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Il miracolato della strage di Capaci: combattere la mafia nel ricordo di Falcone e Borsellino

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“Giovanni Falcone è stato un uomo prima che un magistrato. Possedeva un alto senso di responsabilità e trasmetteva valori difficilmente riscontrabili in altri”. E tanti altri, prima, durante e dopo, chi risponde alle nostre domande, ne ha incontrati e conosciuti parecchi. Più maschere che uomini veri. Giuseppe Costanza, autista giudiziario, medaglia d’oro al valor civile, è la persona con la quale il giudice antimafia ha scambiato le sue ultime parole. C’era lui nella Fiat Croma bianca, fatta saltare in aria alle 17.58 del 23 maggio del 1992 nei pressi di Capaci. Cosa Nostra tentò di cancellare per sempre la libertà. Ma non ci riuscì. Perché fin quando il ricordo di Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Antonino Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani resterà vivo dentro ognuno di noi, la legalità regnerà sempre e gli uomini resteranno liberi.

“Liberi di amare la nostra terra. La strada intrapresa è quella giusta. La gente ha capito da che parte stare. E sono fermamente convinto che ce la faremo. In tutti questi anni, partecipando soprattutto a numerosi incontri nelle scuole, ho riscontrato sete di giustizia. Non bisogna voltare le spalle. Per una Sicilia più libera, ci vuole il coraggio di denunciare…”

Però la percezione attuale del fenomeno mafioso – secondo un ultimo sondaggio, realizzato nel trentennale dell’attentato – dimostra che per quattro italiani su dieci, la mentalità mafiosa sta diventando “di moda” tra i ragazzi

“Non voglio crederci, stento a crederci. Le nuove generazioni – come accennavo prima –  vogliono invece che la cancrena malavitosa sia definitivamente debellata. Io con i ragazzi ci parlo e non mi sembra che il fenomeno mafioso sia trainante così come invece emerge dal sondaggio, anzi. Ciò non esclude – purtroppo –  che c’è ancora tanto da fare per annientare del tutto anche quella sparuta minoranza che si rivolge alla delinquenza…”

E come si fa?

“Partendo dai fondamentali. Ci sono i presidi giudiziari a cui rivolgersi, se vittime di soprusi. E’ finito il tempo in cui si cercava l’amico dell’amico, il boss di quartiere per risolvere ogni problema. Anche il più insignificante. E anche quando si va a votare, la gente analizza e controlla a chi destinare il proprio consenso elettorale. Oramai è destinato all’oblio, il tempo in cui si andava a votare solo per ricevere favori. Il classico voto condizionato dai poteri forti. L’equazione “tu mi voti io ti favorisco” sarà definitivamente cancellata. Almeno questa è la mia sensazione”

La mafia non spara più: ha scelto il silenzio e serpeggia ovunque, purtroppo

“Anche questo fenomeno sarà spazzato via. Ci vorrà del tempo ma come diceva sempre Falcone, la mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine!”

La celebre frase di Falcone continuava e recitava testualmente che “piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”. Costanza, vado spedito: le istituzioni sono state al fianco del giudice antimafia?

“Assolutamente no. In tribunale, a Palermo, in quegli anni non c’era nessun barlume di amicizia e sostegno nei confronti di Falcone ma solo invidia. Pensi che qualcuno che frequentava il palazzo di giustizia, andava dicendo in giro che il fallito attentato all’Addaura del 21 giugno del 1989 se l’era commissionato lo stesso giudice. Farneticazioni che tutt’ora mi lasciano molta amarezza”

Un eroe, un uomo che col suo impegno è andato ben oltre il dovere di giudice e servitore dello Stato. Per il 71% degli italiani, Giovanni Falcone è stato abbandonato dalla politica e per il 75% dalla magistratura.

“Un eroe costretto a combattere la mafia da solo. Alcuni giorni prima che accadesse la strage, il giudice mi confidò che sarebbe diventato procuratore nazionale antimafia. C’erano tutti i presupposti affinché ciò accadesse. Era il giusto riconoscimento per tutto quello che aveva fatto, per avere messo all’angolo Cosa Nostra, per avergli fatto sentire il fiato della legalità sul collo. Avrebbero potuto ucciderlo ovunque, ma Falcone è stato assassinato in Sicilia, a Palermo, nella sua terra come a certificare la potenza della mafia. Chi ha ordito la sua eliminazione non è stato ancora individuato. Abbiamo scoperto gli esecutori, ma non i mandanti. Avere a capo della Procura Nazionale Antimafia, con pieni poteri, un uomo come Giovanni Falcone, sarebbe stato un durissimo colpo per quelli che lo stesso giudice definiva menti raffinatissime…”

Sarebbe questo il movente che ha scatenato l’inferno di Capaci?

Ne sono fermamente convinto!”

Secondo lei, le istituzioni reagirono a quella strage cercando un compromesso politico con Cosa Nostra?

“Non ci sono delle prove nel merito, è una pagina buia della storia d’Italia ancora tutta da scoprire e chiarire. Fino in fondo”.

Sono passati 30 anni dalla carneficina sull’autostrada ma ancora la verità su quanto accaduto è ancora incompleta

“Come dicevo prima, conosciamo chi materialmente ha commesso la strage ma ci sono ancora tanti elementi da sviscerare. Chi di competenza, non si è mai fermato per chiudere definitivamente il cerchio, nonostante i numerosi silenzi e le reticenze continue. Comunque sono fiducioso che ci saranno risvolti importanti, anche a distanza di tempo”.

