Ipse Dixit
Passione e impegno, lo stile di vita dei Carabinieri al servizio di tutti
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3 anni fail

Da settembre 2019, guida la scuola allievi dei Carabinieri a Reggio Calabria. “Lezioni e servizi – ci tiene a rimarcare – che si tradurranno in stima da parte della popolazione solo se ci sarà impegno e professionalità e non atteggiamenti esteriori: dovranno dimostrare di essere responsabili, preparati ed affidabili”. Così come insegna un buon padre ai propri figli. Il parallelismo regge anche per il colonnello Alessandro Magro, abruzzese di Vasto, laureato in giurisprudenza e specializzato in scienze della sicurezza interna ed esterna. Chi scrive ha avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, apprezzandone immense qualità umane ed un elevato acume investigativo. Tra le sue lunghe tappe in giro per l’Italia, dopo avere frequentato la scuola militare Nunziatella di Napoli e l’Accademia di Modena, è stato anche a Gela, dopo le esperienze di Bolzano, Milano, Ventimiglia, Manduria e Roma e prima di Rende, Lodi e Livorno. Lo scorso 2 giugno, ha ricevuto il prestigioso titolo di ufficiale al merito della Repubblica italiana. Si tratta di una delle più importanti onorificenze dello Stato.
Colonnello, cosa ricorda del suo trascorso a capo del Reparto Territoriale di Gela?
“È stato un periodo molto intenso sia dal punto di vista professionale che umano. Conservo ricordi vividi degli oltre 3 anni trascorsi in Sicilia. La Compagnia Carabinieri di Gela aveva appena cambiato sede dalla precedente caserma del centro storico in quella attuale di via Venezia. Il Comando Generale dell’Arma, come tangibile segno di attenzione e ascolto alle istanze di sicurezza del territorio, aveva da poco istituito l’attuale Reparto Territoriale, di cui ho avuto l’onore di essere stato il primo comandante, aumentandone le capacità operative e logistiche in termini di uomini e mezzi. Di lì a poco abbiamo inaugurato e intitolato la Caserma al Maresciallo Medaglia d’Oro al Valor Militare, Sebastiano D’Immè, con i cui familiari ho stretto un legame di vicinanza e affetto che tuttora mi lega. Non mi sembra il caso elencare cosa è stato fatto in quel periodo (le cronache dei giornali dell’epoca le hanno già descritte), ma posso certamente dire che il filo conduttore di ogni iniziativa, sia preventiva che repressiva, ha sempre avuto come obiettivo il “fare rete” con tutti gli attori del sistema Sicurezza: le istituzioni, le associazioni, i media, i cittadini desiderosi di scrollarsi di dosso l’appellativo di una città nota solo per gli episodi criminali, specie del passato”.
Il rammarico più grande della sua esperienza a Gela?
“Abbiamo sempre cercato di dare un nome e un volto a chi ha compiuto reati efferati. Purtroppo non siamo riusciti a darlo all’autore dello scippo che ha provocato una violenta caduta e la morte di una signora (Teresa Pagano, ndr) nei vicoli del centro storico il 3 dicembre del 2012. Il desiderio di giustizia di chi ha perso una persona cara non si può dimenticare”.
Qual è stato l’episodio criminoso che l’ha colpita di più e perché?
