Ipse Dixit
Passione e impegno, lo stile di vita dei Carabinieri al servizio di tutti
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3 anni fail
Da settembre 2019, guida la scuola allievi dei Carabinieri a Reggio Calabria. “Lezioni e servizi – ci tiene a rimarcare – che si tradurranno in stima da parte della popolazione solo se ci sarà impegno e professionalità e non atteggiamenti esteriori: dovranno dimostrare di essere responsabili, preparati ed affidabili”. Così come insegna un buon padre ai propri figli. Il parallelismo regge anche per il colonnello Alessandro Magro, abruzzese di Vasto, laureato in giurisprudenza e specializzato in scienze della sicurezza interna ed esterna. Chi scrive ha avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, apprezzandone immense qualità umane ed un elevato acume investigativo. Tra le sue lunghe tappe in giro per l’Italia, dopo avere frequentato la scuola militare Nunziatella di Napoli e l’Accademia di Modena, è stato anche a Gela, dopo le esperienze di Bolzano, Milano, Ventimiglia, Manduria e Roma e prima di Rende, Lodi e Livorno. Lo scorso 2 giugno, ha ricevuto il prestigioso titolo di ufficiale al merito della Repubblica italiana. Si tratta di una delle più importanti onorificenze dello Stato.
Colonnello, cosa ricorda del suo trascorso a capo del Reparto Territoriale di Gela?
“È stato un periodo molto intenso sia dal punto di vista professionale che umano. Conservo ricordi vividi degli oltre 3 anni trascorsi in Sicilia. La Compagnia Carabinieri di Gela aveva appena cambiato sede dalla precedente caserma del centro storico in quella attuale di via Venezia. Il Comando Generale dell’Arma, come tangibile segno di attenzione e ascolto alle istanze di sicurezza del territorio, aveva da poco istituito l’attuale Reparto Territoriale, di cui ho avuto l’onore di essere stato il primo comandante, aumentandone le capacità operative e logistiche in termini di uomini e mezzi. Di lì a poco abbiamo inaugurato e intitolato la Caserma al Maresciallo Medaglia d’Oro al Valor Militare, Sebastiano D’Immè, con i cui familiari ho stretto un legame di vicinanza e affetto che tuttora mi lega. Non mi sembra il caso elencare cosa è stato fatto in quel periodo (le cronache dei giornali dell’epoca le hanno già descritte), ma posso certamente dire che il filo conduttore di ogni iniziativa, sia preventiva che repressiva, ha sempre avuto come obiettivo il “fare rete” con tutti gli attori del sistema Sicurezza: le istituzioni, le associazioni, i media, i cittadini desiderosi di scrollarsi di dosso l’appellativo di una città nota solo per gli episodi criminali, specie del passato”.
Il rammarico più grande della sua esperienza a Gela?
“Abbiamo sempre cercato di dare un nome e un volto a chi ha compiuto reati efferati. Purtroppo non siamo riusciti a darlo all’autore dello scippo che ha provocato una violenta caduta e la morte di una signora (Teresa Pagano, ndr) nei vicoli del centro storico il 3 dicembre del 2012. Il desiderio di giustizia di chi ha perso una persona cara non si può dimenticare”.
Qual è stato l’episodio criminoso che l’ha colpita di più e perché?
“Senza dubbio la strage di De Susino (21 giugno 2011) dove un intero nucleo familiare, composto da padre, madre e figlio minorenne, fu sterminato per futili motivi. L’autore di questa mattanza non si era limitato a sparare nei confronti delle vittime, ma aveva esploso numerosi colpi anche alla testa. Quando finì l’autopsia, i soli bossoli estratti dai corpi martoriati avevano riempito un intero barattolo di vetro.Mi colpì vedere un ragazzo così giovane (Salvatore Militano, 13 anni, ndr) assassinato in quel modo. Era accorso in aiuto della madre: aveva incrociato il suo assassino, che altri non era che il vicino di campagna, che non esitò a ucciderlo perché chiaramente lo conosceva. In quei giorni concitati non vi era solo la necessità di assicurare alla giustizia l’autore di un crimine così efferato. Tutta la collettività era molto turbata: un soggetto armato e capace di tutto era in circolazione e vi era il concreto pericolo che potesse colpire altri innocenti. Tutti noi sentivamo la necessità di una risposta immediata. Dopo pochi giorni dalla strage, l’autore della strage (Giuseppe Centorbi) tornò di notte presso l’abitazione delle vittime per esplodere numerosi colpi di pistola all’indirizzo dei veicoli parcheggiati e della casa: cominciò una vera e propria caccia all’uomo. Era sfuggito a più posti di controllo. Pensando che avesse trovato riparo più sicuro laddove vi erano meno pattuglie e meno lampeggianti, decisi, con tre militari, di dirigermi verso Piazza Armerina in borghese e a bordo di un’auto di copertura: l’intuizione fu felice perché ce lo ritrovammo davanti mentre era da solo alla guida della sua Fiat punto. Il killer per togliersi il dubbio che lo stessimo seguendo, accostò il veicolo sul ciglio della carreggiata. A quel punto, con il rinforzo di un’altra gazzella del Reparto Territoriale nel frattempo sopraggiunta, lo bloccammo, lo disarmammo e lo arrestammo senza esplodere colpi di pistola e in piena sicurezza: aveva con sé tre pistole tutte cariche e numeroso munizionamento. Furono momenti molto concitati”.
C’è invece un fatto curioso, un aneddoto che vuole raccontarci?
