Don Angelo Ventura: “I giovani devono essere ascoltati e non giudicati”
Sorpreso dalla richiesta di intervista, ribatte istintivamente: “E’ un pesce d’Aprile?”. Assolutamente no, tutt’altro. Disquisire di vari argomenti con don Angelo Ventura, gelese e fiero di esserlo, p...

Sorpreso dalla richiesta di intervista, ribatte istintivamente: “E’ un pesce d’Aprile?”. Assolutamente no, tutt’altro. Disquisire di vari argomenti con don Angelo Ventura, gelese e fiero di esserlo, personalmente lo ritengo un vero piacere. Non si sottrae ad alcuna domanda “perché – dice – il mestiere del giornalista è fatto di domande, anche scomode, alle quali bisogna rispondere. Con garbo. Per il rispetto di chi legge”. Nato a Gela il 18 luglio del 1980, dopo avere ottenuto il diploma all’istituto professionale, scopre e vive la propria vocazione. Con speranza e coraggio, riconoscendola come un dono d’amore e servizio, avverte la presenza di Dio e intraprende il cammino verso la felicità autentica che lo indirizza al seminario Vescovile di Piazza Armerina. E’ il settembre del 2001.Frequenta la facoltà teologica di Sicilia a Palermo e consegue il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia. Dopo l’esperienza da diacono nel 2008, un anno dopo viene ordinato sacerdote dal Vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, Michele Pennisi. Attualmente guida la parrocchia Maria Santissima di Lourdes in Sant’Anna ad Aidone, nell’Ennese.
“Dal 2018 vivo la mia esperienza Pastorale presso questa comunità Parrocchiale, prima come Amministratore e poi come Parroco dal 2021. La Parrocchia, prima del mio ingresso, ha avuto parecchie vicissitudini con l’avvicendarsi di diversi sacerdoti in poco tempo, causando nei fedeli frammentarietà e instabilità nelle attività pastorali, una comunità ferita e delusa. In poco tempo si è creata una bella sinergia tra i parrocchiani e il suo parroco. Ho dovuto risistemare e dare nuova dignità sia all’aula liturgica sia ai locali adiacenti, adibiti a aule catechistiche. La sede è una Chiesa Francescana del 1600 che custodisce molte opere di grande prestigio, tra cui un crocifisso ligneo del 1633 di Fra Umile da Petralia e altre opere di notevole prestigio artistico. Era anche il tempio della Città di Aido, considerato che al suo interno sono presenti epitaffi del tempo, che hanno dato lustro sia alla città di Aidone che alla Chiesa, foraggiando i Frati e arricchendola di arredi e pareti che ai locali adiacenti, adibiti ad aule catechistiche. A fianco della chiesa sorgeva il convento dei Frati Riformati e ancora si può ammirare una parte dell’antico chiostro, e un grande giardino, curato dalla Confraternita del Santissimo Crocifisso, dove hanno la loro sede. Al di là delle migliorie strutturali e dell’arricchimento degli arredi liturgici, la mia più grande soddisfazione è vedere una comunità vivace e propositiva, zelante e in continua crescita. Aidone è un piccolo centro abitato, meno di 5000 abitanti, ma tra bambini del Catechismo e gli Scout del Gruppo Agesci, sono un centinaio i ragazzi che frequentano la mia Parrocchia”.
Dall’anno scorso, ricopri anche l’incarico di Vice Cancelliere del Tribunale Ecclesiastico Diocesano di Piazza Armerina e Notaio dello stesso tribunale. In cosa consiste?