“Senza dubbio la strage di De Susino (21 giugno 2011) dove un intero nucleo familiare, composto da padre, madre e figlio minorenne, fu sterminato per futili motivi. L’autore di questa mattanza non si era limitato a sparare nei confronti delle vittime, ma aveva esploso numerosi colpi anche alla testa. Quando finì l’autopsia, i soli bossoli estratti dai corpi martoriati avevano riempito un intero barattolo di vetro.Mi colpì vedere un ragazzo così giovane (Salvatore Militano, 13 anni, ndr) assassinato in quel modo. Era accorso in aiuto della madre: aveva incrociato il suo assassino, che altri non era che il vicino di campagna, che non esitò a ucciderlo perché chiaramente lo conosceva. In quei giorni concitati non vi era solo la necessità di assicurare alla giustizia l’autore di un crimine così efferato. Tutta la collettività era molto turbata: un soggetto armato e capace di tutto era in circolazione e vi era il concreto pericolo che potesse colpire altri innocenti. Tutti noi sentivamo la necessità di una risposta immediata. Dopo pochi giorni dalla strage, l’autore della strage (Giuseppe Centorbi) tornò di notte presso l’abitazione delle vittime per esplodere numerosi colpi di pistola all’indirizzo dei veicoli parcheggiati e della casa: cominciò una vera e propria caccia all’uomo. Era sfuggito a più posti di controllo. Pensando che avesse trovato riparo più sicuro laddove vi erano meno pattuglie e meno lampeggianti, decisi, con tre militari, di dirigermi verso Piazza Armerina in borghese e a bordo di un’auto di copertura: l’intuizione fu felice perché ce lo ritrovammo davanti mentre era da solo alla guida della sua Fiat punto. Il killer per togliersi il dubbio che lo stessimo seguendo, accostò il veicolo sul ciglio della carreggiata. A quel punto, con il rinforzo di un’altra gazzella del Reparto Territoriale nel frattempo sopraggiunta, lo bloccammo, lo disarmammo e lo arrestammo senza esplodere colpi di pistola e in piena sicurezza: aveva con sé tre pistole tutte cariche e numeroso munizionamento. Furono momenti molto concitati”.
C’è invece un fatto curioso, un aneddoto che vuole raccontarci?
“Ce ne sono diversi ma ora mi viene in mente quello di un giovane che si presentò dal militare di servizio alla caserma chiedendo di poter conferire con il comandante. Decisi di riceverlo. Quando gli domandai il motivo del colloquio mi disse senza esitare se potevo dargli una mano a trovare un lavoro. Quello che mi colpì non fu tanto la richiesta in sé per sé, ma la frase: “se lei vuole … lei può”. Gli risposi: “Mi faccia capire: quindi se lei non trova lavoro è perché io voglio che lei resti disoccupato?”. Il tutto finì in una simpatica chiacchierata. Alla fine andò via soddisfatto solo perché finalmente qualcuno lo aveva ricevuto e ascoltato”.
Cosa l’ha colpita quando, nel 2010, arrivó a Gela?
“Il primo giorno di servizio vi fu una rapina al supermercato vicino alla caserma, quello sulla via per Butera. I miei Ufficiali mi dissero: comandante le hanno dato il benvenuto! Ma non fu certo questo a colpirmi. Il contrasto tra ciò che avveniva per colpa di pochi rispetto al desiderio dei molti, in particolare dei giovani, di voler riscattare una città che vanta oltre 2.700 anni di storia e che, come ho accennato, troppo spesso viene accostata facilmente a solo luogo di malaffare”.
A Gela sono presenti due consorterie mafiose, Cosa Nostra e Stidda. Se non è un caso raro, nel panorama criminale, poco ci manca …
“Gela è nota alla cronaca nera per gli eventi cruenti che hanno interessato le due consorterie mafiose e questo è un dato ormai storicizzato. Ma è anche il luogo dove da diversi anni sono stati fatti passi da gigante e dove sono nate tante iniziative, non solo antimafia. Quando mi riferisco al fare, intendo che oggi l’affermazione dei principi di legalità non è più un sentire che appartiene solo alle forze di polizia o alla magistratura: dalla scuola, alle comunità parrocchiali, dalle associazioni ai Comuni sono stati avviati percorsi virtuosi che sempre più sostengono e promuovono la legalità ed il rispetto delle regole come unico antidoto per lo sviluppo sano del paese, portando ad un cambio sempre più netto di posizione”.
Se a Gela ancora si parla di mafia e di criminalità, vuol dire che c’è ancora tanta strada da fare per sconfiggerle …
“Mafia e criminalità sono attenzionate in tutta Italia e all’estero, anche dove apparentemente i segnali di infiltrazione delle consorterie appaiono labili. Non bisogna mai abbassare la guardia”.