“Ce ne sono diversi ma ora mi viene in mente quello di un giovane che si presentò dal militare di servizio alla caserma chiedendo di poter conferire con il comandante. Decisi di riceverlo. Quando gli domandai il motivo del colloquio mi disse senza esitare se potevo dargli una mano a trovare un lavoro. Quello che mi colpì non fu tanto la richiesta in sé per sé, ma la frase: “se lei vuole … lei può”. Gli risposi: “Mi faccia capire: quindi se lei non trova lavoro è perché io voglio che lei resti disoccupato?”. Il tutto finì in una simpatica chiacchierata. Alla fine andò via soddisfatto solo perché finalmente qualcuno lo aveva ricevuto e ascoltato”.
Cosa l’ha colpita quando, nel 2010, arrivó a Gela?
“Il primo giorno di servizio vi fu una rapina al supermercato vicino alla caserma, quello sulla via per Butera. I miei Ufficiali mi dissero: comandante le hanno dato il benvenuto! Ma non fu certo questo a colpirmi. Il contrasto tra ciò che avveniva per colpa di pochi rispetto al desiderio dei molti, in particolare dei giovani, di voler riscattare una città che vanta oltre 2.700 anni di storia e che, come ho accennato, troppo spesso viene accostata facilmente a solo luogo di malaffare”.
A Gela sono presenti due consorterie mafiose, Cosa Nostra e Stidda. Se non è un caso raro, nel panorama criminale, poco ci manca …
“Gela è nota alla cronaca nera per gli eventi cruenti che hanno interessato le due consorterie mafiose e questo è un dato ormai storicizzato. Ma è anche il luogo dove da diversi anni sono stati fatti passi da gigante e dove sono nate tante iniziative, non solo antimafia. Quando mi riferisco al fare, intendo che oggi l’affermazione dei principi di legalità non è più un sentire che appartiene solo alle forze di polizia o alla magistratura: dalla scuola, alle comunità parrocchiali, dalle associazioni ai Comuni sono stati avviati percorsi virtuosi che sempre più sostengono e promuovono la legalità ed il rispetto delle regole come unico antidoto per lo sviluppo sano del paese, portando ad un cambio sempre più netto di posizione”.
Se a Gela ancora si parla di mafia e di criminalità, vuol dire che c’è ancora tanta strada da fare per sconfiggerle …
“Mafia e criminalità sono attenzionate in tutta Italia e all’estero, anche dove apparentemente i segnali di infiltrazione delle consorterie appaiono labili. Non bisogna mai abbassare la guardia”.
Dopo il suo trasferimento da Gela, lei ha guidato i comandi provinciali di Lodi e Livorno. Che differenze ha notato tra il lavoro svolto al Sud e quello svolto al Nord?
“Nel modo di impostare il lavoro sostanzialmente non è cambiato nulla per me. Prima di arrivare a Gela avevo già lavorato nel Nord Italia per oltre 6 anni e nel tornare nel centro-nord ho certamente portato con me il background di esperienza trascorso in Sicilia. Per riallacciarmi al discorso di prima, per esempio, a Livorno i Carabinieri hanno sequestrato a più riprese ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti riconducibili alla mafia del Sud”.
Si chiede la collaborazione dei cittadini per addivenire in tempi brevi all’individuazione di crimini e criminali, ma in pochi denunciano. Perché?
“Su questo non sono d’accordo. Presso la Stazione di Gela ricordo c’era sempre una fila enorme di persone che denunciavano la qualunque cosa o venivano in sede per chiedere un consiglio o un parere: questo avviene quando l’attività di un reparto supera il mero esercizio dei compiti di polizia. La promozione, inoltre, della cultura della legalità presso le scuole, le parrocchie e i soggetti vulnerabili, il sostegno ai comitati di quartiere ed altro, sono attività quotidianamente messe in campo dall’Arma dei Carabinieri e che, nel tempo, creano le premesse di un rapporto di fiducia con il cittadino”.
Da qualche anno è ritornato al Sud ma con compiti diversi rispetto a prima. Ha una enorme responsabilità: istruire e formare il carabiniere di domani. Compito sicuramente non facile …
“Tutto parte dalla Scuola, dalla formazione. Formare dei giovani che hanno scelto di diventare Carabinieri è per me motivo di grande orgoglio e di altrettanta responsabilità. I giovani vincono un concorso per fare il Carabiniere: il nostro compito è quello di portare questi ragazzi ad “essere” Carabinieri. La loro prima destinazione, dopo il giuramento, sarà quella di un Comando Stazione, dove, con il supporto del personale più anziano, metteranno in pratica gli insegnamenti appresi”.
Perché tanti giovani hanno il desiderio di indossare la divisa?
“Proprio perché, scegliendo di “essere Carabinieri”, hanno scelto un vero e proprio stile di vita fatto di passione ed impegno verso la comunità che gli verrà affidata. Elementi indissolubili che tanti anni fa, mi hanno spinto ad entrare nell’Arma”.
Siamo agli inizi del 2022. Cosa si augura per quest’anno?
“Di portare, con l’aiuto di tutti i miei collaboratori, a giurare i circa 700 Carabinieri che oggi frequentano la Scuola Allievi di Reggio Calabria nonostante le problematiche dovute al Covid. Dietro ogni ragazzo/a vi è una famiglia che ha affidato alla nostra Istituzione i propri figli ed è nostro dovere farli crescere in piena sicurezza e secondo i valori della nostra Repubblica e l’etica professionale tipica dell’Arma”.
Accennava al Covid: un altro anno è stato contrassegnato dal virus. Ne usciremo definitamente?
“Sono assolutamente fiducioso in questo. L’importante è non abbassare l’attenzione”.
Tornerà a trovare gli amici a Gela qualche volta?