“Come ci ricorda la costituzione ‘Sacrosanctum Concilium’ del Vaticano II, la Chiesa ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili. La dimensione umana e visibile della Chiesa si attua in una struttura organizzativa comprendente le norme che disciplinano le relazioni dei soggetti che a essa appartengono, cioè i battezzati. La struttura organizzativa costituisce un vero e proprio ordinamento giuridico (Codice di Diritto Canonico) dotato di indipendenza e sovranità, che presenta tuttavia caratteristiche del tutto peculiari e diverse rispetto agli ordinamenti statali, in quanto si fonda su presupposti teologici e tende a una finalità spirituale e ultraterrena. Ogni vescovo diocesano è giudice di prima istanza ed è tenuto a costituire un tribunale nell’ambito della sua diocesi. In definitiva i tribunali della Chiesa sono competenti in maniera esclusiva per la conoscenza delle questioni di natura spirituale, come ad esempio stabilire la validità o meno di un sacramento. Il Tribunale Ecclesiastico della nostra diocesi di Piazza Armerina è Tribunale di prima istanza, per le cause di Nullità Matrimoniale e Tribunale di seconda istanza per la diocesi di Agrigento. Il mio ruolo consiste nel custodire l’archivio ufficiale, ho il compito di notaio durante le deposizione delle Parti e dei Testi, mi occupo della stesura dei vari decreti e degli atti che si producono durante l’istruttoria processuale e la loro pubblicazione, li certifico e controfirmo. La mia firma fa fede pubblica”.
Troppi scandali nella chiesa. Pedofilia e abusi anche da parte di sacerdoti…È una ferita aperta
“Dici bene, è una grande ferita aperta che gronda sangue di tutte quelle vittime innocenti, tradite da chi doveva curarli, sanare le ferite dei cuori spezzati e non tradire la fiducia di chi aveva messo nelle loro mani le loro vite, per incontrare Cristo datore di ogni speranza. Siamo chiamati tutti, ma soprattutto noi preti, a un rinnovato e perenne impegno alla Santità, conformandoci a Cristo Buon pastore. Mi affido al monito di Papa Francesco che avverte: «Il consacrato, scelto da Dio per guidare le anime alla salvezza, si lascia soggiogare dalla propria fragilità umana, o dalla propria malattia, diventando così uno strumento di Satana. Negli abusi noi vediamo la mano del male che non risparmia neanche l’innocenza dei bambini». Il vangelo secondo Marco riporta: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare». La Chiesa si sente chiamata a combattere questo male che tocca il centro della sua missione: annunciare il Vangelo ai piccoli e proteggerli dai lupi voraci. Gli scandali, purtroppo, ci sono sempre stati, ma la Chiesa è di Cristo e noi sappiamo che le porte degli inferi non prevarranno su di essa. Ecco perché nella Chiesa è cresciuta la consapevolezza di dovere non solo cercare di arginare gli abusi gravissimi con misure disciplinari e processi civili e canonici, ma anche affrontare con decisione il fenomeno sia all’interno sia all’esterno della Chiesa. Ci si affida al Giudizio di Dio, per prendere coscienza, affinché ci si converta e si faccia penitenza per il peccato commesso. Ci si affida anche alla giustizia terrena perché sia stabilita la giusta serenità tra le parti. Siamo consapevoli che ogni reato è peccato. Sappiamo che il Signore non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Questo non significa giustificare il reo né tantomeno “far finta che non sia successo nulla”, ma lavorare su due fronti: uno Spiritale, il Processo Canonico, che ha lo scopo di far riflettere sulla scelta di vita che il ministro ha fatto, la sua maturità affettiva e la sua relazione con il Signore. Dall’altro canto, il Processo Civile, quando il peccato è anche reato, ci si affida alla giustizia dello stato, perché si faccia chiarezza e si possa arrivare alla verità, in nome del popolo Italiano di cui noi facciamo parte. Una vera purificazione delle coscienze”.
Come leggi gli ultimi report in cui si evince che diversi giovani sacerdoti lasciano il Ministero? Dove cercare le cause di quanto accade?
