io quando ho visto giocare il Lecce quest’anno mi sono sempre divertito, bel gioco, squadra votata all’attacco, buona difesa e centrocampo completamente rinnovato. Il portiere, Falcone, è una garanzia: lo scorso anno, alla penultima giornata, parando un rigore al Monza, ha chiuso la saracinesca ed ha spalancato le porte della salvezza di una neo-promossa che ad inizio campionato sembrava un miraggio. Quest’anno, auguro al nostro portiere di ripetere analoghe prestazioni (ha già parato un rigore a Lukaku contro la Roma e ha fatto altri “miracoli” contro altre blasonate formazioni) e alla mia squadra del cuore di non tenermi sulle spine fino all’ultima giornata, ma di farmi vivere una primavera in serenità e, possibilmente, dalla parte sinistra della classifica”.
Chi vincerà lo scudetto?
“Il tricolore lo può perdere solo l'Inter che ha, praticamente, due squadre”.