Attualità

Sentinella della salute da 145 anni: storia dell’ospedale di Niscemi

Pubblicato

il

Giornata di festa e commemorazione del ricordo oggi a Niscemi. Il Comune, l’Asp ed il Museo civico hanno voluto anticipare la festa del 150°, non hanno voluto aspettare ed hanno organizzare il giorno del ricordo. Alla cerimonia presenzieranno il sindaco di Niscemi Massimiliano Conti, il commissario dell’ Asp Alessandro Caltagirone, suor Itala Nuzzolese vicedirettrice dell’Istituto Sacra Famiglia ed il direttore del Museo civico Franco Mongelli. Introduce il direttore sanitario Alfonso Cirrone Cipolla; la relazione sarà affidata al prof. Rosario Antonino Rizzo. Ha visto rivivere e morire decine di migliaia di persone, a ponte di due guerre mondiali. Ha assistito a momenti di rinascita e declino in strutture antiche e moderne. Una presenza fondamentale per la comunita’ per le emergenze. Oggi vive una nuova stagione mentre nel comprensorio le strutture sanitarie sono in agonia.

L’ospedale venne inaugurato il 28 febbraio. Fu realizzato al piano superiore dell’antico convento dei Frati Minori Riformati, oramai abbandonato dopo l’Unità d’Italia e l’incameramento tra i beni dello Stato. Fu un evento provvidenziale, perché qualche anno dopo a Niscemi arriverà il colera: le scuole furono chiuse e la gente lasciò il paese per rifugiarsi in campagna. Eppure una qualche forma di ospedale doveva pur esistere: ne parla l’abate Francesco Sacco nel suo Dizionario Geografico del Regno di Sicilia, stampato nel 1800. Lo qualifica “Spedale per infermi poveri” e probabilmente allude a un qualche locale nel quale venivano curati coloro che non si potevano permettere il lusso di rivolgersi a un medico. Con ogni probabilità era ospitato nel convento dei Frati, oggi adibito a Museo Civico. Il 23 settembre del 1968, dopo lavori di ristrutturazione, venne riaperto alla presenza dell’on. Volpe, sottosegretario alla sanità.

Grazie alla ricerca storica del direttore Cirrone Cipolla e degli studiosi Antonio Rizzo e Maurizio Vicari, ecco uno stralcio del discorso del sindaco Generale Gaetano Samperi il giorno dell’insediamento in Consiglio comunale nel 1950.

“La cessata amministrazione ha dovuto risolvere anche un altro grave problema: quello cioè del riordinamento del nostro ospedale. Voi sapete che quest’ospedale sorto in un vecchio convento dei frati minori, commento che in virtù delle leggi eversive e conversive del 1866 e del 1868 era passato, come tanti altri conventi, allo Stato e che lo Stato aveva ceduto al Comune che a sua volta godibile in parte a carcere manda mentale ed in parte all’ospedale per il ricovero degli ammalati poveri. Dopo lunghe pratiche burocratiche, esperite dal Comune, l’ospedale fu, nel 1872, eretto ad ente morale, ( con Regio Decreto che istituisce l’Ospedale) ma continua a funzionare come una infermeria alla diretta dipendenza dal Comune, il quale, oltre a fornirgli il medico ed i medicinali aveva impostato nel suo bilancio delle somme, senza delle quali non sarebbe stato possibile il suo funzionamento. Per fortuna della pia opera, generosi cittadini, morendo, avevano istituito per essa dei lasciti che sebbene non cospicui pure erano valsi a mantenerla in vita. E finché la retta ospedaliera si mantenne in limiti molto modesti, il Comune, traendone vantaggio di questo stato di cose ed attingendo al patrimonio dell’ente, aveva ridotto la sua sovversione sovvenzione fino a quasi abolirla del tutto. ne venne di conseguenza che gli ammalati poveri, ricoverati per conto del Comune, venivano mantenuti dall’ospedale, che usufruiva soltanto del medico ed è lì e dei medicinali rimasti a carico del Comune stesso. Il 28 febbraio 1878 venne inaugurato l’ospedale. E quando la spesa per i medicinali venne ad aumentare a dismisura, il Comune deciso di togliere tale sovvenzione, Mettendo invece nel suo bilancio un corrispettivo fisso che andò sempre diminuendo, perché l’autorità tutorio, ritenendola una gratificazione, in giunse ad un certo punto di abolirla perché, secondo lei, la spesa era facoltativa. L’ospedale con i lasciti ricevuti avrebbe potuto certo vivere una vita autonoma, ma amministratore di corta veduta vendettero la proprietà dell’ente per trasformarla in titoli di rendita, senza pensare che una eventuale guerra (che era proprio alle porte) avrebbe ridotti nel nulla tanto i titoli che la rendita; sicché mentre la proprietà stata già alienata starebbe a rappresentare oggi il patrimonio di almeno 20 milioni di lire(con il reddito relativo 2 milioni annui) la rendita che l’ha sostituita rappresenta il valore nominale di lire 230.000 con il reddito annuo di circa lire 10.000. In questo stato miserando di cose il Comune non poteva certo pretendere di attingere ancora al patrimonio ospedaliero e si rendeva quindi necessaria la riforma tanto dello statuto e dal suo regolamento, riforma che il consiglio era restio ad accettare ma che poi ha provato, dopo mie vive insistenze, con i suoi due deliberati del 22 febbraio 1947 e del 26 gennaio 1948. In forza di tali deliberati, l’ospedale rinunciando all’elemosina di somme che gli venivano date a titolo di gratificazione dal Comune, che invece gliele doveva, può senz’altro esigere da esso il pagamento integrale delle rette ospedaliere dovute dovutole, per legge, per il ricovero degli ammalati poveri.la nomina del comitato amministrativo dell’ospedale rimane però sempre di competenza del consiglio comunale, ma l’ente al suo bilancio, nomina del suo personale secondo le norme stabilite dal nuovo regolamento e fissa la rete ospedaliera tenendo presente che la spesa di esercizio ed i prezzi correnti nel mercato.in questo primo periodo però che diremo di assestamento, l’ospedale ha il diritto di usufruire ancora del medico gratuito e di chiedere al Comune l’assegnazione di un chirurgo, sono pensionato dal Comune stesso, cosa che, con deliberazione consiliare del 26 gennaio ’49, è stata effettuata con la nomina ad hoc del prof. Corrado Loreto con questi provvedimenti, l’ospedale, liberato dalle pastoie che gli impedivano di potersi evolvere, a iniziato il suo cammino eccezione ascensionale sotto la guida amorevole del Dott. Giugno, che ne ha iniziato la trasformazione, usufruendo di una prima sovvenzione di lire 4 milioni sulla somma maggiore da noi richiesta, con deliberato della giunta dell’8 giugno 1949”.