“Essere prete è una grazia da vivere sempre con gioia e speranza, a servizio della Chiesa giorno dopo giorno. Un impegno da esercitare, appunto, con speranza, sapendo che la gioia cristiana non è frutto dei risultati sperati, che l’attività, la competenza o le coincidenze possono raccogliere meno di quanto ci si attendeva; non è frutto della popolarità di cui un prete può godere, non è frutto di condizioni di vita favorevoli o garantite che dà valore alla nostra vocazione ma è lo stare con Gesù che ci dà la forza di vivere la missione nonostante tutto. Noi non annunciamo noi stessi ma Cristo morto e risorto. Perciò la letizia nella speranza non sarà cancellata o soffocata, anche quando ci sarà dato di sperimentare risultati stentati, di attraversare l’impopolarità delle scelte e della parola anticonformista, per essere coerenti con la nostra missione. La potenza di Dio si dimostra perfetta nella debolezza umana e il Signore può servirsi di te malgrado la tua debolezza, anzi è determinato a portare a termine i suoi obiettivi attraverso uomini che hanno delle debolezze. Cioè incapaci, non abili per un servizio o uno scopo, carenti, incerti, con delle lacune, aggiungo qualche altro sinonimo: arrendevole, fragile, fiacco, incerto, malandato, precario, stanco, carente…Ebbene il Signore nella nostra debolezza ci dà la forza. La logica di Dio che stride con la logica del mondo che ci mostra tutto il contrario. San Paolo aveva compreso bene che nella debolezza dimora la virtù di Cristo, accettò di buon grado la risposta della sua preghiera. San Paolo può compiacersi; in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo. Quando si spegne l’entusiasmo, quando ci si lascia sopraffare delle difficoltà e soprattutto quando non si alimenta lo Spirito nella Preghiera, quando si smarrisce la consapevolezza che il nostro primo compito è stare con Gesù, per poi vivere la missione dell’annuncio gioioso del Vangelo, non ci si trova più nella scelta fatta e si torna indietro o peggio ancora ci si rifugia nei surrogati e si cerca il senso della vita in dei vicoli ciechi. Il sacerdozio è una scelta da vivere contro corrente, oggi più che mai è una scelta radicale di vita. Calano drasticamente le vocazioni e i seminari sono sempre più vuoti. La realtà deve interrogare tutti e non solo gli “addetti ai lavori” principalmente riflettiamo su come viviamo la testimonianza della nostra fede in un mondo che cambia”.
Quando e come hai sentito la chiamata?
“Parto da quello che ha detto un celebre Frate domenicano, padre Sertillanges: “la vocazione è quello che uno è”. Ogni storia vocazionale è una storia a sé, ci può essere un’esperienza simile ma mai uguale. Così è ogni storia vocazionale, unica e irripetibile. Mi vengono in mente le parole del Profeta Geremia parlando della Parola che Dio gli rivolge quando lo sceglie per una missione, quella di diventare portatore di una Parola non sua: “Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; e prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni”. Sono cresciuto in una famiglia molto religiosa e dai sani principi. Ho imparato a pregare dai miei genitori e dai miei nonni materni. Dalla mia famiglia sono nate molte vocazioni sia alla vita consacrata che al sacerdozio, posso dire, con una battuta che sono “figlio d’arte”. Credo che da sempre abbia avvertito la chiamata al Sacerdozio. Da piccolo facevo il ministrante in Chiesa Madre, ricordo che non volevano farmelo fare perché non avevo fatto la prima Comunione e piangevo a mio nonno che mi “raccomandasse” al parroco per poterlo fare. Finalmente mi fu accordato, forse per l’insistenza e la costanza nel chiedere. Ero felicissimo e orgoglioso di essere ministrante. Coltivavo già in me il desiderio di diventare prete, servivo la Messa e amavo indossare quella tunichetta nera con la cotta bianca, mi preparavo molto tempo prima della Messa per scendere tra i banchi della chiesa e farmi salutare dalla gente. La mia difficoltà da bambino, che ostacolava il mio cammino verso il sacerdozio, era la paura di eseguire l’omelia. Crescevo tra scuola, amici e Parrocchia. Sotto la guida sapiente del mio Parroco, il compianto monsignor Grazio Alabiso, ho imparato a vivere la fede nonostante i nostri limiti umani e la nostra incredulità”.
Poi, cosa è successo?
