Qualità della vita, la Sicilia in fondo alla classifica. E non fa notizia
Cambia tutto per non cambiare nulla. L’adagio del gattopardismo, sempre buono per riprendere i concetti dell’immobilismo perenne in salsa sicula, (mi) ritorna in mente scorrendo la classifica de Il So...

Cambia tutto per non cambiare nulla. L’adagio del gattopardismo, sempre buono per riprendere i concetti dell’immobilismo perenne in salsa sicula, (mi) ritorna in mente scorrendo la classifica de Il Sole 24 Ore sulle province italiane per la “Qualità della vita 2021”. Al terzetto di vetta Trieste-Milano-Trento si contrappone il terzetto di coda Crotone-Foggia-Trapani: il Nord in cima, il Sud a valle. Manco a dirlo. E la cosa onestamente non fa più nemmeno notizia. Un po’ come a voler sottolineare, cinicamente, che anche nel Mezzogiorno potremo parlare a lungo di innovazione, ricerca, servizi, sostenibilità, ma poi, stringi stringi, la situazione quella è e quella resta.
E se è vero che lo sconforto, ma nemmeno poi tanto ossessivo, condiziona nella presa d’atto della classifica, guardando nel dettaglio i trend è venuta fuori un’altra lettura. Perché se da un lato le tre metropoli di Sicilia hanno perso diverse posizioni rispetto allo scorso anno (Catania è 102° e perde qualcosa come dodici posizioni, Palermo e Messina, rispettivamente 95° e 97°, ne hanno perse sei a testa, e Trapani fanalino di coda al 105° posto ne ha perse quattro), dall’altro si nota una crescita nemmeno poi così latente di alcune realtà provinciali. Agrigento, la prima delle siciliane all’84°, guadagna ben quattordici posizioni, Ragusa (87°) ne guadagna dodici, Enna (92°) undici, Siracusa (98°) sette e Caltanissetta (103°) appena tre.
Gli indicatori, novanta, che determinano la formazione delle classifiche sono divisi in sei macro aree: ricchezza e consumi; affari e lavoro, demografia, società e salute, ambiente e servizi, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero. Basta leggere queste diciture per sentirsi già indietro, tanto indietro, rispetto agli standard degni di una società civile del terzo millennio. Ed è onestamente anche troppo poco quel piccolo progresso di alcune province di periferia per lasciarsi cullare da una parvenza di ottimismo. Cosa resta, allora? La speranza che davvero il Pnrr con la sua pioggia di milioni per il Sud, almeno sulla carta, serva ad invertire il corso della storia. È forse l’ultima occasione, l’abbiamo detto tante volte. E la cosa di certo non provoca facili illusioni ma facili, facilissime paure.