Il Beato Pietro Bonilli, sacerdote della Diocesi di Spoleto e fondatore dell’istituto delle Suore della Sacra Famiglia, nel 1901 ha portato a Niscemi le Suore in quello che era allora l’ospedale, una semplice infermeria, per prestare assistenza agli ammalati.

Dal 12 luglio 1994 l’ospedale di Niscemi porta il nome di suor Cecilia Basarocco che vi lavorò per oltre cinquant’anni alleviando le sofferenze di malati e ricoverati, prima che il 7 novembre 1986 esalasse il suo ultimo respiro. Angela Basarocco nasceva nel lontano 1914, il 17 novembre, a Racalmuto, un piccolo paesino della provincia di Agrigento. Decise di entrare in convento e farsi suora poco più che maggiorenne, prendendo il nome di Suor Cecilia, ma non per questo abbandonò la sua opera caritatevole tra gli infermi e gli indigenti, svolgendo instancabilmente fin da giovane la professione di infermiera presso l’ospedale civico di Niscemi: spesso, in assenza del medico, era lei stessa a effettuare le diagnosi sui pazienti, salvando molti di essi da morte certa. Ma Suor Cecilia Basarocco viene ricordata anche per un altro episodio, occorso nella sua Sicilia durante lo sbarco degli Alleati nell’estate 1943: il 10 luglio gli Anglo-Americani misero piede sull’isola, non prima di aver devastato gli abitati lungo la costa con terribili bordate dalla navi ancorate al largo e con devastanti bombardamenti aerei, per facilitare il successivo sbarco dei mezzi anfibi e delle truppe. Fin dai primi momenti, quindi, gli ospedali vennero invasi dai feriti, da Tedeschi e Italiani che tentavano di respingere in ogni modo l’esercito alleato che metteva piede sulla spiaggia.

Tra l’11 e il 12 luglio, intanto, quasi tutto il personale medico aveva evacuato l’ospedale, lasciando Suor Cecilia praticamente sola a prendersi cura dei soldati feriti, tra cui figuravano anche dodici soldati tedeschi: giunti a Niscemi, gli Americani cominciarono a effettuare perquisizioni e interrogatori verso tutti coloro che indossassero una divisa. Su mediazione della stessa religiosa, il comando americano predispose che tutti gli Italiani potessero fare ritorno liberamente alle proprie abitazioni, mentre per i soldati di Berlino si sarebbe profilata una sorte peggiore: essere fucilati. Ed è qui che la storia di Suor Cecilia prese una svolta inaspettata: quando ormai per i dodici soldati sembrava non ci fosse più nulla da fare, con il plotone ormai schierato e pronto a fare fuoco, la giovane religiosa uscì correndo, frapponendosi tra gli Americani in procinto di sparare e i Tedeschi gridando: “Sparati macari a mmia, u Signuri vi iuta”. Alla vista di ciò, il plotone di esecuzione esitò, rimase come pietrificato di fronte a questa suora vestita di bianco che tentava l’impossibile per salvare la vita, rischiando la sua, di un gruppo di militari feriti. Venne così deciso di portare i prigionieri a Gela e di imbarcarli su una nave diretta ai campi di prigionia, ma nel cuore di quei soldati salvati dalla scarica di fucileria nemica rimase vivo il ricordo di Suor Cecilia Basarocco, l’angelo bianco di Niscemi.

clicca per commentare

Più letti

Exit mobile version