“Non ho mai smesso di sentirmi con loro e, con qualcuno, ci siamo già più volte incontrati sebbene non a Gela. L’amicizia e i buoni rapporti oggi si riescono a mantenere anche grazie alle opportunità offerte dalla tecnologia. Ho sempre Gela nel cuore: ogni qual volta ho modo di parlare con loro, avverto una fiamma che arde nei loro cuori che non è affatto dissimile, mi passi la similitudine, da quella che arde sul berretto di un Carabiniere”.
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Ipse Dixit
Il procuratore Vella: “Gela merita un futuro migliore del suo attuale presente”
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2 settimane fail
1 Settembre 2024Tra poco meno di 24 ore, compirà due mesi alla guida della Procura della Repubblica del Tribunale di Gela. Salvatore Vella, 55 anni, trapanese di Erice, ha preso servizio lo scorso 2 luglio, giorno dei festeggiamenti della co-patrona, Maria Santissima delle Grazie. Attento e scrupoloso nel suo lavoro, si concede al taccuino del cronista con il garbo e il rispetto che l’hanno sempre contraddistinto.
“Ho scelto di venire a Gela. Prima di farlo ho avuto un lungo colloquio con il collega e amico Fernando Asaro, che ha diretto questa Procura per più di 5 anni. Dal suo racconto, Gela era una sfida professionale impegnativa e, allo stesso tempo, un Ufficio giudiziario dove si poteva lavorare serenamente, per l’ottima professionalità dei colleghi (Giudici e Pubblici Ministeri), del personale amministrativo e per gli ottimi rapporti con il Foro”.
Cosa l’ha spinta a fare il magistrato?
“La mia scelta di diventare magistrato l’ho maturata da ragazzo, intorno ai 16 anni. Vivevo in una zona ad alta densità mafiosa e quei terribili anni ‘80 li ricordo come “anni di guerra” in Sicilia. Mi sembrava, allora, che l’unica battaglia seria contra la mafia fosse combattuta dai magistrati e dalle Forze di Polizia. Oggi mi rendo conto che le cose non erano esattamente così e che sono un po’ più complesse”.
Lei ha cominciato la sua attività di pubblico ministero a Sciacca. Terra difficile per la pressante presenza della criminalità organizzata. Per le numerose minacce ricevute, gli enti preposti le hanno assegnato una scorta. Come ha vissuto quel momento?
“I miei primi anni da magistrato a Sciacca, dove sono arrivato nel 2001, furono anni pieni di passione per il mio nuovo mestiere di Pubblico Ministero. Nella città saccense scoprii che il lavoro che avevo scelto mi piaceva tanto. Scoprii una terra bella e difficile, la provincia di Agrigento, che allora conoscevo poco. A quei tempi il Tribunale di Sciacca era presidiato da un blindato dei Carabinieri e da una vigilanza armata continua, il nostro parco auto era pieno di vetture blindate. Le indagini su Cosa Nostra erano poche e ancora rischiosissime. Già nei primi anni fui applicato alla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo e cominciai ad occuparmi subito di criminalità comune e di criminalità organizzata di stampo mafioso.
Nel nostro lavoro le minacce sono ancora abbastanza frequenti, purtroppo. Fin da subito ho dovuto imparare a gestire la mia paura, per poter fare bene il mio dovere”.
Cosa le ha lasciato l’esperienza vissuta a Palermo alla Direzione Distrettuale Antimafia?
“L’esperienza alla Dda di Palermo, durata più di 10 anni, è stata complessa e formativa. Ho imparato a conoscere, dal di dentro, le dinamiche delle famiglie mafiose di Cosa Nostra della parte occidentale della provincia agrigentina, allora strettamente collegata con il mandamento di Castelvetrano e con la famiglia di Matteo Messina Denaro, in particolare.
Sono anni in cui ho conosciuto colleghi appassionati e competenti, tra cui Fernando Asaro, che allora si occupava di mafia agrigentina. Ma ho anche visto brutte situazioni conflittuali in Ufficio che avvelenavano a tratti il clima. Sinceramente, oggi che sono Procuratore della Repubblica, utilizzerò quella esperienza, anche, per non fare certi errori nella gestione dell’Ufficio e nei rapporti con i colleghi”.
E quella vissuta alla Procura di Marsala?
“La mia esperienza a Marsala fu abbastanza breve. Fui inviato lì, per poco meno di un anno, a causa della carenza di organico che allora aveva quella Procura della Repubblica, che era stata di Paolo Borsellino.
Lì ho ritrovato il mio maestro Dino Petralia, il mio primo Procuratore capo, che aveva appena terminato la sua esperienza al Consiglio Superiore della Magistratura a Roma. E’ stato bello lavorare nella mia provincia di nascita, nelle zone della mia giovinezza, vedere la realtà che conoscevo bene da ragazzo, con occhi diversi, da inquirente e da giurista”.
Lei è un attento studioso e conoscitore del contrasto all’immigrazione clandestina. In termini pratici, come si può bloccare il fenomeno?
“Il fenomeno della migrazione è un problema di dimensioni globali, ciò riguarda amplissime aree del globo e porta centinaia di migliaia di esseri umani (uomini, donne e bambini) a lasciare i luoghi dove sono nati, per spostarsi in luoghi che ritengono più sicuri per la loro esistenza o per l’esistenza dei loro cari. E’ un fenomeno che è nato con la nascita dell’uomo sulla Terra e che ha accompagnato lo sviluppo della razza umana sul nostro pianeta. La nascita degli Stati moderni e dei confini ha reso questo fenomeno un “problema” per gli Stati che ricevono i migranti. Io non ho una “ricetta” per la soluzione di questo “problema”, come magistrato sono tenuto a far rispettare la legge della Repubblica Italiana e le Convenzioni internazionali che l’Italia ha liberamente sottoscritto. Si tratta certamente di un fenomeno complesso che, in qualche modo, può essere regolamentato, che ha implicazioni sociali, economiche e anche criminali. Probabilmente dovremmo cominciare ad adottare un approccio più intelligente al fenomeno, oltre che rispettoso di norme e di diritti individuali di tutti, migranti compresi”.