Dopo il suo trasferimento da Gela, lei ha guidato i comandi provinciali di Lodi e Livorno. Che differenze ha notato tra il lavoro svolto al Sud e quello svolto al Nord?
“Nel modo di impostare il lavoro sostanzialmente non è cambiato nulla per me. Prima di arrivare a Gela avevo già lavorato nel Nord Italia per oltre 6 anni e nel tornare nel centro-nord ho certamente portato con me il background di esperienza trascorso in Sicilia. Per riallacciarmi al discorso di prima, per esempio, a Livorno i Carabinieri hanno sequestrato a più riprese ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti riconducibili alla mafia del Sud”.
Si chiede la collaborazione dei cittadini per addivenire in tempi brevi all’individuazione di crimini e criminali, ma in pochi denunciano. Perché?
“Su questo non sono d’accordo. Presso la Stazione di Gela ricordo c’era sempre una fila enorme di persone che denunciavano la qualunque cosa o venivano in sede per chiedere un consiglio o un parere: questo avviene quando l’attività di un reparto supera il mero esercizio dei compiti di polizia. La promozione, inoltre, della cultura della legalità presso le scuole, le parrocchie e i soggetti vulnerabili, il sostegno ai comitati di quartiere ed altro, sono attività quotidianamente messe in campo dall’Arma dei Carabinieri e che, nel tempo, creano le premesse di un rapporto di fiducia con il cittadino”.
Da qualche anno è ritornato al Sud ma con compiti diversi rispetto a prima. Ha una enorme responsabilità: istruire e formare il carabiniere di domani. Compito sicuramente non facile …
“Tutto parte dalla Scuola, dalla formazione. Formare dei giovani che hanno scelto di diventare Carabinieri è per me motivo di grande orgoglio e di altrettanta responsabilità. I giovani vincono un concorso per fare il Carabiniere: il nostro compito è quello di portare questi ragazzi ad “essere” Carabinieri. La loro prima destinazione, dopo il giuramento, sarà quella di un Comando Stazione, dove, con il supporto del personale più anziano, metteranno in pratica gli insegnamenti appresi”.
Perché tanti giovani hanno il desiderio di indossare la divisa?
“Proprio perché, scegliendo di “essere Carabinieri”, hanno scelto un vero e proprio stile di vita fatto di passione ed impegno verso la comunità che gli verrà affidata. Elementi indissolubili che tanti anni fa, mi hanno spinto ad entrare nell’Arma”.
Siamo agli inizi del 2022. Cosa si augura per quest’anno?
“Di portare, con l’aiuto di tutti i miei collaboratori, a giurare i circa 700 Carabinieri che oggi frequentano la Scuola Allievi di Reggio Calabria nonostante le problematiche dovute al Covid. Dietro ogni ragazzo/a vi è una famiglia che ha affidato alla nostra Istituzione i propri figli ed è nostro dovere farli crescere in piena sicurezza e secondo i valori della nostra Repubblica e l’etica professionale tipica dell’Arma”.
Accennava al Covid: un altro anno è stato contrassegnato dal virus. Ne usciremo definitamente?
“Sono assolutamente fiducioso in questo. L’importante è non abbassare l’attenzione”.
Tornerà a trovare gli amici a Gela qualche volta?
“Non ho mai smesso di sentirmi con loro e, con qualcuno, ci siamo già più volte incontrati sebbene non a Gela. L’amicizia e i buoni rapporti oggi si riescono a mantenere anche grazie alle opportunità offerte dalla tecnologia. Ho sempre Gela nel cuore: ogni qual volta ho modo di parlare con loro, avverto una fiamma che arde nei loro cuori che non è affatto dissimile, mi passi la similitudine, da quella che arde sul berretto di un Carabiniere”.
