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La parola della domenica

“Chi si attacca alla terra, ad essa resta attaccato”

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo San Luca Lc 24, 46-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Il vangelo di oggi ci propone di guardare alla vita da un altro punto di vista: dalla terra verso il cielo! Gesù è asceso al cielo soltanto dopo aver compiuto tutta la volontà del Padre. Prima della Passione, vivendo la Passione, Morendo e Risuscitando. È interessante riflettere sulle sue ultime parole prima di consegnare il suo spirito. Ha detto: «È compiuto!» (Gv 19,30). Infatti, vivere da cristiani coscienti significa avere consapevolezza di ciò che siamo chiamati a compiere su questa terra prima di arrivare in cielo. In una meditazione del secondo mistero glorioso, leggiamo due domande che favoriscono questa presa di coscienza. La prima domanda è: “Stiamo ascendendo verso l’alto delle (realtà) eterne? La seconda spiega la prima: “Stiamo camminando verso l’alto delle (realtà) immortali? Signore, distogli i nostri occhi dalle cose che passano […]”. (cfr. fra Volantino, SLC, p 419). E sì, perché l’ascensione verso il cielo è preceduta da un camminare quotidianamente verso l’alto, compiendo la volontà di Dio fatta di azioni concrete, rinunciando ad ogni genere di attaccamento. San Pio ci ricorda che: “Chi si attacca alla terra, ad essa resta attaccato. È meglio staccarsi poco per volta, anziché tutto in una volta. Pensiamo sempre al cielo!”

San Pio da Pietrelcina, a cura di P. Geraldo

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La parola della domenica

La pace, messaggio di Dio, dimenticata…

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

 Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.


Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate”.

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“Giovanni ci fa alzare il capo, mentre ci trasmette tutto quello che ha sperimentato di Gesù .E lo concentra in tre parole: la prima è “dimora”. Se uno mi ama, io e il Padre verremo e prenderemo dimora in lui. Dio è venuto, mi abita, è entrato in me più dell’aria nei polmoni, più del sangue nelle vene.

In me? Ma davvero? Qui troverai ben poco Signore, starai alle strette; però ti assicuro che cercherò un pezzetto di casa dove tu possa sentirti amato, un riparo, un nido per la pace che tu porti. Seconda parola: “pace”. Gesù risorge e incontrando i suoi la prima parola che erompe dal cuore è: Pace a voi!

Lo ha ben capito anche papa Leone, impostando su questo sogno di pace il suo primo messaggio. Ma Gesù regala una certezza, non un augurio; dice che la pace è già qui, è nelle mani e nel cuore: vi do la mia pace, ma non come fa il mondo. Scende pace, piove pace sui cuori e sui giorni. È pace. La pace che non si compra e non si vende; dono che diventa conquista con un artigianato paziente.

Come? Respingendo i tre maledetti verbi della guerra: prendere, depredare e impossessarsi anche di ciò che non è tuo; salire, cercare prestigio e grandezza, essere il più grande; dominare, la seduzione e la prostituzione del potere. A questi, Gesù lungo tutto il suo vangelo contrappone tre verbi benedetti: dare, condividere e donare, anziché tenere in pugno; scendere, come il Samaritano buono, che scende da cavallo e si china sul dolore;servire, verbo per coraggiosi e innamorati, per madri che sanno dire: “prima vieni tu, e dopo io”.

Dare, scendere servire. Tre verbi benedetti, che disarmano le menti. Terza parola-promessa riguarda lo Spirito Santo: Vi ricorderà, vi insegnerà, ri-porterà al cuore, ri-accenderà tutto Gesù. Inciderà di nuovo nell’intimo gesti e parole di lui, di quando passava e guariva la vita.Ma poi non basta, lo Spirito vi insegnerà nuove sillabe divine, parole nuove mai dette ancora e nuovi pensieri, vi farà affondare le mani nel futuro, rinnoverà la faccia del mondo. Insegnerà a ciascuno, perché lo Spirito Santo non è la riserva di qualche eletto, perché ogni cristiano ha tanto Spirito quanto ne ha il papa, ha tutto lo Spirito di cui ha bisogno per fiorire, creare, ed essere nella vita donatore di vita.

Lo Spirito ci fa innamorare di un cristianesimo che sia visione, incantamento, fervore, poesia, slancio. E fioritura anche delle mie spine. Dimora. Spirito. Pace. Parole impastate di leggerezza e di soffio ardente. La pace si fa solo piantando piccole oasi di alleanza là dove siamo chiamati a vivere, ciascuno con la sua piccola palma di pace piantata nel deserto della storia.E quando la mia oasi più la tua, il mio metro quadro di pace più il tuo, più quello di un altro al nostro fianco, più quello del vicino, quando saranno milioni, le piccole oasi conquisteranno il deserto e lo faranno fiorire”.

p. Ermes Ronchi

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La parola della domenica

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Giovanni.

