Il passato per costruire il futuro: la lezione mai imparata, la speranza di sempre
Un bimbo che indossa un elmetto, uno di quelli tipici del campo di battaglia. Ignaro di ciò che rappresenti. Ma per i bimbi, si sa, è (quasi) sempre tutto un gioco. Si avvicina incuriosito al blocco m...


Un bimbo che indossa un elmetto, uno di quelli tipici del campo di battaglia. Ignaro di ciò che rappresenti. Ma per i bimbi, si sa, è (quasi) sempre tutto un gioco. Si avvicina incuriosito al blocco marmoreo che ricorda lo sbarco angloamericano sulle coste gelesi, la notte dell’operazione Husky. Gela fu il 10 luglio 1943 la prima città d’Europa liberata dal nazifascismo.
Un eccezionale momento storico che la città, praticamente da sempre, ignora. Ad eccezione, val la pena ricordarlo, di pochi coraggiosi che continuano a tenere presente il valore della storia. Già, la storia, questa sconosciuta. Croce e delizia di una città che, guardandosi indietro, avrebbe tutto per per andare avanti ma che non ho mai saputo o voluto farlo.
Alle nuove generazioni, come quelle che rappresenta simbolicamente questo bimbo, il compito di fare meglio di chi oggi continua con la solita religione tutta gelese del predicare bene e lamentarsi e basta. Il treno delle celebrazioni per l’80º anniversario dello sbarco è scappato via. Non ritornerà. I 32 milioni di euro delle compensazioni del protocollo Eni del 2014 sono sempre lì, fermi. Si parla dei nuovi introiti con le royaltes a partire dal 2024, in un comune in default che avrebbe straordinariamente bisogno di ottimizzare le risorse.
Ma con che prospettiva? Con che visione? Perché non si può far crescere un territorio che non si ama, e non si può amare senza conoscere. È per questo che l’augurio per il 2024 resta lo stesso: sperare che i gelesi si accostino almeno un pochino alla grande storia della loro città. Che ha tutto, o comunque tanto, per indicarci come tirarci fuori dai guai. Tanti auguri.