Per dodici anni consecutivi, fino allo scorso giugno, è stato alla Procura di Agrigento. Cosa le ha lasciato la sua permanenza nella città dei templi?
“L’esperienza alla Procura della Repubblica di Agrigento, dove sono stato 12 anni, è stata la più intensa e, a tratti, la più dura della mia carriera. Certamente più impegnativa della mia esperienza in Dda. La realtà territoriale di Agrigento e del suo hinterland (Licata, Favara, Canicattì, Palma di Montechiaro, Siculiana, soltanto per citare qualcuno dei 28 Comuni del circondario della Procura di Agrigento) è estremamente complessa dal punto di vista criminale, con la presenza di diverse organizzazioni mafiose, di una criminalità comune importante con saldi collegamenti all’estero, con una enorme presenza di armi clandestine sul territorio che ha pochi eguali in Italia, con una criminalità di “colletti bianchi” che esporta modelli criminali in Italia e all’estero. E’ anche una terra con una incredibile cultura, con una densità di scrittori di livello mondiale invidiabile e di una Storia millenaria. A volte è stato spiazzante essere avvolti da tanta bellezza eterna, negli stessi luoghi in cui mi occupavo di delitti atroci. Da un punto di vista umano l’esperienza più intensa che ho vissuto è, certamente, legata a Lampedusa, alle tante vite che costantemente passano da quell’isola, ai suoi incredibili abitanti e, purtroppo, a centinaia di morti in mare che ho visto in questi lunghi anni”.
Torniamo a Gela: qual è stata la prima cosa che l’ha colpita dopo avere messo piede in città?
“La prima impressione che ho ricevuto da Gela è stata la follia di un sistema viario (urbano ed extra urbano) certamente non degno di una città così importante ed economicamente viva”.
E’ soddisfacente, in termini numerici, la pianta organica presente in Procura?
“La Procura di Gela ha attualmente una pianta organica di 5 Sostituti Procuratori, oltre il Procuratore della Repubblica. Penso sia sufficiente ad affrontare le sfide criminali che offre l’intero territorio. Il problema vero è legato alla mancanza cronica di personale amministrativo, che è un pilastro fondamentale per il corretto funzionamento di un qualsiasi Ufficio Giudiziario”.
Lei, in questi anni, si è occupato, tra l’altro, di contrasto al racket delle estorsioni. Si chiede sempre la collaborazione dei commercianti e degli imprenditori ma non tutti sono pronti a denunciare. Come mai?
“La collaborazione di commercianti e imprenditori estorti continua ad essere fondamentale. Gli ultimi due decenni hanno dimostrato che, anche in Sicilia, si possono denunciare le estorsioni senza aver timore di subire conseguenze letali. In Sicilia, in quest’ambito, abbiamo fatto dei passi da gigante in avanti, certamente grazie anche alle scelte coraggiose di imprenditori e di associazioni antiracket. Quello che posso dire, dopo queste prime settimane da Procuratore della Repubblica, è che il mio Ufficio sarà sempre al fianco di chi ha subito un delitto, non abbiamo paura di fare il nostro lavoro. Ho Sostituti Procuratori che conoscono il territorio e le sue dinamiche e, inoltre, possiamo contare su una Polizia Giudiziaria (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza tra tutti) di primo livello”.
Non sarebbe il caso che anche a Gela ci fosse un’associazione antiracket dopo la cancellazione di quella precedente?
“Spero che Gela diventi, sempre di più, un territorio che acquisisca consapevolezza della sua importanza in ambito regionale, e che, quindi, nascano associazioni di cittadini che possano portare avanti istanze legittime di riscatto del territorio. Lo spero da siciliano, oltre che da cittadino acquisito di Gela.
Gela merita, certamente, un futuro migliore del suo attuale presente. Molto risiede sulla capacità dei suoi abitanti di fare squadra, di leggere le potenzialità reali di un territorio e di legarle a contesti più ampi: provinciali, regionali, nazionali ed internazionali”.
Gela, da qualche mese, ha una nuova classe politica che gestisce la macchina amministrativa. Quale consiglio si sente di dare?
“La classe politica di Gela non ha certamente bisogno dei consigli di un Procuratore della Repubblica e io non sarei certamente in grado di darli. Spero che l’amore per questa città prevalga sempre nelle scelte politiche e amministrative. Lo spero per i figli di Gela, sia per quelli attuali che per quelli che ci saranno domani”.
Le inoltro un messaggio indotto dalla vox populi: si aprono indagini su numerosi fatti di cronaca ma, finora, i “colletti bianchi” non sono stati minimamente sfiorati. Cosa dice nel merito?
“Ho una vasta esperienza in materia di reati commessi da “colletti bianchi”, sono certo che non mancheranno le indagini anche in quest’ambito, nonostante le recenti riforme non ci aiutino”.
Se non avesse fatto il magistrato, cosa avrebbe fatto?
“Se non avessi fatto il magistrato, oggi, probabilmente, sarei in Ecuador a lavorare nel Parco nazionale Yasuni, una riserva naturale che possiede la più vasta biodiversità del Mondo”.
Cosa fa nel tempo libero?
“Nel tempo libero leggo, soprattutto libri di storia, e mi tengo in movimento. Sono alla ricerca di un buon testo dedicato alla fondazione della colonia dorica di Gela e alla sua incredibile storia millenaria”.