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Ipse Dixit
“Sacrifici quotidiani per garantire sicurezza e legalità nel territorio”
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15 ore fail
1 Luglio 2025
Nato a Torino cinquant’anni fa, il comandante provinciale dei Carabinieri di Caltanissetta, colonnello Alessandro Mucci, laureato in “Giurisprudenza” con specialistica in “Scienze della Sicurezza Interna ed Esterna”, ha una carriera alle spalle di tutto rispetto. Ha operato soprattutto nel Sud Italia, con diverse tappe nel Lazio dove dal 1999 al 2004 ha guidato (ed insegnato) nel tempo, alla scuola Allievi Marescialli e Brigadieri di Velletri, alle porte di Roma; il Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Latina e dello stesso comando provinciale e la Compagnia di Aprilia. Successivamente, il suo cammino lo ha portato nelle città ad alta densità criminale: Pozzuoli, Locri, Reggio Calabria, Bari. In Puglia, è stato comandante del Ros, il Raggruppamento Operativo Speciale. Ha messo piede in Sicilia nel settembre del 2004, guidando la Compagnia di Santo Stefano di Camastra, nel Messinese, fino al 2007, per poi ritornare nella nostra isola nel 2022, con l’incarico di Capo Centro Dia di Palermo.
Colonnello, partiamo proprio da qui. Nei diversi incarichi professionali, ha combattuto la ‘Ndrangheta, la Sacra Corona Unita, la camorra e la mafia. Organizzazioni simili e spavalde nel compiere reati crudeli ma differenti tra loro. E’ proprio così?
“I caratteri costitutivi – quindi la forza d’intimidazione, l’assoggettamento, l’omertà – e le finalità – di illecito arricchimento, di infiltrazione dell’economia – sono comuni a tutte le organizzazioni di tipo mafioso, che agiscono in diversi ambiti territoriali di operatività e di influenza, e secondo criteri organizzativi interni in parte differenti”.
Abbiamo accennato della sua permanenza in Calabria. Che ricordi ha e cosa di quella terra ricorda piacevolmente?
“Una straordinaria esperienza professionale per intensità e complessità”.
Tra i risultati conseguiti dal colonnello Mucci, sono state numerose le operazioni di servizio che hanno portato alla disarticolazione di importanti sodalizi criminali, al sequestro di ingenti patrimoni, all’identificazione degli autori di efferati fatti di sangue e la cattura di numerosi irreperibili, di cui due compresi nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità inseriti nel “Programma Speciale di Ricerca”. Basti ricordare Ernesto Fazzalari di Taurianova, nel Reggino, considerato all’epoca della cattura il secondo in Italia dopo Matteo Messina Denaro e inserito nell’elenco stilato da Europol dei “Most Wanted Fugitives”, e Giuseppe Giorgi, di San Luca, e altri 6 inseriti nell’elenco dei “latitanti pericolosi”.

Dallo scorso 16 settembre, lei è al comando del Provinciale di Caltanissetta. Massima attenzione, è chiaro, è dedicata a Gela. Se da un lato, nella nostra città, c’è una sensibile riduzione degli incendi dolosi, grazie ad un sofisticato sistema di videosorveglianza, dall’altro proliferano l’uso di armi e lo spaccio di droga. Come legge lo spaccato che si delinea?
“Nel territorio di Gela è giudizialmente accertata l’esistenza e operatività di organizzazioni criminali, anche di tipo mafioso, tra le cui fonti di arricchimento e sostentamento economico, lo spaccio di sostanze stupefacenti occupa certamente un ruolo preminente. Quanto alla disponibilità di armi, anche in questo caso il dato rinviene dalle indagini e dalla quotidiana attività di prevenzione e contrasto svolto dalla Magistratura e dalle Forze di Polizia, come evidenziato anche in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario del 25 gennaio scorso. Sulla sensibile riduzione degli incendi dolosi, ritengo possano essere fatte due considerazioni di carattere generale: la prima riguarda la costante attenzione rivolta alla specifica fenomenologia delittuosa – di particolare allarme sociale – da parte di tutte le Autorità e le Istituzioni deputate all’ordine e alla sicurezza pubblica, in primis il Prefetto di Caltanissetta che ha svolto importante azione di impulso proprio in tema di controllo del territorio finalizzato alla prevenzione dei reati, accompagnato da qualificate attività investigative svolte sotto la direzione dell’Autorità Giudiziaria; la seconda considerazione in tema di riduzione del dato numerico consegue ad una più approfondita analisi del fenomeno, con particolare riferimento alla matrice entro cui “inquadrare” i singoli eventi: accanto, infatti, ad episodi la cui origine appare contestualizzabile in contesti di criminalità organizzata, si pensi ai danneggiamenti con finalità estorsiva, esiste in apprezzabile misura una fenomenologia connessa e dinamiche di natura quasi “privatistica” potremmo definirla: episodi connessi a vicende interpersonali, la cui valutazione dell’andamento nel tempo è quindi maggiormente “sfuggente” rispetto alle attività di analisi dei fenomeni criminali più strutturati”.