Lei in più occasioni, si è sentito abbandonato dallo Stato. Perché?

“Eviterei qualsiasi polemica. Ci sono stati momenti in cui mi sono realmente sentito solo ma è acqua passata. Cambiano i tempi e, fortunatamente, cambiano anche gli uomini. Lo scorso 6 maggio sono stato presente nell’aula bunker di Palermo, in occasione della prima conferenza dei procuratori generali dei 46 Paesi del Consiglio d’Europa. Era presente anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. E’ stato un momento di grande apertura che ho molto apprezzato. Come dicevo prima, fortunatamente sono cambiati anche gli uomini che occupavano posti istituzionali di un certo peso e di conseguenza sono cambiate tante altre cose. E personalmente continuo a diffondere il credo della legalità in tutte le scuole d’Italia. E i ragazzi mi ascoltano e capiscono l’importanza dell’argomento…”

La politica ascolta? Qual è il suo pensiero?

“In politica c’è gente perbene. Altri, invece, preferiscono farsi i fatti propri, allontanandosi dall’affrontare il tema mafia perché sono proprio loro che vanno a braccetto col malaffare”.

Da quello che dice, deduco che il vento è cambiato in Sicilia quando si parla di legalità

“C’è ancora tanto da fare, è inutile negarlo. E’ una battaglia lunga ma ce la faremo. Tutti insieme. Però si, il vento è cambiato. Una dimostrazione tangibile è il pizzo. Fino a poco tempo fa, era inimmaginabile che qualcuno denunciasse gli estorsori, facendo nomi e cognomi. Chi subisce, adesso trova il coraggio di farlo. Leggo che a Gela c’è grande fermento in questo senso. Bisogna continuare così”.

Ritorniamo per un attimo a quel 23 maggio del 92. Cosa ricorda?

Ero seduto sul sedile posteriore. Il giudice Falcone era alla guida e accanto c’era sua moglie, la quale aveva preferito accomodarsi davanti perché soffriva il mal d’auto. Ricordai al magistrato di darmi le chiavi quando saremmo arrivati a destinazione.  Falcone distrattamente le sfilò, facendo rallentare l’auto di qualche secondo. Poi, nulla. Il buio. Mi sono svegliato in un letto di ospedale, dopo essere stato in coma. Chiesi perché mi trovassi in quel posto e cosa fosse accaduto. Mi dissero che avevo subito un incidente stradale. Ricordo che vennero a trovarmi il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (appena eletto) e il giudice Paolo Borsellino, l’unico magistrato che venne a sincerarsi delle mie condizioni di salute. Con se aveva un’agenda (probabilmente quella rossa, di cui si sono perse le tracce? ndr)  sulla quale prendeva appunti”.

Paolo Borsellino, altra vittima della ferocia mafiosa e stragista. E con lui, i cinque agenti di scorta in quel maledetto 19 luglio, 57 giorni dopo la strage di Capaci

“Una morte annunciata. Il giudice Borsellino, dopo l’uccisione di Falcone, sarebbe divenuto il nuovo Procuratore Nazionale Antimafia e avrebbe continuato il lavoro del suo fidato collega-amico di sempre…”

Quanti ricordi…

“Ho tanti ricordi belli di Giovanni Falcone. Uno su tutti è quando andavo a trovarlo a casa sua per barba e capelli. Si, prima che facessi l’autista giudiziario ero stato un parrucchiere. Per lui era troppo rischioso andare in una sala da barba e chiese a me. L’ho fatto per quasi 8 anni. Ricordo che la moglie ci portava sempre il caffè…”

Ha mai avuto paura per il lavoro che svolgeva, sempre al fianco di Falcone?

“Trent’anni fa non sono morto fisicamente ma dentro di me. Mi reputo un miracolato e per questo tutto quello che faccio lo dedico interamente a chi ha perso la vita in quel maledetto giorno. Col giudice Falcone, dal lontano 1984, giorno in cui mi chiese di diventare l’autista della sua macchina, ho avuto un rapporto di grande stima e fiducia, nel massimo rispetto dei ruoli. Le racconto un episodio che per me assume un valore enorme…”

Ci dica pure

“A Bagheria, il 23 novembre del 1989, vennero uccisi tre familiari del boss pentito Francesco Marino Mannoia. Assieme al giudice Falcone ci apprestammo a recarci sul posto, quando lo stesso giudice mi consigliò di prendere una strada secondaria, al fine di evitare che potessimo essere vittime di un possibile agguato. Arrivammo e trovammo il procuratore capo Pietro Giammanco. Ricordo che lo stesso Procuratore disse a Falcone che al ritorno sarebbero saliti entrambi su un’altra macchina e che io sarei dovuto andare da solo a Palermo, facendo quasi da battistrada, in una sorta di bonifica del tragitto. La risposta di Falcone fu secca e repentina: io non lascio da solo Costanza, vado con lui. Ecco chi era Giovanni Falcone. Un uomo in possesso di un elevato senso dell’altruismo e di un bene incommensurabile. Un uomo a cui devo la vita e a cui tutti noi dobbiamo dire grazie per tutto quello che ha fatto. Non solo in occasione della ricorrenza del 23 maggio, ma ogni giorno. Sempre!”

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