“Arriva il tempo dell’adolescenza e dei primi amori. Conosco una ragazza, che frequentava il mio stesso gruppo giovanile della Parrocchia, e mi innamoro di lei. Ci sono voluti ben nove mesi di corteggiamento (storie di altri tempi), e finalmente, dopo mille dichiarazioni mi dice di “si”. Ero euforico e molto innamorato. Continuavo a fare il chierichetto, ma poi decisi di smettere anche perché ormai mi sentivo grande. Credevo che il Signore mi chiamasse a servirlo non più sulla via del sacerdozio ma nella vita coniugale, anche se, a dire il vero, non ho mai avuto l’idea di sposarmi, ma da un adolescente innamorato la razionalità a volte conta poco. Il fidanzamento dura circa due anni e poi, per una serie di eventi e circostanze ci siamo lasciati. Ricordo che è stato un trauma, ma allo stesso tempo mi ha aiutato a far discernimento. Ricordo che la domanda che sovente facevo a Dio era questa: “ma se dovevi togliermela perché me l’hai fatta incontrare?”. È stato un periodo difficile per un adolescente. Cercavo me stesso, non sapevo quale fosse più la mia strada. Cominciai ad avere altre storie con altre ragazze, ma in nessuna di loro trovavo la possibilità di essere felice, sentivo che qualcosa mi mancava e non riuscivo a capire cosa cercassi realmente. Decisi di trovare un senso alla mia vita stando da solo e non più in coppia. Frequentavo sempre la Parrocchia, ero un tipo da comitiva, allegro, socievole ed estroverso e questo mio modo di essere mi portava facilmente a fare nuove amicizie. Mi diplomo come Tecnico di Laboratorio Chimico Biologico presso l’istituto professionale di Gela. Aspettavo la chiamata militare che però tardava ad arrivare avendo rinviato la partenza a causa degli studi. Trovai lavoro in una famiglia, una sorta di badante a un bimbo autistico, paralitico e cieco. Lo accompagnavo a scuola e poi a svolgere fisioterapia presso l’Aias a Manfria. Durante le sedute fisioterapiche del ragazzo, mi trovavo solo e in silenzio seduto su una panca nel giardino della struttura, a pregare Dio e a parlare con me stesso, chiedevo un segno, che mi guidasse a una scelta giusta. Mille domande ma pochissime risposte. Rimanendo con questo bambino, mi venivano in mente le parole del Vangelo secondo Matteo: “qualsiasi cosa avete fatto a uno di questi fratelli più piccoli lo avete fatto a me”, vedevo questo lavoro più come un servizio che come fonte di sostentamento. Questo è stato il mio cammino spirituale e il mio campo vocazionale. Faccio esperienza nei Frati Domenicani prima e dai Frati Cappuccini dopo, aiutato da un frate che si occupava dei giovani e del discernimento vocazionale. Ma sentivo che non era la mia strada la vita nel convento, anche se affascinato dalla vita e dall’esempio di San Francesco d’Assisi. Partecipo, come volontario, al Grande Giubileo del 2000. Le parole del Santo Padre, San Giovanni Paolo II, quel suo invito a non avere paura e ad aprire anzi a spalancare le porte a Cristo mi davano coraggio. Mi rivolgo al mio parroco e lui mi guida al discernimento. Padre sapiente e di grande saggezza vede in me un cambiamento, dato che sin da piccolo mi ha seguito in Parrocchia e mi ha visto crescere in tutti i sensi. Mi invita a partecipare a un campo vocazionale, organizzato dal nostro Seminario Vescovile di Piazza Armerina. Vado in agosto e a settembre dello stesso anno, era il 2001, entro in Seminario. Dopo poco tempo, dal mio ingresso, ricevo una lettera da parte dell’ordinariato Militare in cui mi veniva comunicato il mio congedo, per sovrannumero. In quell’occasione, ancora una volta, ho visto la mano del Signore che mi guidava, quasi a conferma della giusta scelta fatta”.

