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Il crollo devastante del simbolo antiracket a Gela, “rappresentiamo sempre un modello”

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Si sente tradita da quanto accaduto all’Antiracket gelese?

“Sono sorpresa per quello che è successo, non tradita!”

C’è qualcosa che contesta ai vertici dell’Associazione?

“Assolutamente nulla”.

Sic et simpliciter. Sempre disponibile col cronista, anche in un momento assai delicato, le sue risposte sono dirette e concise.

Franca Evangelista è il presidente onorario della locale associazione, travolta da un sisma senza precedenti, catastrofico, di quelli che lasciano il segno. Imprevisto ed imprevedibile, come tutti i terremoti. E che traccia segni inequivocabili, laceranti, difficili da rimarginare, soprattutto agli occhi di chi ci ha creduto, di chi è stato accompagnato a crederci e di coloro i quali stavano per affacciarsi alla realtà, dopo continue reticenze. In poco più di un mese, l’Antiracket di Gela è stata interessata da due importanti e roboanti inchieste giudiziarie, portate avanti dalla locale procura, retta da un attento e scrupoloso Fernando Asaro, che hanno colpito il suo presidente, Renzo Caponetti (accusato di malversazione e truffa aggravata ai danni dello Stato), e uno dei primi fondatori e più importante consigliere, l’imprenditore Giovanni Salsetta (attualmente ai domiciliari per una maxi evasione fiscale di 4 milioni e mezzo di euro), entrambi immediatamente dimissionari in seno all’associazione. Due procedimenti penali, il cui lavoro dei magistrati ha interessato prevalentemente le attività personali dei due indagati ma che di riflesso, si ripercuote sulla buona tenuta e il prestigio della stessa associazione costituitasi ben 17 anni fa nell’aula consiliare del municipio, alla presenza delle più alte autorità civili e militari. Epicentro conclusivo, giorni addietro, è stata la Prefettura di Caltanissetta che ha disposto la sospensione cautelare dell’iscrizione nell’elenco dell’ente statale, bloccando – di fatto – tutte le attività. Il boato è fortissimo. Devastante. Saranno adesso i processi in un’aula di tribunale a stabilire chi ha sbagliato e dove ma quanto successo nelle ultime settimane non ha lasciato indifferente l’opinione pubblica. Anzi. Tra innocentisti e colpevolisti, è partita una vera e propria gara per accaparrarsi il trono dell’onnisciente di turno. C’è chi riferisce che si tratta “solo di una bolla di sapone” e chi invece, sottovoce, afferma “che siamo solo all’inizio”. Staremo a vedere. Le carte, le accuse, le prove, le arringhe difensive, in sede dibattimentale, forniranno un quadro chiarissimo su quello che è accaduto. E che potrebbe accadere. Intanto le crepe sono evidenti. Non le vede solo chi non vuole vederle, quasi fosse bendato o in altre faccende affaccendato. Stiamo parlando di quello che è stato definito un simbolo della legalità, con 170 soci, in una terra invasa e pervasa dal crimine. L’antiracket di Gela, conosciuta in tutta Italia, sponsorizzata dal presidente Fai, Tano Grasso e dall’allora sindaco Rosario Crocetta, è intitolata al profumiere Gaetano Giordano, ucciso dalla “Stidda”, per essersi ribellato al pagamento del pizzo. Il prossimo 10 novembre, saranno trascorsi 30 anni dall’agguato commesso sotto la sua abitazione, in via Verga, subito dopo l’orario di chiusura del negozio. A sparare furono gli uomini della “Stidda”. Il nome di Giordano fu estratto a sorte durante un summit mafioso, in una vera e propria lotteria del malaffare. Una missione di morte decretata per dare un segnale cruento, decisivo, a tutti gli altri commercianti del luogo. Un rifacimento di brigatista memoria: “Ucciderne uno per educarne cento”. Nino Miceli (titolare della concessionaria Lancia di via Venezia) e Carmelo Ardente (proprietario della Benetton, in pieno centro storico), furono costretti a lasciare Gela e a cambiare identità per avere denunciato e fatto arrestare i propri estorsori. Tre commercianti in balia delle onde di un oceano del crimine mentre tutti gli altri pagavano per “non avere problemi cu nuddu”. Si pensò di costituire nell’immediato un’associazione antiracket. L’idea naufragò per il timore di pesanti ritorsioni. L’attuale associazione vide la luce nel 2005 e sorge in corso Vittorio Emanuele. E’ iscritta all’albo Prefettizio dal 31 gennaio del 2007 e si è costituita parte civile in ben 44 procedimenti penali prima della voragine venutasi a creare giorni addietro.

In merito a quello che è successo, è quasi fisiologico che venga a mancare la fiducia da parte degli associati e non. Qual è il suo pensiero?

“Non c’è alcun giudizio ancora e speriamo si possa avere al più presto. Solo allora si potrà parlare di rinnovata fiducia o di altro. Il fatto che alcuni associati abbiano le difficoltà ben note, non deve scalfire il credito fino ad ora riconosciuto. Il momento è delicato; rispettiamolo evitando commenti sterili”.

Cosa si sente di dire a tutti quelli che vedevano l’antiracket di Gela, come un modello da seguire?

“Non mi pare che si possano dare giudizi se non a procedimenti giudiziari conclusi. Pertanto 17 anni di grande impegno di associazione, rappresentano un modello!”

Rimetterà l’incarico di presidente onorario?

“Non c’è motivo per cui debba farlo”.

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