Ipse Dixit
Il comandante dei Carabinieri si racconta, “Gela città bellissima. No ai predatori dell’acqua pubblica”
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1 mese fail
1 Agosto 2024Lo scorso 8 giugno, ha compiuto un anno alla guida del Reparto Territoriale di Gela che comprende cinque comandi di stazione per un bacino di quasi 120 mila abitanti (oltre alla città del golfo ci sono Niscemi, Mazzarino, Butera e Riesi) con compiti di tipo investigativo e di gestione del personale. Il tenente colonnello Marco Montemagno, 42 anni, nativo di Catania, da buon siciliano ama il mare e definisce Gela una “città bellissima, piena di storia e di bellezze naturali”.
Come ha trovato il Reparto Territoriale di Gela dal giorno del suo arrivo?
“Ho trovato un Reparto avviato, con un altissimo livello di professionalità al suo interno, impiegato costantemente non solo nelle attività di prevenzione ma anche di contrasto alla criminalità sia organizzata che comune”.
Quali sono, nel contrasto alla criminalità, le emergenze continue che presenta il territorio gelese?
“A Gela vi è un calo complessivo dell’attività delittuosa e dei reati denunciati, i reati maggiormente presenti sono quelli contro il patrimonio. I furti, per esempio, rispetto al 2023 sono in calo del 6% con un dato in aumento di quelli scoperti del 12%. Un’altra emergenza presente sul territorio di Gela erano gli incendi di autovetture, il cui dato risulta in diminuzione del 50% rispetto all’anno scorso.
Questi risultati sono certamente frutto delle attività di controllo straordinario del territorio e di prevenzione svolte non solo dai Carabinieri ma anche dalle altre forze di polizia presenti sul territorio sotto il costante controllo ed indirizzo del Prefetto di Caltanissetta”.
Il Reparto Territoriale che dirige, si occupa anche dell’ordine e della sicurezza pubblica in contesti come Niscemi e Riesi. In entrambe le città, è molto forte (e a volte violenta) l’azione criminosa portata a compimento. Come contrastarla?
“Nei territori di Niscemi e Riesi sono state portate a compimento diverse operazioni di polizia giudiziaria dirette sia alla criminalità organizzata mafiosa che comune, oltre che azioni di contrasto ai reati in materia di sostanza stupefacente. Il lavoro deve essere costante e l’azione dell’Arma dei Carabinieri, in sinergia con le altre forze di polizia e sotto le indicazioni dell’Autorità di Governo, continuerà con servizi straordinari di controllo al territorio dei centri urbani e di pattugliamento e rastrellamento delle zone rurali anche attraverso l’impegno dei reparti speciali dell’Arma come i Carabinieri dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia”.
Il blitz “Mondo Opposto”, eseguito alla fine dello scorso anno proprio a Niscemi, ha ampiamente dimostrato che le famiglie mafiose locali monopolizzano anche l’economia pulita, avvalendosi della disponibilità di armi. I commercianti e gli imprenditori cedono perché hanno paura o c’è dell’altro?
“L’operazione “Mondo Opposto” rappresenta certamente un eccellente risultato nella lotta alla criminalità organizzata e fornisce un quadro aggiornato degli equilibri e degli interessi di Cosa Nostra nissena ed in particolare del Mandamento di Gela. Permane il clima di assoggettamento degli imprenditori, ma fa capire anche che chi denuncia è tutelato dallo Stato. Stare in silenzio non serve, non aiuta, occorre fare rumore, bisogna avere fiducia nelle Istituzioni, nelle forze di polizia che di solito hanno il primo approccio con l’imprenditore, nella magistratura e nella politica. Ognuno deve fare la sua parte in questa società”.
Quanto è importante la presenza di un’associazione antiracket in un territorio oppresso dalla malavita?
“In territori come quello del circondario di Gela e non solo, le associazioni antiracket giocano un ruolo fondamentale. Esse, infatti, oltre ad operare per contrastare il racket e l’usura, hanno la possibilità di costituirsi parte civile nei numerosi procedimenti penali, tutelando gli interessi delle vittime e contestualmente rafforzare la rete di fiducia sul territorio. Occorre tuttavia che chi è impegnato in queste attività, sia consapevole del proprio ruolo. Non serve infatti avere associazioni che facciano da confidenti ma associazioni che sostengano gli imprenditori in difficoltà, che li aiutino a superare le paure accompagnandoli per mano da noi Carabinieri”.
Torniamo a Gela: determinate operazioni di polizia giudiziaria da voi eseguite, hanno portato alla luce un vasto e continuo flusso di sostanze stupefacenti. Secondo le vostre investigazioni, sono le consorterie mafiose presenti sul territorio (Cosa Nostra e Stidda) a gestirlo o si tratta di gruppi criminali indirizzati solo su questo fronte?
“Il traffico di sostanze stupefacenti nel territorio di Gela è un fenomeno sempre più allarmante. Storicamente, il traffico di queste sostanze risulta essere una delle principali fonti di sostentamento per le consorterie mafiose di Cosa Nostra e Stidda che, spesso, per il rifornimento dai paesi produttori, hanno la necessità di consorziarsi con altre consorterie quali ‘ndrangheta e camorra”.
A Gela si soffre la sete. Manca l’acqua e ci sono interi quartieri a secco. La domanda è diretta: non vorremmo che in città, così come accertato in altri territori, fosse presente la mafia del mercato nero dell’acqua….