Deduco che i tuoi genitori siano stati contenti della scelta operata
“La mia famiglia è molto credente. I miei genitori frequentavano, da qualche anno, il Cammino Neocatecumenale nella Parrocchia Santa Maria di Betlemme, e quindi molto zelanti e partecipi alla vita parrocchiale. Il mio ingresso in Seminario fu improvviso, perché mai avevo esternato questa mia volontà di farmi prete, anche se, ne sono certo, che una mamma conosce il cuore dei figli e percepisce anche i sussurri più nascosti, e dunque se lo aspettava. Mio padre era un tipo molto taciturno, non disse nulla, non mi manifestò né una sua disapprovazione né un suo acconsentire, ma il suo era un tacito consenso. Vedevo nei suoi occhi la gioia di questa mia scelta, che rifletteva la felicità del cuore. Mio padre morì d’infarto il 19 marzo del 2005 (era il sabato che anticipava la Domenica delle Palme), qualche giorno prima della mia ammissione agli Ordini Sacri del Diaconato e del Presbiterato, che ho ricevuto la mattina del Giovedì Santo in Cattedrale durante la Messa Crismale. Un momento di prova forte. Decisi di andare avanti, perché proprio la certezza della Vita Eterna, che ero chiamato a testimoniare, mi ha dato la forza di dire il mio primo “eccomi” al Signore che mi aveva scelto e chiamato. Se mi fossi tirato indietro sarei venuto meno a quella promessa fattami dal Signore, che ora mi consacrava nel suo Amore”.
Com'era la tua vita prima di indossare l'abito talare?
“Sono molto soddisfatto della mia infanzia e adolescenza. Non ho nulla che mi faccia dire “ah sé potessi tornare indietro…” Ero un ragazzo semplice, mi piaceva scherzare e nessuno mai poteva immaginare del mio ingresso in seminario. Non sono mai stato bigotto né tantomeno ingabbiato o ingessato in degli schemi predefiniti”.
Sognavi di diventare prete?
“Quando ero bambino sognavo di fare il prete, ma esclusivamente in Chiesa Madre la mia parrocchia di origine, dove ho vissuto tutte le più belle esperienze, e dove è germinata la mia vita vocazionale. Su questo posso dire che il Signore ha assecondato il mio innocente desiderio di bambino, perché per cinque anni ho lavorato in Chiesa Madre, come Vicario Parrocchiale, accanto al mio parroco che mi ha visto crescere e diventare Prete”.
Hai incontrato qualche difficoltà nel tuo cammino sacerdotale?
“Spesso, guardando a noi Preti, la gente si sofferma su ciò a cui abbiamo rinunciato, senza considerare ciò che invece abbiamo abbracciato. Ogni rinuncia cristiana non è nient’altro che l’acquisizione di qualcosa di molto più bello e non esiste alcuna rinuncia che non sia in vista di qualcosa di molto più costruttivo, molto più ricco. Ogni scelta di vita ha le sue difficoltà. Il diventare Preti non significa essere arrivati a una meta ma è l’arrivo per una nuova partenza, che giorno dopo giorno ci aiuta a vedere chi siamo e cosa desideriamo, si vivono gioie nuove ma anche dolori nuovi. Di difficoltà ne ho avute tante…”
Quali?
“Appena ordinato Prete fui mandato a Niscemi, presso il Santuario della Madonna del Bosco, Patrona della città. Non è stato semplice il primo periodo, abituato in Seminario ad avere tutto pronto e a essere servito, mi sono trovato da solo in canonica a provvedere in tutto al mio sostentamento, dal cucinare a lavare. Ho fatto molte esperienze belle, una tra tutte aver incontrato il Gruppo Scout Agesci. Prima di innamorarmi del metodo Scout sono rimasto conquistato dalla dedizione dei giovani. Capii che potendo spendere il loro tempo per dedicarsi alla loro vita privata, rientravano il venerdì dall’università. Il giorno dopo ci si incontrava per la riunione organizzativa con i ragazzi delle varie “Branche” e poi la domenica sera rientravano a Catania o nelle varie sedi universitarie, per partecipare alle lezioni. Il loro esempio, più che delle parole, mi ha fatto sposare in pieno il metodo Scout. Ho imparato da loro il valore del servizio e del donarsi al prossimo. Ho ricoperto poi la carica di Assistente Ecclesiastico della zona Erea nel 2010. Ho imparato che con l’esempio puoi educare al rispetto di sé stessi, se sei sempre gentile con te e con gli altri, infatti, qualcuno ti imiterà e imparerà ad apprezzare le cose buone. Nella mia vita sacerdotale, sempre ho sperimentato la fedeltà di Dio che non mi ha fatto mancare mai nulla, soprattutto nei momenti più difficili e di solitudine. Faccio mie le parole dell’orante del salmo 33 “Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino”.
