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Passione e impegno, lo stile di vita dei Carabinieri al servizio di tutti

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Da settembre 2019, guida la scuola allievi dei Carabinieri a Reggio Calabria. “Lezioni e servizi – ci tiene a rimarcare – che si tradurranno in stima da parte della popolazione solo se ci sarà impegno e professionalità e non atteggiamenti esteriori: dovranno dimostrare di essere responsabili, preparati ed affidabili”.  Così come insegna un buon padre ai propri figli. Il parallelismo regge anche per il colonnello Alessandro Magro, abruzzese di Vasto,  laureato in giurisprudenza e specializzato in scienze della sicurezza interna ed esterna. Chi scrive ha avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, apprezzandone immense qualità umane ed un elevato acume investigativo. Tra le sue lunghe tappe in giro per l’Italia, dopo avere frequentato la scuola militare Nunziatella di Napoli e l’Accademia di Modena, è stato anche a Gela, dopo le esperienze di Bolzano, Milano, Ventimiglia, Manduria e Roma e prima di Rende, Lodi e Livorno. Lo scorso 2 giugno, ha ricevuto il  prestigioso titolo di ufficiale al merito della Repubblica italiana. Si tratta di una delle più importanti onorificenze dello Stato.
Colonnello, cosa ricorda del suo trascorso a capo del Reparto Territoriale di Gela?
“È stato un periodo molto intenso sia dal punto di vista professionale che umano. Conservo ricordi vividi degli oltre 3 anni trascorsi in Sicilia. La Compagnia Carabinieri di Gela aveva appena cambiato sede dalla precedente caserma del centro storico in quella attuale di via Venezia. Il Comando Generale dell’Arma, come tangibile segno di attenzione e ascolto alle istanze di sicurezza del territorio, aveva da poco istituito l’attuale Reparto Territoriale, di cui ho avuto l’onore di essere stato il primo comandante, aumentandone le capacità operative e logistiche in termini di uomini e mezzi. Di lì a poco abbiamo inaugurato e intitolato la Caserma al Maresciallo Medaglia d’Oro al Valor Militare, Sebastiano D’Immè, con i cui familiari ho stretto un legame di vicinanza e affetto che tuttora mi lega. Non mi sembra il caso elencare cosa è stato fatto in quel periodo (le cronache dei giornali dell’epoca le hanno già descritte), ma posso certamente dire che il filo conduttore di ogni iniziativa, sia preventiva che repressiva, ha sempre avuto come obiettivo il “fare rete” con tutti gli attori del sistema Sicurezza: le istituzioni, le associazioni, i media, i cittadini desiderosi di scrollarsi di dosso l’appellativo di una città nota solo per gli episodi criminali, specie del passato”.
Il rammarico più grande della sua esperienza a Gela?
“Abbiamo sempre cercato di dare un nome e un volto a chi ha compiuto reati efferati. Purtroppo non siamo riusciti a darlo all’autore dello scippo che ha provocato una violenta caduta e la morte di una signora (Teresa Pagano, ndr) nei vicoli del centro storico il 3 dicembre del 2012. Il desiderio di giustizia di chi ha perso una persona cara non si può dimenticare”.
Qual è stato l’episodio criminoso che l’ha colpita di più e perché?