Perché, soprattutto dalle nostre parti, la maggior parte delle persone guarda solo al proprio interesse?
“Non ritengo di avere specifiche competenze per un approfondimento, sotto il profilo psicologico e dello studio dei comportamenti, sul tema dell’egoismo”.
Allarghiamo l’orizzonte: in tutta Italia, sono numerosi gli incontri che le forze dell’ordine hanno con gli studenti al fine di diffondere la cultura della legalità, però se leggiamo i dati dell’ultimo sondaggio, c’è da rabbrividire. Per la maggioranza degli alunni italiani, la mafia è più forte dello Stato e non può essere sconfitta. Solo il 20% (uno su cinque) crede che possa essere annientata. Si tratta, sicuramente, di un dato shock. Non crede?
“Crediamo molto nella diffusione della cultura della legalità tra i giovani e nelle scuole, e lavoriamo ogni giorno perché le parole di Giovanni Falcone, nella celebre intervista a Rai3 il 30 agosto 1991, sulla fine della mafia e sul come si possa vincere la mafia, possano trovare piena credibilità anche tra i giovani di oggi”.
Nel contrasto al crimine, la tecnologia – indubbiamente – vi offre un contributo importante. Come rende il vostro lavoro e le vostre operazioni all’avanguardia?
“Viviamo un’era di profonde trasformazioni e di rapidi cambiamenti, che influenzano il nostro modo di vivere e di interagire. Le tecnologie di uso generale sono in grado di trasformare radicalmente i processi decisionali, operativi ed esecutivi in diversi campi, le continue innovazioni tecnologiche ridefiniscono anche i parametri della sicurezza mondiale: tutto ciò rende le nostre sfide sempre più complesse, per cui l’Arma è impegnata nei programmi di ricerca e di sviluppo al fine di offrire strumenti adeguati per far fronte ad una minaccia in continua evoluzione”.
Parallelamente, della stessa tecnologia ne fa uso anche la malavita. E’ risaputo che il crimine è sbarcato sui social per condurre affari illegali. Come e dove bisogna intervenire per frenare tutto ciò di cui le associazioni mafiose traggono vantaggio?
“Ritengo si debba intervenire lavorando sulla capacità anzitutto di interpretare i mutamenti che stiamo vivendo, propri dell’era digitale, e quindi sviluppando una conseguente capacità di garantire risposte adeguate alle nuove sfide di cui dicevo prima, al passo con i tempi, accanto alle tradizionali strategie di prevenzione e di repressione”.
Qual è la sua definizione di mafia?
“Ritengo che la definizione di “associazione di tipo mafioso” nel nostro codice penale riassuma efficacemente tutti i caratteri del fenomeno mafioso”.
Perché in alcune aree d’Italia, non si è mai sradicata la contiguità tra mafia e politica?
“Al di là del riferimento territoriale, reputo che i legami politico – mafiosi siano, e la storia giudiziaria ne offre piena conferma, strettamente connessi al fenomeno mafioso: al punto da rendere necessaria una specifica previsione normativa, all’articolo 416-ter, in tema di scambio elettorale politico mafioso appunto”.
Quali sono le attività silenti, poco conosciute, che i Carabinieri portano avanti al servizio della comunità?