Gv 13,31-33a.34-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Il Vangelo di oggi ci conduce nel Cenacolo per farci ascoltare alcune delle parole che Gesù rivolse ai discepoli nel “discorso di addio” prima della sua passione. Dopo aver lavato i piedi ai Dodici, Egli dice loro: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Ma in che senso Gesù chiama “nuovo” questo comandamento? Perché sappiamo che già nell’Antico Testamento Dio aveva comandato ai membri del suo popolo di amare il prossimo come sé stessi (cfr Lv 19,18). Gesù stesso, a chi gli chiedeva quale fosse il più grande comandamento della Legge, rispondeva che il primo è amare Dio con tutto il cuore e il secondo amare il prossimo come sé stessi (cfr Mt 22,38-39).Allora, quale è la novità di questo comandamento che Gesù affida ai suoi discepoli? Perché lo chiama “comandamento nuovo”? L’antico comandamento dell’amore è diventato nuovo perché è stato completato con questa aggiunta: «come io ho amato voi», «amatevi voi come io vi ho amato». La novità sta tutta nell’amore di Gesù Cristo, quello con cui Lui ha dato la vita per noi. Si tratta dell’amore di Dio, universale, senza condizioni e senza limiti, che trova l’apice sulla croce. In quel momento di estremo abbassamento, in quel momento di abbandono al Padre, il Figlio di Dio ha mostrato e donato al mondo la pienezza dell’amore. Ripensando alla passione e all’agonia di Cristo, i discepoli compresero il significato di quelle sue parole: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». (Papa Francesco)

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La parola della domenica

“Io sono il buon pastore..”

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola”

“Io sono il buon pastore, conosco le mie pecorelle, le conosco e loro conoscono me». Domenica scorsa, se vi ricordate, nel Vangelo abbiamo sentito il dialogo di Gesù con Pietro: «Mi ami? Pasci le mie pecorelle». Oggi, nel Vangelo, il Risorto si presenta ancora, si presenta e assume tutta la responsabilità del Pastore. Ci sarà Pietro, ci saranno altri pastori, ma è Lui che le guida alle sorgenti della vita: loro appartengono a Lui, perché Lui dà a loro la vita, le salva. La quarta domenica del Tempo Pasquale spesso viene chiamata domenica del Buon Pastore, perché così si chiama Lui stesso nel brano odierno. È il buon pastore che ha dato tutto per il suo gregge. Ha dato la vita per l’umanità, è il modello, l’esempio di come ogni persona, ogni uomo, deve crescere, crescere nella santità, nella consacrazione a Dio. Ma oggi, questa domenica del Buon Pastore, da anni viene anche celebrata come domenica di preghiera per le vocazioni. La parola “vocazione” vuol dire chiamata. Noi tutti siamo chiamati, abbiamo ricevuto diverse vocazioni. Siamo stati chiamati alla vita per mezzo dei nostri genitori, da nulla siamo stati chiamati all’esistenza, a vivere. E la nostra vita non finirà mai più. Ciascuno di noi, poi, ha una propria vocazione, vocazione specifica, la vocazione che lo porta, che lo guida verso la santità: la vocazione alla vita religiosa, alla vita matrimoniale, al celibato, vedovile… Ma in ogni stato di vita noi siamo l’unico gregge, il Suo gregge, il gregge che Egli guida. La nostra vita è una risposta concreta alla Sua chiamata, che in questo tempo di Pasqua risuona ancora più squillante, più forte, più bella… Tante volte, in questi giorni di Pasqua, abbiamo visto il Signore, lo abbiamo visto con la Maddalena, con i discepoli, con gli Apostoli, sempre più forti, sempre più missionari. Ed anche oggi ci si presenta il Signore Risorto, Lui, Pastore, il Pastore che ha offerto la vita per le proprie pecorelle. Nella prima lettura abbiamo sentito san Paolo, Bàrnaba, i loro sforzi missionari per la fede della Chiesa, che non può rimanere nascosta: si manifesta sempre più, va, annunzia, proclama, spiega quella luce… Ma il cuore degli ebrei, dei farisei, continua ad essere duro. Continuano a rifiutare la Buona Novella, come hanno fatto con Gesù. Sono gelosi della fede che loro stessi proclamano, sono gelosi di Dio nel quale loro stessi credono. Ma il Signore, anche dai nostri peccati, sa fare cose buone. Dal loro rifiuto, san Paolo deduce che il messaggio cristiano è rivolto ai pagani, è rivolto a noi. «Era necessario – dice Paolo – che ci rivolgessimo prima a voi, ma voi vi siete rivelati indegni della Buona Novella, e allora ci rivolgiamo ai pagani». Un progetto divino, una profezia che già san Giovanni, nell’Apocalisse, ha visto, ha predetto. Da quel messaggio, da quella intuizione di Paolo nasce una moltitudine immensa, di ogni nazione, di ogni razza, di ogni popolo e lingua, in mezzo alla quale c’è quella figura che san Giovanni chiama l’Agnello, ma in cui noi riconosciamo il Pastore grande, e conosciamo e sappiamo che quell’Agnello senza macchia è Cristo, Cristo – Re dei re e Signore dei signori. A Lui, che è, che era e che sarà, lode, gloria e potenza nei secoli eterni.

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