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Le macerie nell’anima di Ravanusa

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Angelo Brancato da cinque anni è il custode del cimitero di Ravanusa. Decine di volte al giorno gli capita di accompagnare i suoi compaesani a visitare le tombe delle vittime della tragedia di dicembre. “Selene e Giuseppe sono a Campobello di Licata, qui ci sono gli altri sette”, ripete mentre con occhi bassi constata che “tutta Ravanusa ha voluto vedere le loro lapidi”. “Li conoscevo tutti, siamo una comunità, una grossa famiglia”, continua allungando il passo che taglia per i viali che portano alle cappelle delle famiglie Carmina, Scibetta, Minacori dove riposano Lillo, Liliana ed il figlio Giuseppe, Angelo e Pietro con le mogli Enza e Carmela. A Ravanusa “si è fatto buio, veramente”. Il marmista che ha il laboratorio di fronte al cimitero scandisce le parole dell’arcivescovo Damiano nel giorno dei funerali. “Il sindaco ha fatto rimuovere tutte le luminarie del Natale, i commercianti hanno disfatto le vetrine addobbate, chi ha fatto l’albero lo ha smontato, qui non c’è nulla da festeggiare”, si intromette un cliente. Il quadrilatero della tragedia, un paio di strade più avanti a ridosso del centro storico, è una zona rossa, sotto sequestro, presidiata giorno e notte dai Vigili del Fuoco.

Di giorno si ispezionano tombini, si fanno rilievi con tecnici, sopralluoghi con esperti; di notte si dorme in aule allestite nell’ormai conosciuta “scuola blu”. Nonostante si trovi a 30 metri dai luoghi del disastro, l’istituto “Don Bosco” non ha subito danni gravi. Così per giorni è stato madre e matrigna di questa tragedia. “Perché lì è avvenuto il riconoscimento delle salme, abbiamo accolto i familiari, supportato le squadre di ricerca, messo a disposizione la sala informatica e spazi per allestire una mensa”, racconta la Dirigente Marilena Giglia. Ha scritto a Papa Francesco per chiedere una carezza per i suoi alunni, 500 in tutto, al momento sfollati. “A gennaio riprenderanno le lezioni a distanza, per l’attuale indisponibilità dei locali”, conferma di ritorno da un incontro con psicologi e pedagogisti. “Dobbiamo ripartire dalle macerie ma formati ed informati su come gestire le relazioni con i nostri alunni ancora scioccati, due di loro sono rimasti orfani”. Una decina di famiglie ha avuto il permesso di rientrare nelle proprie abitazioni “perché non abbiamo subito danni”, riferisce Maria, 78 anni faticando a distogliere lo sguardo dalle montagne di macerie di fronte a casa. “La mia vicina ha paura e si è trasferita dalla figlia”. A Grazia e Luigi, invece, non è stato ancora permesso di entrare a casa, “neppure per prendere il necessario per trasferirsi in campagna”. “Siamo miracolati, eravamo da nostra figlia a Bologna quando è avvenuto il disastro”. I fratelli Antonio e Luigi invece non sono stati obbligati a lasciare i loro appartamenti dopo il sopralluogo dei Vigili del Fuoco, così “abbiamo sostituito tre saracinesche e vari infissi danneggiati dal boato. Abbiamo speso oltre 10 mila euro, chiederemo un rimborso”. Lo farà anche un’altra decina di loro vicini di casa. Ma in 63 però sono sfollati, “accampati da parenti e amici, in cinque, anche sei in una camera da letto”, riferisce don Filippo Barbera. Il campanile della sua chiesa fa capolino a 200 metri dalle montagne di macerie. “La Caritas ha raccolto oltre 50 mila euro, compreremo ciò che serve per aiutare i superstiti”. La Regione Siciliana invece ha stanziato un milione di euro. “Tanto è più buia la notte, tanto prima arriverà l’alba”, sussurra il sacerdote. “Questo Natale carico di sofferenza, deve segnare una svolta. Qui Gesù Bambino è nato tra le macerie”. Proprio mentre don Giuseppe Cumbo, Vicario generale della Diocesi di Agrigento presiedeva la Messa nella notte di Natale, l’impianto di illuminazione pubblica, è stato rimesso in funzione ed un capannello di ravanusani si è ritrovato davanti ai resti delle palazzine distrutte per lasciare un fiore e portare un caffè ai Vigili del Fuoco di turno”. In città intanto, si susseguono gli scavi di Italgas con monitoraggi continui alla rete del metanodotto in più punti della città. Si cerca la verità di una tragedia, “come sempre troppo tardi”. È la voce di un operaio che da tre giorni ha ripreso a lavorare ad un cantiere edilizio privato nel quartiere della morte: un passo al ritorno di una normalità tra luce e lutto.

Andrea Cassisi da Avvenire

Le indagini proseguono e sono stati notificati dieci avvisi di garanzia ai dirigenti dell’Italgas

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