Parlavamo di giovani. Di cosa hanno bisogno i ragazzi gelesi?
“Da quasi dieci anni non vivo più le dinamiche giovanili della mia città di origine, dato che tutto il resto della settimana vivo tra la mia parrocchia ad Aidone e la Curia Vescovile a Piazza Armerina. Vivo la città solo una volta a settimana, il lunedì, perché mi vede impegnato, con il distaccamento dell’ufficio della curia Vescovile, per la vidimazione dei documenti attinenti all’istruttoria matrimoniale. Questo non vivere pienamente le dinamiche giovanili della città, mi consente di avere un occhio più critico e distaccato sulle cose e sugli eventi, guardandole non più dall’interno, come quando ero Vicario Parrocchiale della Chiesa Madre, ma dall’esterno. Come tutti i giovani, e non solo loro, l’esigenza più grande è quella di essere ascoltati e non giudicati. Nessuno sa più ascoltare, siamo tutti presi dalla frenesia di un efficientismo e da un individualismo, un apparire che speso soffoca i bisogni degli altri, e che non lascia spazio alle relazioni interpersonali. Si hanno migliaia di “amici” virtuali, deviati da un monitor freddo che crea distanze, ci si rifugia nel virtuale e si ha difficoltà ad avere relazioni reali. Sono rimasto alquanto perplesso nel vedere un gruppo di adolescenti, seduti al tavolo di una pizzeria, ciascuno con il proprio cellulare in mano, intenti a chattare con altri e non accorgersi di chi gli stava accanto o difronte. Insieme ma soli. C’è il reale pericolo di uniformarsi alle mode del momento, appiattendo la creatività di ciascuno. Il compito di tutti noi è quello di saper decifrare queste fragilità, per orientare, per guidare e sostenere queste nuove generazioni. In un tempo non molto lontano, il pericolo dei piccoli centri abitati, soprattutto i paesi dell’entroterra come Aidone, era quello di vivere un certo isolamento e si poteva notava la differenza di mentalità e costumi tra i diversi ragazzi. Penso che oggi non sia più cosi, ma che i social abbiano accorciato le distanze, creando uniformità. Dobbiamo saperli ascoltare. I giovani non vanno più in Chiesa è questo è un dato di fatto, nonostante tutte le nostre strategie pastorali, risultiamo ai loro occhi anacronistici e stantii. Non è più sentita come necessaria la parte spirituale nel mondo globalizzato. Ma i giovani cercano ancora Dio? Questa è la domanda di fondo. Lo cercano in un modo diverso rispetto alle generazioni precedenti e con modalità diverse rispetto a quello a cui siamo abituati a pensare. Cercano Dio nella contemporaneità, attraverso il senso del loro io, anche esasperato, e con un loro approccio alla realtà che chiede a noi adulti di fare i conti con un credo che cambia”.
Troppi giovani si abbandonano all'uso di droghe. Cosa senti di dire?