“Non risulta allo stato questo tipo d’interesse da parte della criminalità organizzata. Tuttavia l’emergenza idrica resta un grosso problema. Il nostro impegno è quello di verificare ed accertare che non ci siano furbetti che possano allacciarsi abusivamente alla rete idrica e sottrare acqua per le proprie esigenze o peggio ancora rivenderla a prezzi esorbitanti”.
Nella vostra caserma c’è la “stanza rosa”, uno spazio accogliente per aiutare chi ha subito una violenza a denunciare. Quali sono i numeri allo stato attuale?
“Presso il Reparto Territoriale di Gela cosi come in quella di Mazzarino e Niscemi sono presenti le Stanze Rosa realizzate con l’apporto di Soroptimist nell’ambito del progetto “una Stanza tutta per se”, locali che vengono destinati per accogliere ed ascoltare le donne e le persone fragili, vittime di reati di maltrattamenti o atti persecutori. Nel territorio di competenza del Reparto Territoriale di Gela, nell’anno 2023 abbiamo avuto 89 casi e nel 2024 fino ad oggi 45 episodi. Nel 2023 sono state arrestate 32 persone e nel 2024, fino ad oggi, abbiamo indagato 19 soggetti”.
Cosa vuole dire a coloro i quali non si presentano e non denunciano?
“Alle donne, alle ragazze ed ai bambini che non hanno la forza e il coraggio di denunciare, dico di fidarvi delle Istituzioni e delle forze di polizia. Dovete tendere la mano verso la nostra e fare in modo che possiamo (metaforicamente) afferrarvi. Una volta presi per mano tutto sarà più semplice. È comprensibile il timore e i dubbi che ognuno di voi può avere, ma dovete pensare che non siete soli e che basta veramente poco per essere liberi e riprendervi la vostra vita in mano. Denunciare ed informare le forze di polizia o rivolgervi ad un’associazione presente sul territorio, vi aiuterà a trovare la soluzione più adatta. Le relazioni sentimentali devono essere libere e non deve mai esserci violenza fisica o psicologica tra due persone che si vogliono bene. In caso di necessità chiamare il numero unico di emergenza 112 e andate subito a denunciare”.
Numerosi gli incontri avuti nelle scuole. Quali sono le domande più ricorrenti che le rivolgono?
“L’Arma dei Carabinieri da molti anni è impegnata a svolgere incontri all’interno delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado. Durante l’anno scolastico appena concluso, per esempio, abbiamo incontrato 1065 studenti divisi per 23 istituti scolastici. Durante i nostri incontri parliamo di legalità, affrontiamo il problema del bullismo e raccontiamo la storia di alcuni uomini e donne importanti che hanno dato la propria vita per la lotta alla criminalità organizzata mafiosa. I ragazzi sono molto interessati a conoscere come entrare a far parte dell’Arma dei Carabinieri, oppure domande sulla mia persona e sul mio percorso professionale, molti fanno domande tendenti a conoscere quali sono le sostanze stupefacenti e gli effetti sul proprio corpo. Sono convinto che occorre comunicare dalle scuole e perseverare in tutti questi incontri con l’intento di diffondere conoscenza e metterli in guardia sulle insidie più frequenti”.
Gli studi svolti (laurea in Scienze della Sicurezza e specialistica in Scienze della Sicurezza Interna ed Esterna), i corsi di formazione e qualificazione (master in Intelligence, perfezionamento in criminologia, lotta alla contraffazione e tutela della salute, della sicurezza, della libertà economica e d’impresa, l’abuso sui minori in ambito familiare e gli aspetti atropo-criminologici medico legali, normativi sul tema della violenza sessuale), hanno permesso al comandante dei Carabinieri del Reparto Territoriale di Gela, di affinare qualificate esperienze nelle discipline tecnico giuridiche e investigative, di gestione e controllo delle risorse umane e tecniche, di direzione strategica, pianificazione e programmazione. Consolidata e notevole è la specifica competenza tecnica nelle materie di polizia giudiziaria. Il suo primo incarico risale al 2001: comandante della sezione di grafica del Reparto Investigazioni Scientifiche (Ris) di Messina. Dopodiché (agosto 2005), il trasferimento in Calabria alla guida del Nucleo Operativo e Radiomobile del Comando Provinciale di Vibo Valentia e dal 2008, comandante della terza sezione Catturandi del Nucleo Investigativo di Reggio Calabria.
“Quest’ultimo incarico – sottolinea – è il più bello che ho ricoperto finora. Io con i miei uomini svolgevamo indagini finalizzate alla cattura di latitanti appartenenti alla ’Ndrangheta, alcuni dei quali inseriti nei programmi speciali di ricerca del Ministero degli Interni. Contestualmente alle indagini per la cattura, l’attenzione si focalizzava anche sull’operatività di quella famiglia mafiosa, ricostruendo gli affari illeciti e gli elementi organici”.
Dopo l’esperienza in Calabria, è tornato in Sicilia, guidando la compagnia di Nicosia, in provincia di Enna. Cosa ricorda di quel particolare momento?
“Il Comando della Compagnia Carabinieri di Nicosia è stato un incarico formativo e interessante, il territorio di competenza abbracciava gran parte del Parco dei Nebrodi. Ciò che ricordo con particolare affetto sono stati i due Natali passati con tutti i Carabinieri della Compagnia assieme alle nostre famiglie con la presenza, per tutti e due anni consecutivi 2015-2016, del Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, il Gen. Riccardo Galletta, oggi Comandante Interregionale a Milano. Sono state bellissime giornate di festa, cosi come siamo soliti fare in queste ricorrenze e condividere con le nostre famiglie questi momenti”.