“Come ricordato in occasione della celebrazione del 211° anniversario della fondazione dell’Arma, ogni giorno di “vita operativa” restituisce storie di rassicurazione sociale, di piccoli gesti di vicinanza, di presenza sempre competente e generosa grazie a quell’attitudine all’ascolto e al dialogo con la gente, che da sempre caratterizzano la “cultura della sicurezza” del Carabiniere: tanti cittadini si rivolgono al Carabiniere per un semplice consiglio, un suggerimento, a volte una parola di conforto”.
Nella nostra provincia, in altrettante caserme, sono presenti cinque stanze dedicate all’ascolto delle vittime di violenza domestica e di genere. Lei, in più occasioni, ne ha sottolineato il ruolo fondamentale ed ha invitato le vittime a denunciare. Il messaggio è stato accolto?
“I Carabinieri sono quotidianamente in prima linea non solo nelle attività di contrasto delle diverse fattispecie di reato in tema di violenza domestica e di genere, ma anche nella prevenzione attraverso la diffusione di materiale informativo, di locandine, mediante la pubblicazione di video sui propri canali social, la realizzazione di spot, come quello che qualche tempo fa ha visto la partecipazione del presentatore Carlo Conti, per invitare le donne a “fare il primo passo” informandole sull’esistenza di misure di natura legale, ma anche di supporto psicologico, lavorativo ed economico a sostegno delle vittime. E ancora le tante occasioni di incontro con le scuole e le comunità, e la sezione dedicata al “codice rosso” sul sito istituzionale www.carabinieri.it. I dati relativi alle attivazioni del “codice rosso” in provincia evidenziano un importante ricorso alla denuncia da parte delle vittime della violenza di genere: e mi ricollego al concetto di “prossimità” e di vicinanza ai cittadini, e ancora al ruolo fondamentale svolo dalle Stazioni Carabinieri, primo sportello di ascolto per le vittime”.
In occasione della cerimonia per i 211 anni della fondazione dei Carabinieri, lei ha ricordato le vittime del dovere e i militari della provincia nissena caduti in servizio, scandendo i loro nomi. Quale esempio hanno lasciato a tutti voi che indossate la divisa?
“L’esempio dei nostri caduti dev’essere per tutti noi Carabinieri costante e immutabile modello di riferimento: un esempio di dedizione, di senso del dovere, di fedeltà al giuramento prestato”.
Quali sono i consigli per evitare di cadere nella trappola delle truffe commesse ai danni di persone anziane?
“L’Arma ha messo in campo numerose iniziative in tema di truffe agli anziani: da ultimo, tra le “buone pratiche” individuate per accrescere l’incidenza dei servizi di prossimità alla popolazione anziana e per sensibilizzarla sul delicato tema, è stata avviata una capillare campagna di informazione, finalizzata ad accrescere i livelli di prevenzione e la funzione di “rassicurazione sociale” in favore degli anziani, coinvolgendo anche “Federfarma Caltanissetta” e l’“Ordine Provinciale dei Farmacisti” in una collaborazione che prevede la distribuzione di un opuscolo informativo sulla specifica tematica, consegnato in ciascuna delle 85 farmacie delle provincia in occasione dell’acquisto di farmaci. Il consiglio principale resta sicuramente quello di contattare sempre il Numero Unico di Emergenza 112 in caso di dubbio”.
Cosa vuole dire ai suoi carabinieri che operano nel Nisseno?
“Come recentemente espresso in occasione della Festa dell’Arma, il mio apprezzamento per l’impegno quotidianamente profuso, ma anche un ringraziamento per lo spirito di servizio, per la competenza e il rigore morale, per quel contributo quotidiano e “silente” di cui si faceva cenno prima, per i sacrifici che spesso il nostro servizio comporta per tutti noi e per le nostre famiglie”.
Ha mai temuto per la sua incolumità?
“La paura è un’emozione umana, la professionalità comporta il saperla gestire, il non farsene condizionare, ma soprattutto il cercare in ogni ambito di prevedere ogni possibile fattore di rischio e adottare le procedure operative corrette per ridurre al minimo l’esposizione al pericolo per l’incolumità propria e del personale”.
