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Giudiziaria

Esplosione al mercato: la Procura chiede il rinvio a giudizio di un imprenditore

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Gela, esplosione al mercato di via Madonna del Rosario avvenuto nel giugno del 2019: le indagini della Polizia di Stato hanno consentito una completa ricostruzione dei fatti.

La Procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio di un imprenditore che dovrà rispondere di omicidio colposo aggravato, incendio e lesioni gravi. Diversi illeciti contestati alla società Sicilpetroli s.r.l.

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Gela a seguito delle indagini preliminari, condotte dalla sezione investigativa del Commissariato di Pubblica Sicurezza, ha chiesto il rinvio a giudizio dell’imprenditore 48enne C.C., con licenza di commercio al dettaglio ambulante di prodotti alimentari e bevande, svolta all’interno del mercato settimanale di via Madonna del Rosario in Gela, nonché della società Sicilpetroli s.r.l., in seguito ai gravi fatti verificatisi il 5 giugno 2019, quando, secondo la ricostruzione accusatoria, a causa di negligenza e imprudenza nella conduzione dell’impresa individuale ed in considerazione di innumerevoli violazioni di leggi e regolamenti, si verificò una potente esplosione, cui seguì un incendio di un furgone, di altri veicoli e di alcune strutture per il commercio ambulante. In seguito alla deflagrazione ed in conseguenza delle ustioni riportate, 2 persone persero la vita, mentre altre 13 riportarono gravi lesioni ed ustioni.

In particolare, il predetto ambulante, in concorso con personale della stazione di rifornimento carburanti Sicilpetroli S.r.l. con sede a Canicattì, è imputato di avere effettuato il rifornimento di alcune bombole di gas GPL in spregio del divieto di riempirle attraverso il carburante GPL per autotrazione. Nel corso delle indagini, svolte con l’ausilio tecnico dei Vigili del Fuoco e personale del Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro, si è ipotizzato che tali operazioni siano avvenute in violazione del divieto di riempire le bombole di gas GPL oltre il previsto limite massimo dell’80% della capienza, circostanza questa che indubbiamente ha favorito il verificarsi della violenta esplosione.

Tra i reati contestati dalla Procura della Repubblica di Gela, ora sottoposti alla valutazione del Giudice, figurano le ipotesi di omicidio colposo aggravato, incendio e lesioni gravi, di cui dovrà rispondere C.C.; alla persona giuridica Sicilipetroli s.r.l. è stato contestato l’illecito amministrativo previsto dal d.lgs 231/2001 in materia di responsabilità degli enti. Sono state rilevate, altresì, molteplici violazioni di fattispecie contravvenzionali, tutte relative alla normativa di settore relativa alla sicurezza dei lavoratori e salubrità dei luoghi di lavoro, così come previsto dal D.lgs. 81/2008.

Lo stretto ed efficace raccordo avviatosi immediatamente dopo la violenta esplosione tra Autorità Giudiziaria e Forze di Polizia intervenute, nonché il coordinamento espresso nel corso delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Gela e condotte dal Commissariato di Pubblica Sicurezza, hanno consentito una completa ricostruzione dei fatti e la formulazione degli addebiti, adesso al vaglio del Giudice dell’Udienza Preliminare.

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Giudiziaria

Don Rugolo condannato anche in Appello

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Tre anni di reclusione: è la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Caltanissetta che ha condannato don Giuseppe Rugolo, il sacerdote ennese accusato di violenza sessuale su minorenni. I giudici hanno applicato l’attenuante della tenuità del fatto per due delle vittime individuate, rideterminando la sentenza di primo grado che era stata di quattro anni e sei mesi.

L’impianto dell’accusa ha retto anche in appello, come la credibilità del giovane archeologo Antonio Messina, sulla cui denuncia è stato incardinato il processo. La Corte d’appello ha estromesso la diocesi di Piazza Armerina dalla responsabilità civile

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Sentenza amianto killer: difesa condannata

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Roma – Amianto killer nelle navi della Marina: la Difesa condannata in via definitiva a risarcire 400mila euro la famiglia di Michele Cannavò morto di mesotelioma.

La vittima è stata esposta senza protezione per 34 anni nei cantieri e sulle navi .

Una nuova, pesante condanna, appena passata in giudicato, quindi definitiva, per il Ministero della Difesa: il Tribunale Civile di Roma ha stabilito un risarcimento di circa 400mila euro in favore dei familiari di Michele Cannavò, motorista navale della Marina Militare, deceduto a causa di un mesotelioma pleurico provocato dall’esposizione prolungata all’amianto.

Cannavò, originario della provincia di Catania, e residente a Siracusa, ha servito per 34 anni lo Stato tra il servizio militare e civile, operando in ambienti contaminati e privi di adeguate protezioni. Imbarcato su diverse unità navali – tra cui la Nave Albatros e il MOC 1201 – e impiegato nell’Arsenale Militare di Augusta, è stato quotidianamente a contatto con fibre di amianto: nei motori, nei corridoi, nei rivestimenti delle condotte, fino agli stessi ambienti di vita delle navi.

Un’esposizione continua, intensa e silenziosa, che gli è costata la vita. La diagnosi è arrivata nel 2019. La morte, appena due mesi dopo.L’INAIL ha riconosciuto il nesso causale tra l’infermità e le mansioni svolte in Marina, nel periodo del servizio civile. Una conferma ulteriore della gravità della negligenza istituzionale.

“Finalmente giustizia per la famiglia Cannavò” – commenta Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale dei familiari – “Questo risarcimento non potrà restituire Michele ai suoi cari, ma rappresenta un passo in avanti verso la tutela delle vittime e la bonifica definitiva dell’amianto da navi e arsenali militari.”

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Inchiesta Camaleonte: assolti gli imprenditori Luca e il dirigente di polizia Giudice

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Cade in primo grado l’impianto dell’inchiesta Camaleonte che ha coinvolto gli imprenditori Luca accusati di rapporti con clan mafiosi.

Il presidente del collegio penale Miriam D’Amore ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Sono stati assolti il fondatore del gruppo Salvatore Luca, il figlio Rocco, il fratello Francesco, il genero Francesco Gallo, la moglie Concetta Lo Nigro, la figlia Maria Assunta Luca e la cognata Emanuela Lo Nigro. Tutti gli imputati hanno  respinto sempre l’accusa di legami con la mafia. I Luca si sono dichiarati, invece, vittime e hanno sostenuto che il loro patrimonio era frutto del lavoro. Lacrime,commozione e abbracci tra i componenti della famiglia Luca alla lettura del dispositivo di sentenza.

E’ stato assolto anche il dirigente di polizia Giovanni Giudice, che ha rinunciato alla prescrizione maturata. Era accusato di aver favorito i Luca, tesi sempre respinta.

La prescrizione, con esclusione dell’unica aggravante, è stata decisa per l’ altro poliziotto coinvolto Giovanni Arrogante. 

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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