“Tanti giovani non riescono più a trovare un senso alla loro vita, percepiscono un vuoto esistenziale, hanno paura ad affrontare le nuove sfide che il cammino della vita gli presenta, con tutti i suoi ostacoli e le sue incognite. Cercano sé stessi in realtà illusorie per sfuggire alla responsabilità o per mostrarsi grandi e per non sentirsi emarginati. Ragazzi fragili vittime di sé stessi e di gente senza scrupoli. La dipendenza alle varie droghe è una grande piaga che assilla il mondo giovanile e non. L’impegno contro la droga comincia nelle scuole e nelle famiglie. Ma la scuola e le famiglie non possono essere lasciate sole in questo compito tanto faticoso, cioè quello di aiutare i ragazzi a trovare un senso, uno scopo nella loro vita. Insieme a queste fondamentali agenzie educative, si affianca anche la parrocchia, che si innesta nel contesto sociale di un determinato territorio cittadino. All’interno delle varie sfide, risulta notevole la posizione di quella struttura che fin dall’inizio è sempre stata ambito di riferimento essenziale per la vita cristiana della gente, e ancora oggi ha una sua notevole validità. La parrocchia, per sua vocazione, è l’ambito di riferimento, di prima socializzazione religiosa, luogo di identificazione, di nuove proposte e di missionarietà, di profezia e dunque strumento capace di dare senso alla vita; noi annunciamo e soprattutto crediamo che il senso della vita è l’incontro con Gesù e questo il compito della Chiesa. Cosa posso dire ai ragazzi? Che Gesù vi ama e che non siete soli. Abbiate il coraggio e la forza per farvi aiutare, leggete il Vangelo, questa buona notizia, per no sentirvi soli. Noi ci siamo”.
Quale dovrebbe essere il ruolo sacerdotale sulle piattaforme digitale?
“Il sacerdote è essenzialmente un uomo al servizio alla e della Parola, e all’annuncio di Cristo, Parola di Dio fatta carne che non deve mai venire meno; tuttavia deve cercare sempre nuove forme per comunicare e testimoniare questa lieta novella. Abbiamo la possibilità di essere presenti nel mondo digitale, nella costante fedeltà al messaggio evangelico, per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante “voci” scaturite dal mondo digitale, annunciare il Vangelo avvalendosi, accanto agli strumenti tradizionali, dell’apporto di quella nuova generazione social, Facebook, YouTube, Instagram e non per ultimo adesso TikTok che rappresentano inedite occasioni di dialogo e utili mezzi anche per l’evangelizzazione e la catechesi. Il pericolo potrebbe essere quello di deviare dalla propria missione primaria cioè quella di vivere e testimoniare il Vangelo di Cristo. Potrebbe innescarsi la presunzione di un eccesivo protagonismo che metta in risalto più la persona che l’annuncio del Vangelo che deve far passare attraverso questi nuovi mezzi di comunicazione di massa”.
Cosa ti piace di più della tua vita da sacerdote?
“Il mio stare insieme alla gente”.
E di meno?
“Io amo la mia vita sacerdotale. Sai che non ho mai badato a questa domanda?”
Andando indietro nel tempo, c'è qualcosa che rimpiangi di più della tua vita laica?
“Ho avuto un’adolescenza dove ho vissuto con serenità la mia vita. Non c’è nessun rimpianto che mi turba e se potessi rinascere nuovamente in questo mondo, farei tutto quello che ho fatto, compreso la scelta di farmi prete”.
Cosa significa per te essere sacerdote?
“È tutta la mia vita”.
Il tuo sogno di felicità?
“Io già sono felice. Il mio sogno, che poi è realtà, è seguire Gesù che mi ha amato per primo e in lui amare e servire i fratelli che incrocio sul mio cammino, per farmi assieme a loro compagno di viaggio”.
Un aspetto positivo del tuo carattere?
“Mi reputo un uomo altruista, gentile, generoso… Non è un osannare me stesso perché potrei apparire montato di testa. Preferisco che siano le persone che incontro a sentire in me l’accoglienza e la disponibilità. C’è tanta gente che mi stima e mi vuole bene”.
Uno negativo?
“Spesso sono molto impulsivo”.
Cosa apprezzi di più nelle persone?
“La sincerità”.
Tra poco celebreremo la Pasqua, cosa senti di dire ai nostri lettori?
“Auguri a ciascuno di noi, auguri alla nostra amata città di Gela, ai miei concittadini e in particolare ai crocifissi della nostra terra, a chi è malato, a chi non spera più, a chi vive l’angoscia del domani, alle donne violate nella loro dignità, ai bambini che non si sentono amati. Che il Signore Risorto conceda a me e a tutti voi di celebrare questa Pasqua con fede e gioia, portando nella nostra vita il segno evangelico della serenità e della pace, di cui c’è tanto bisogno”.