“Senza dubbio la strage di De Susino (21 giugno 2011) dove un intero nucleo familiare, composto da padre, madre e figlio minorenne, fu sterminato per futili motivi. L’autore di questa mattanza non si era limitato a sparare nei confronti delle vittime, ma aveva esploso numerosi colpi anche alla testa. Quando finì l’autopsia, i soli bossoli estratti dai corpi martoriati avevano riempito un intero barattolo di vetro.Mi colpì vedere un ragazzo così giovane (Salvatore Militano, 13 anni, ndr)  assassinato in quel modo. Era accorso in aiuto della madre: aveva incrociato il suo assassino, che altri non era che il vicino di campagna, che non esitò a ucciderlo perché chiaramente lo conosceva. In quei giorni concitati non vi era solo la necessità di assicurare alla giustizia l’autore di un crimine così efferato. Tutta la collettività era molto turbata: un soggetto armato e capace di tutto era in circolazione e vi era il concreto pericolo che potesse colpire altri innocenti. Tutti noi sentivamo la necessità di una risposta immediata. Dopo pochi giorni dalla strage, l’autore della strage (Giuseppe Centorbi) tornò di notte presso l’abitazione delle vittime per esplodere numerosi colpi di pistola all’indirizzo dei veicoli parcheggiati e della casa: cominciò una vera e propria caccia all’uomo. Era sfuggito a più posti di controllo. Pensando che avesse trovato riparo più sicuro laddove vi erano meno pattuglie e meno lampeggianti, decisi, con tre militari, di dirigermi verso Piazza Armerina in borghese e a bordo di un’auto di copertura: l’intuizione fu felice perché ce lo ritrovammo davanti mentre era da solo alla guida della sua Fiat punto. Il killer per togliersi il dubbio che lo stessimo seguendo, accostò il veicolo sul ciglio della carreggiata. A quel punto, con il rinforzo di un’altra gazzella del Reparto Territoriale nel frattempo sopraggiunta, lo bloccammo, lo  disarmammo  e lo arrestammo senza esplodere colpi di pistola e in piena sicurezza: aveva con sé tre pistole tutte cariche e numeroso munizionamento. Furono momenti molto concitati”.
C’è invece un fatto curioso, un  aneddoto che vuole raccontarci? 
“Ce ne sono diversi ma ora mi viene in mente quello di un giovane che si presentò dal militare di servizio alla caserma chiedendo di poter conferire con il comandante. Decisi di riceverlo. Quando gli domandai il motivo del colloquio mi disse senza esitare se potevo dargli una mano a trovare un lavoro. Quello che mi colpì non fu tanto la richiesta in sé per sé, ma la frase: “se lei vuole … lei può”. Gli risposi: “Mi faccia capire: quindi se lei non trova lavoro è perché io voglio che lei resti disoccupato?”. Il tutto finì in una simpatica chiacchierata. Alla fine andò via soddisfatto solo perché finalmente qualcuno lo aveva ricevuto e ascoltato”.
Cosa l’ha colpita quando, nel 2010,   arrivó  a Gela?
“Il primo giorno di servizio vi fu una rapina al supermercato vicino alla caserma, quello sulla via per Butera. I miei Ufficiali mi dissero: comandante le hanno dato il benvenuto! Ma non fu certo questo a colpirmi. Il contrasto tra ciò che avveniva per colpa di pochi rispetto al desiderio dei molti, in particolare dei giovani, di voler riscattare una città che vanta oltre 2.700 anni di storia e che, come ho accennato, troppo spesso viene accostata facilmente a solo luogo di malaffare”.
A Gela sono presenti due consorterie mafiose, Cosa Nostra e Stidda. Se non è un caso raro, nel panorama criminale, poco ci manca …
“Gela è nota alla cronaca nera per gli eventi cruenti che hanno interessato le due consorterie mafiose e questo è un dato ormai storicizzato. Ma è anche il luogo dove da diversi anni sono stati fatti passi da gigante e dove sono nate tante iniziative, non solo antimafia. Quando mi riferisco al fare, intendo che oggi l’affermazione dei principi di legalità non è più un sentire che appartiene solo alle forze di polizia o alla magistratura: dalla scuola, alle comunità parrocchiali, dalle associazioni ai Comuni sono stati avviati percorsi virtuosi che sempre più sostengono e promuovono la legalità ed il rispetto delle regole come unico antidoto per lo sviluppo sano del paese, portando ad un cambio sempre più netto di posizione”.
