Ottant’anni fa l’assassinio di Giovanni Gentile

Uno degli episodi più controversi della guerra civile combattutasi in Italia fra il 1943 e il 1945, nel periodo più caldo e decisivo della II Guerra mondiale,  fu  L'uccisione di Giovanni Gentile avve...

A cura di Redazione
16 dicembre 2024 09:05
Ottant’anni fa l’assassinio di Giovanni Gentile -
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Uno degli episodi più controversi della guerra civile combattutasi in Italia fra il 1943 e il 1945, nel periodo più caldo e decisivo della II Guerra mondiale,  fu  L'uccisione di Giovanni Gentile avvenuta a Firenze il 15 aprile 1944 per mano del partigiano comunista Bruno Fanciullacci dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP). Gentile, pagava con la vita la sua incondizionata adesione al Fascismo che lo aveva visto un protagonista del regime e come uomo politico e come ideologo, ma anche la sua volontà di rappacificare il Paese. La sua morte violenta divise lo stesso fronte antifascista, venendo disapprovato da buona parte del CLN.

Ottavo di 10 figli, Giovanni Gentile nacque a Castelvetrano il 29 maggio del 1875. Laureatosi in Lettere e Filosofia nel 1897 con il massimo dei voti alla Scuola Normale di Pisa, nel 1901 sposò Erminia Nudi da cui ebbe 6 figli.

Egli fu insieme a Benedetto Croce, uno dei maggiori esponenti del neoidealismo filosofico e dell'idealismo italiano. La sua aderenza al Fascismo fu cementata dall'essere stato il Ministro della Cultura, e per avere fatto nel 1923 una importante riforma della Pubblica Istruzione, conosciuta come “Riforma Gentile”.  Nel 1925, dopo le sue dimissioni da ministro, pubblicò il Manifesto degli intellettuali fascisti in cui riconosceva nel fascismo una importante opportunità della rigenerazione morale e religiosa degli italiani, che trovava modello in una ideale continuazione del Risorgimento. Questo documento sancì l'allontanamento di Gentile da Benedetto Croce, con il quale c'era stata vicinanza e collaborazione per un periodo lungo 20 anni. 

Nel 1934 il Sant' Uffizio mise all'indice le opere di Gentile e dello stesso Croce, a causa del loro identificare il cristianesimo cattolico come una mera "forma dello spirito", considerato quindi inferiore alla filosofia; concetto che Gentile bene spiegava nel discorso del 1943 La mia religione, in cui erano contenute  alcune velate critiche al papato, ispirate da Dante, Gioberti e Manzoni.

Egli fu anche un convinto difensore di Giordano Bruno, il filosofo eretico condannato al rogo dall'Inquisizione nel 1600, al quale dedicò un saggio, impegnandosi anche in prima persona perché la statua del frate pensatore, eretta in Campo de' Fiori nel 1889, opera dello scultore Ettore Ferrari, non fosse rimossa, come richiesto da alcuni cattolici.

Nel 1925  Gentile promuoveva la nascita dell'Istituto Nazionale Fascista di Cultura (INFC), di cui fu presidente fino al 1937. E' quello il periodo in cui il filosofo siciliano ricoprì diversi incarichi culturali, accademici e politici, che lo portarono ad esercitare durante tutto il ventennio un forte influsso sulla cultura italiana. E questo lo portò ad essere anche il direttore scientifico dell'Enciclopedia Italiana dell' Istituto Treccani; incarico che ricoprì dal 1925 al 1938. Poi ne fu anche vicepresidente e in quella veste accolse alla Treccani numerosi "collaboratori non fascisti". Così, è a lui  che si deve l'elevato livello di quell 'opera monumentale che è appunto la Treccani: un lavoro appassionato e metodico che il filosofo e pedagogo portò avanti chiedendo la collaborazione di ben 3.266 studiosi di diverso orientamento politico, culturale, religioso, perché con grande intelligenza e lungimiranza volle coinvolgere nella stesura dell'enciclopedia tutta la migliore cultura nazionale, compresi molti studiosi ebrei o notoriamente antifascisti. 

Quando il regime crollò e Mussolini fondò la Repubblica di Salò, Gentile fedele a quello che era stato il suo sentire politico, credette in questa nuova opportunità per la nazione, e probabilmente fu questa coerenza a segnare la sua condanna a morte.

Di lui scrisse il giornalista e critico letterario Geno Pampaloni nel suo “Fedele alle amicizie” (Camunia Edizioni, 1984):  «Era un omone che ispirava grande simpatia; con la pancia incontenibile, i bei capelli brizzolati sopra un faccione rosso acceso, di carnale cordialità. Tutto fuorché un filosofo: così mi apparve, benché fossi pieno di entusiasmo per i suoi Discorsi di religione, freschi di lettura. Bonario, familiare (paternalista), mi fece l'impressione di un vigoroso massaro siciliano, che fonda la sua autorità sull'indiscusso ruolo di patriarca.»

Sorprende il fatto che una figura importante come Gentile, un gigante della cultura italiana ed europea, non abbia ispirato più di tanto il nostro cinema. Abbiamo una eccezione nel lungometraggio di Ugo Frosi girato nel 2015, che ha per titolo “L'ospite”. Un film che, cercando di ricostruire la vicenda umana e politica del filosofo,  metteva pure in evidenza la sua volontà di promuovere in quegli ultimi anni drammatici della guerra una pacificazione nazionale; una conciliazione non voluta però dai partigiani e neppure agli alleati, una ostilità che determinò di fatto la sua condanna a morte. E oggi, a pensarci bene, il dramma più grande della nostra nazione è forse quello che ancora, a distanza di 80 anni dal barbaro assassinio di Gentile, questo processo di pacificazione degli italiani non abbia trovato compimento

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