Se non avesse fatto il carabiniere, cosa avrebbe fatto?
“Sono appassionato di tecnologia, probabilmente avrei orientato i miei studi in quel settore”.
L’errore da cui ha imparato di più?
“Ogni singolo errore deve far maturare una riflessione sul “cosa si sarebbe potuto fare di più o meglio”.
Le fa paura il tempo che passa?
“No!”
Si pente di qualcosa?
“Assolutamente no”.
Lei è torinese: bianconero o granata?
“Juve tutta la vita”
Qual è il piatto della nostra provincia che le piace di più?
“Adoro tutta la cucina siciliana. Buonissima!”
Ipse Dixit
Il coraggio di denunciare di Nino Miceli, “nessuno si permetta di non renderci liberi!”
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1 mese fail
1 Giugno 2025
La sua storia potrebbe ispirare un regista cinematografico (non è escluso che ciò accada) perché evidenzia, in un vortice perenne di pesanti e vigorose emozioni, l’iniziale sottomissione al crimine; la susseguente ribellione; il forzato allontanamento dalla sua terra e la testimonianza contro i suoi carnefici, condannati nei tre gradi di giudizio, a 450 anni di carcere.Poco meno che quarantacinquenne, in quel periodo, Nino Miceli dirigeva la concessionaria Lancia-Autobianchi in via Venezia. Lui, agrigentino di Realmonte, era felice di operare a Gela. La città piaceva anche alla moglie e ai suoi due figli. L’attività andava benissimo e anche i dipendenti erano soddisfatti del lavoro. Si era trovata l’alchimia perfetta. Quando un giorno, un maledetto giorno, tutto crolla. E’ l’aprile del 1990. Siamo in piena guerra di mafia. Accompagnato da un ex dipendente di Miceli, in concessionaria si presenta un boss di Cosa Nostra (un capo mandamento) che chiede lo sconto sul prezzo di una Lancia Thema in esposizione e una detrazione di parte della somma pattuita di 10 milioni di lire, in cambio di un’Alfa Romeo da rottamare. Miceli non ci sta. L’affare non può essere concluso. A quel punto, il capomafia lo fissa negli occhi: “ma tu lo sai chi sono io?”. Non una vera e propria richiesta di denaro (avverrà dopo) ma l’immagine evidente della protervia, dell’imposizione, dell’intimidazione e del disprezzo per chi aveva osato non sottostare alla pretesa. E’ l’inizio della fine. Da quel momento cominciano i guai. Il negozio viene dato alle fiamme alla fine dello stesso mese di aprile. Un danno enorme di 200 milioni di lire. Poi altre avvisaglie, con un ulteriore tentativo di incendio tre mesi dopo. Il biglietto da visita della malavita locale, era stato fatto recapitare. Da quel momento, Miceli comincia a pagare 500 mila lire a Cosa Nostra. Il 28 febbraio dell’anno successivo, un altro rogo. Un inferno di fuoco. Un ulteriore messaggio, eloquente: tra i beneficiari del pizzo, si aggiunge anche la Stidda che pretende la stessa somma elargita ai “rivali”. Miceli è ostaggio, umiliato, sia come uomo che come commerciante, privato della propria libertà, stretto a tenaglia. Dal secondo “contatto”, Miceli comincia a registrare le conversazioni con i mafiosi, mette nero su bianco dinnanzi agli investigatori, facendo nomi e cognomi, raccontando ogni dettaglio, con particolare dovizia. E’ l’inizio della fine ma a parti invertite. Purtroppo però è solo in fase di denuncia e in pochi lo seguono.
Miceli, ha creduto e sperato che in quel periodo la muraglia di silenzio che cinturava Gela perdesse pezzi e che la facciata si sgretolasse?