Ha comandato anche la compagnia di Misilmeri, in un vasto territorio che abbraccia oltre 80 mila abitanti residenti in 10 comuni e in cui è presente – da sempre – una forte e radicata presenza mafiosa. Presuppongo che non sia stato facile operare in quell’ambito…
“Beh, in realtà tutto è stato reso molto semplice dal fatto che il lavoro che faccio mi piace molto, quindi qualsiasi difficoltà si supera. La presenza di Cosa Nostra nel territorio della Compagnia di Misilmeri ha radici molto antiche, i due mandamenti Misilmeri-Belmonte Mezzagno e Villabate, negli ultimi decenni, hanno dimostrato la loro piena operatività nel settore delle estorsioni. Il teatro operativo dove lavorare certamente era molto ostile, non è stato semplice svolgere le attività di polizia giudiziaria in comuni piccoli con pochi abitanti dove per fare un pedinamento dovevi mimetizzarti molto bene. Ma la fortuna è stata quella di avere uomini e donne competenti e disponibili, ma soprattutto innamorati della loro terra, la Sicilia”.
Quali sono, nel contesto criminale, le differenze che ha potuto constatare tra la ‘ndrangheta e la mafia?
“Ci sono tantissime differenze, alcune riguardano gli interessi criminali, ma vi è una sostanziale differenza strutturale organizzativa. Cosa Nostra ha una forma fortemente verticistica, mentre la ‘ndrangheta ha una struttura di tipo unitario, con un capo che ha la funzione di garantire leggi, affari ed evitare conflitti. Le famiglie di Cosa Nostra sono saldamente legate al territorio di appartenenza e non prendono forza o consenso dai vincoli di sangue o dall’unione familiare ma dal territorio in cui operano o dal paese. Diverso dalla ‘Ndrangheta dove gli appartenenti ad una ‘ndrina sono legati tutti ad una famiglia e cosi è per i loro successori. Saranno sempre collegati da vincoli di sangue della famiglia naturale”.
Nonostante gli inviti a prestare attenzione e a rivolgersi ai numeri di pronto intervento, numerosi anziani – ultimamente – cadono nella trappola dei truffatori che, fingendosi carabinieri, portano via soldi e gioielli. Vogliamo ancora una volta spiegare come bisogna comportarsi in questi casi?
“L’Arma dei Carabinieri rivolge particolare attenzione ai soggetti vulnerabili, tra cui gli anziani, sempre più fragili di fronte alle insidie della modernità. Soprattutto le truffe sono un fenomeno sempre più diffuso e attuale, che prende di mira le persone deboli, lasciando in loro segni indelebili. Oltre al danno economico e al trauma psicologico dell’invasione del proprio spazio domestico, le vittime subiscono, infatti, anche il senso di colpa di essere state raggirate. I truffatori approfittano proprio della sensibilità emotiva e della fragilità fisica degli anziani per conquistarne la fiducia, con i metodi più disparati. Non bisogna aprire la porta a persone sconosciute. Anche se qualcuno si presenta come Carabiniere e vi fa vedere un tesserino, non basta, chiamate il 112 per informarvi”.
Lo scorso 31 maggio, il tenente colonnello ha ricevuto l’encomio semplice dal Comandante della Legione Carabinieri “Sicilia”, con la seguente motivazione: “Comandante di Compagnia operante su territorio caratterizzato da alto indice di criminalità organizzata, evidenziando elevato senso del dovere, notevole professionalità e spiccato intuito investigativo, dirigeva, partecipandovi personalmente, un’indagine nei confronti di esponenti di un sodalizio criminale dedito alle estorsioni ed altri reati aggravati dal metodo mafioso. L’operazione, che si concludeva con l’esecuzione di provvedimento restrittivo a carico di sei persone, riscuoteva il plauso dell’opinione pubblica, contribuendo ad esaltare il prestigio dell’Istituzione.” Si tratta, attualmente, dell’ultimo di una lungo serie, tra riconoscimenti e medaglie.
A quale è legato di più e perché?
“Tra tutte le ricompense e riconoscimenti, sono certamente legato all’Encomio Solenne concesso dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri nel gennaio del 2011 a seguito della cattura del latitante Carmelo Barbaro, inserito nell’elenco del Programma Speciale di Ricerca del Ministero dell’Interno. Il motivo è certamente legato all’importanza del riconoscimento tributato dalla massima autorità dell’Arma dei Carabinieri”.
Come è nata l’idea di indossare la divisa dei carabinieri?
“Il sogno di fare il Carabiniere è nato quando ero ragazzino, intorno ai 13 anni. Ricordo che era periodo di feste e mi trovavo a casa di un mio zio che aveva fatto il Carabiniere. Ad un tratto mi chiamò e mi disse “vieni che ti faccio vedere una cosa”, aprì il suo armadio e tirò fuori una giacca dell’uniforme dei Carabinieri invitandomi ad indossarla. Misi la giacca e mi guardai allo specchio, fu amore a prima visa. Da quel momento il mio unico sogno fu diventare un Carabiniere!”
Ha avuto un vero e proprio mentore?
“Certamente, mio padre è stato il mio mentore che in tutte le fasi della mia vita si è dimostrato un consigliere saggio, sostenendomi in tutto il percorso difficile per raggiungere l’obiettivo. Lui è stato sicuramente un punto di riferimento che mi stimolava a continuare anche quando il tragitto per diventare Carabiniere diventava difficile”.
Cosa vuole dire ai suoi uomini?
“Ci sarebbero tante cose da dire, ma una le racchiude tutte: voglio dire ai Carabinieri di oggi e di ieri, grazie. Grazie per quello che fate ogni giorno e per la lealtà con la quale mi avete collaborato e mi collaborate. So che ciò che facciamo costa molto per i nostri affetti e le nostre famiglie, ma dobbiamo tenere duro e tenere fedeltà al nostro giuramento. Non dimenticate mai, come disse il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che viviamo la nostra vita per servire lo Stato, le Istituzioni e la collettività”.
