Le riflessioni dell'avv.Giuseppe D'Aleo
Gela, all'ombra dei ricordi solo carne e immondizia
Dal commissario del Pli Giuseppe D'Aleo riceviamo e pubblichiamo
Se esiste un sentimento, tra gli stati dell’animo umano, che non ammette comprensione, questo è l’indignazione.Chi si indigna esprime disgusto, che è il primo istinto di reazione dell’uomo di fronte a ciò che appare disdicevole, indecoroso, intollerabile.L’indignazione non cerca giustificazioni: reagisce e basta.
Nel cuore di Gela, patria di Archestrato, ricordata da Tucidide per la sua grandezza, da Virgilio per l’abbondanza delle sue messi e luogo di approdo dell’esistenza terrena di Eschilo, qualcuno ha ritenuto opportuno collocare, nel pieno della piazza intitolata al Santo Patrono d’Italia e protettore degli animali, un super camion di carne di cavallo e porchetta, corredato da imponenti fornacelle e scorte industriali di carbonella, per la gioia degli interpreti più audaci delle tradizioni agresti, fatte di salsiccia e vino.
Da qualche settimana, quello che per tradizione è sempre stato il luogo della benedizione annuale degli animali, in nome del Santo d’Italia, è stato trasformato in uno spazio di vendita e consumo di carne equina e maialini da porchetta, all’ombra della statua di uno degli illustri figli di Gela, l’unico che abbia finora trovato posto nella storia della Nazione.
Il suo volto severo guarda, scruta e giudica. Non può volgere lo sguardo altrove.A Salvatore Aldisio e al suo impegno politico Gela deve molto, forse tutto.Il Palazzo di Città che si erge alle spalle della sua statua è testimonianza concreta di un’opera spesa per la comunità e intrisa della riconoscenza dei suoi concittadini, che a quella statua hanno affidato la memoria di un impegno umano e politico fondato su un solo nutrimento possibile: la gratitudine.Gratitudine che impone rispetto.Rispetto che dovrebbe essere monito di quella grandezza di spirito capace di rendere grande anche un figlio di questa terra.
I fumi delle braci accese per cuocere carne di cavallo offuscano oggi quel ricordo.Compromettono l’identità dei luoghi.Ne offendono la dignità.
Qualcuno ha deciso che Piazza San Francesco potesse diventare il luogo in cui, prima ancora di entrare nel Palazzo di Città, si potessero assaporare gli aromi della carbonella, il fetore dei cassonetti industriali e, nel complesso, un’offerta gastronomica che, se non può certo richiamare i miti fondativi della prima città greca di Sicilia, garantisce almeno un sollazzo immediato, utile a rendere più digeribile il menu del giorno.
Storia sotto, porchetta sopra, carne di cavallo a lato.Poco importa che la piazza non racconti più la città. Conta il menu. Contano i fumi della brace che ogni giorno velano i vetri delle stanze del potere, inebriano l’olfatto e offuscano l’intelletto.È questa la nuova idea di centro storico: non un luogo da rispettare, ma uno spazio da occupare.Meglio se a stomaco pieno. A Salvatore Aldisio, tutto sommato, è andata meglio che alla statua di Cerere.Il primo è circondato da fumi e sapori; la seconda è stata ridotta a palo per l’albero di Natale.Entrambi vittime della stessa incuria e dell’impunito degrado cui la città è stata purtroppo abituata.E di tutto questo non solo ci si può indignare.Di tutto questo ci si deve indignare.
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