Se a Gela ancora si parla di mafia e di criminalità, vuol dire che c’è ancora tanta strada da fare per sconfiggerle …
“Mafia e criminalità sono attenzionate in tutta Italia e all’estero, anche dove apparentemente i segnali di infiltrazione delle consorterie appaiono labili. Non bisogna mai abbassare la guardia”.
Dopo il suo trasferimento da Gela, lei ha guidato i comandi provinciali di Lodi e Livorno. Che differenze ha notato tra il lavoro svolto al Sud e quello svolto al Nord?
“Nel modo di impostare il lavoro sostanzialmente non è cambiato nulla per me. Prima di arrivare a Gela avevo già lavorato nel Nord Italia per oltre 6 anni e nel tornare nel centro-nord ho certamente portato con me il background di esperienza trascorso in Sicilia. Per riallacciarmi al discorso di prima, per esempio, a Livorno i Carabinieri hanno sequestrato a più riprese ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti riconducibili alla mafia del Sud”.
Si chiede la collaborazione dei cittadini per addivenire in tempi brevi all’individuazione di crimini e criminali, ma in pochi denunciano. Perché?
“Su questo non sono d’accordo. Presso la Stazione di Gela ricordo c’era sempre una fila enorme di persone che denunciavano la qualunque cosa o venivano in sede per chiedere un consiglio o un parere: questo avviene quando l’attività di un reparto supera il mero esercizio dei compiti di polizia. La promozione, inoltre, della cultura della legalità presso le scuole, le parrocchie e i soggetti vulnerabili, il sostegno ai comitati di quartiere ed altro, sono attività quotidianamente messe in campo dall’Arma dei Carabinieri e che, nel tempo, creano le premesse di un rapporto di fiducia con il cittadino”.
Da qualche anno è ritornato al Sud ma con compiti diversi rispetto a prima.  Ha una enorme responsabilità: istruire e formare il carabiniere di domani. Compito sicuramente non facile …
“Tutto parte dalla Scuola, dalla formazione. Formare dei giovani che hanno scelto di diventare Carabinieri è per me motivo di grande orgoglio e di altrettanta responsabilità. I giovani vincono un concorso per fare il Carabiniere: il nostro compito è quello di portare questi ragazzi ad “essere” Carabinieri. La loro prima destinazione, dopo il giuramento, sarà quella di un Comando Stazione, dove, con il supporto del personale più anziano, metteranno in pratica gli insegnamenti appresi”.
Perché tanti giovani hanno il desiderio di indossare la divisa?
“Proprio perché, scegliendo di “essere Carabinieri”, hanno scelto un vero e proprio stile di vita fatto di passione ed impegno verso la comunità che gli verrà affidata. Elementi indissolubili che tanti anni fa, mi hanno spinto ad entrare nell’Arma”.

Siamo agli inizi del 2022. Cosa si augura per quest’anno?
“Di portare, con l’aiuto di tutti i miei collaboratori, a giurare i circa 700 Carabinieri che oggi frequentano la Scuola Allievi di Reggio Calabria nonostante le problematiche dovute al Covid. Dietro ogni ragazzo/a vi è una famiglia che ha affidato alla nostra Istituzione i propri figli ed è nostro dovere farli crescere in piena sicurezza e secondo i valori della nostra Repubblica e l’etica professionale tipica dell’Arma”.

 Accennava al Covid: un altro anno è stato contrassegnato dal virus. Ne usciremo definitamente?
“Sono assolutamente fiducioso in questo. L’importante è non abbassare l’attenzione”.
Tornerà a trovare gli amici a Gela qualche volta? 
“Non ho mai smesso di sentirmi con loro e, con qualcuno, ci siamo già più volte incontrati sebbene non a Gela. L’amicizia e i buoni rapporti oggi si riescono a mantenere anche grazie alle opportunità offerte dalla tecnologia. Ho sempre Gela nel cuore: ogni qual volta ho modo di parlare con loro, avverto una fiamma che arde nei loro cuori che non è affatto dissimile, mi passi la similitudine, da quella che arde sul berretto di un Carabiniere”.

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