Ipse Dixit
Il sinistro fatato del goleador Alma, “rispetto per i tifosi gelesi”
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3 mesi fail
1 Luglio 2024Custodisco gelosamente la sua maglietta, regalo della permanenza al Gela Calcio. Quei colori biancazzurri, Giuliano Alma, 31 anni il prossimo 27 luglio, non potrà mai dimenticarli. Attaccante esterno, nato a Niscemi, la casacca gelese l’ha indossata per cinque stagioni di seguito, dal 2014 al 2019, tra campionati di Promozione, Eccellenza e serie D. 104 presenze e 40 gol.
“A Gela sono cresciuto tanto sia come giocatore che come uomo – si affretta a dire -. Un’esperienza positiva e formativa sotto tutti gli aspetti “.
Con chi in quel periodo hai legato di più?
“Con diversi miei compagni. Sicuramente i vari Bonaffini, Evola, Cuomo, Brugaletta, Bonanno…Con tutti è rimasto un ottimo rapporto anche se ci sentiamo sporadicamente”
Il tuo rapporto con i tifosi gelesi?
“Direi molto buono anche se quando sono andato via, purtroppo, c’è stato qualche screzio. Avviene dappertutto, quasi nella normalità. Personalmente ho sempre rispettato la tifoseria del Gela e continuerò a farlo”.
Col Siracusa, quest’anno, Giuliano Alma si è piazzato al primo posto nella classifica dei cannonieri con 17 gol, tanti quanti ne ha realizzati il compagno di squadra Domenico Maggio. Tutto ciò non è bastato, però, a vincere il campionato di serie D.
“Ci è mancato essere perfetti per arrivare primi. Chi lo ha fatto praticamente lo è stato. Siamo stati ugualmente fantastici perché realizzare 84 punti non è da tutti”
Troppo forte il Trapani o meno forti le altre, Siracusa compreso?
“Con 84 punti conquistati, non posso considerare il Siracusa inferiore a nessuno ma il Trapani evidentemente ha fatto meglio di noi ed è giusto che lo abbia vinto”.
La carriera di Alma comincia nella stagione 2011-12 con l’Aquila Caltagirone in Eccellenza, con cui gioca 17 partite realizzando 7 gol. Poi il trasferimento a Ragusa in serie D (44 incontri in due campionati e solo due gol) e il successivo passaggio alla Pro Favara in Eccellenza, prima di approdare a Gela. Ha giocato anche con il Mantova, la Turris (coi corallini anche un’esperienza in C), la Caratese e il Lamezia. Il suo nome – adesso – gira parecchio. Ci sono tanti club che sono interessati a lui.
“Per adesso mi godo le vacanze e appena ci sarà qualcosa di concreto deciderò…”
Ti piacerebbe rimanere al Siracusa?
“Devo ancora valutare dove sarà il mio futuro…”
Qual è il gol più bello che hai realizzato in questa stagione?
“Sicuramente quello contro il Licata. Un sinistro da fuori area sotto il sette. Si si, rivedendolo confermo che è stato un bel gol”.
E quello che non potrai mai dimenticare?
“Il mio primo gol tra i professionisti con la maglia della Turris. Giocavamo a Teramo ed ero reduce da una frattura alla gamba. Ho attraversato un periodo da incubo, quel gol è stata una liberazione. Ai fini del risultato, però, non è bastato perché perdemmo 2-1”.
Il miglior allenatore che hai avuto?
“Emilio Longo alla Caratese. Un maestro di vita, una persona perbene…Un grande tecnico”.
Il miglior presidente?
“In assoluto il compianto Angelo Tuccio. In tutto quello che faceva ci metteva passione, amore. Non ci ha mai fatto mancare nulla. E’ stato un padre…”
Qual è la tua squadra del cuore?
“Il Milan”.
Il tuo idolo?
“Andriy Shevchenko. E’ stato un attaccante completo, come pochi”.
Cosa adori fare durante la giornata?
“Amo ascoltare musica…ed allenarmi”.
Che genere di musica?
“Soprattutto hip hop e Rhythm and blues americano”.
Cosa detesti?
“Lavare i piatti dopo avere mangiato. Non lo sopporto proprio…”
Il viaggio che ancora non sei riuscito a fare?
“Spero di visitare la California. Non voglio perdermi le bellezze di San Francisco, Hollywood, Los Angeles…”
Hai un portafortuna?
“No”.
Cosa ti piace leggere?
“Mi piacciono i libri formativi che aiutano ad arricchire la persona”
Se non avessi fatto il giocatore, cosa avresti voluto fare?
“Sicuramente il deejay, amo la musica in ogni sua forma”.
L’Italia è stata eliminata dall’Europeo. Qual è il tuo commento sulla disfatta azzurra?
“C’è tanta rabbia e tanto rammarico. Siamo l’Italia e non possiamo fare queste bruttissime figure. Purtroppo ad oggi viene soppresso parecchio il talento, si pensa più a far diventare un aspirante calciatore, un semplice atleta con doti fisiche e poca qualità e fantasia. Bisogna puntare sui vivai, valorizzare i giovani che hanno qualità e non confinarli in limiti tattici”.
Chi vincerà l’Europeo?
“Credo che per rosa, qualità ed esperienza europea la Francia sia la più attrezzata, ma occhio alla Germania”
Se un giorno dovesse arrivare una chiamata per indossare nuovamente la maglia del Gela, cosa risponderesti?
“Perché no, nel calcio mai dire mai…”
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