“L’ho sperato, in particolare quando l’allora capitano dei Carabinieri, Mario Mettifogo ci esortò che uniti nella denuncia, tutti noi commercianti avremmo potuto liberare la città dal cancro mafioso. Purtroppo, è andata diversamente e la muraglia di silenzio ha perso qualche pezzo ma è rimasta in piedi…”
Nel suo trascorso, si staglia lo sfondo di una Gela da girone infernale. Sono stati anni difficilissimi…
“Purtroppo si: sono stati anni difficilissimi, da girone infernale per me e la mia famiglia in particolare, ma Gela, fortunatamente, non è solo mafia. E’ una città dove, per esperienza diretta, ho conosciuto tantissima gente perbene che, in modo seppur diverso, ha vissuto quel girone infernale”.
Da più parti, la sua è stata definita una lotta trentennale non solo contro le cosche mafiose ma anche con alcune frange del movimento antimafia e alcuni esponenti delle istituzioni statali. Perché?
“La mia è stata una lotta, fatta in compagnia di Tano Grasso e con il supporto fondamentale del mio amico Angelo Lo Scalzo, funzionario di Polizia, per me stesso ma anche per chi dopo di me avrebbe fatto scelte coraggiose. Quelle che definiamo Istituzioni allora non avevano piena coscienza del problema racket che soffocava i commercianti. Ricordo a me stesso come l’allora ministro degli Interni, Roberto Maroni, chiese ed ottenne dalla Rai una trasmissione riparatoria dopo la denuncia di Roberto Saviano che affermava come la mafia spadroneggiasse anche nel nord Italia”.
In tutti questi anni di lotte continue per la legalità, lei ha conosciuto anche il magistrato più scortato d’Italia, Nino Di Matteo. Chi è stato per lei?
“Di Nino Di Matteo il ricordo che ho è di un allora giovanissimo magistrato molto preparato che seppe tutelarmi durante la mia lunga testimonianza dai pretestuosi, anche se comprensibili, attacchi da parte degli avvocati difensori dei mafiosi. E’ anche a sua firma la risposta che la procura di Caltanissetta invia al Servizio centrale di Protezione quando quest’ultima chiede un parere su una elargizione che mi avrebbe consentito di rientrare tra i vivi. Quella lettera la definisco nel mio libro “La mia unica medaglia ricevuta”. L’avermi citato nel suo libro “Assedio alla toga” come esempio da seguire è stata una carezza che conforta”.
Perché in quegli anni, in sede di denuncia, le fu consigliato di recarsi dai Carabinieri e non al Commissariato di Polizia?
“Avevo perplessità e sfiducia nei confronti di tutte le forze dell’ordine per alcuni avvenimenti che riporto nel libro. Un mio carissimo amico, che aveva la possibilità di valutare, ritenne di consigliarmi in quel particolare contesto di rivolgermi ai carabinieri”.
Lo abbiamo accennato in precedenza: il comandante Mario Mettifogo…
“Mario Mettifogo è la persona a cui ho affidato la mia vita. Il suo approccio nei miei confronti non è quello dell’Autorità che si rivolge dall’alto in basso al cittadino ma quello di una Autorità che chiede al cittadino di essere aiutato per il raggiungimento di un obiettivo condiviso da ambo le parti. E’ anche l’uomo che mi pone davanti i pericoli che sono insiti in quella denuncia a Gela in quel contesto e si adopera per la mia salvaguardia. Poi con il tempo diventa l’amico con il quale ti intrattieni tra ricordi e attualità”.
Il 10 novembre del 1992, la mafia alza il tiro ed uccide il profumiere Gaetano Giordano. Lo conosceva?
“Non ho un ricordo personale perché non lo conoscevo. Quel barbaro omicidio, accompagnato dal ferimento del figlio Massimo, mi ha messo di fronte ad una realtà per me inimmaginabile. A Gela per una denuncia, si poteva morire”.
“Io, protetto: una vita da incubo. Con l’antimafia dell’Ulivo, io mi sarei anche potuto impiccare”. Cosa l’ha spinta a pronunciare quella frase nel luglio del 1998?
“Leggere che il sottosegretario agli interni, Giannicola Sinisi, nel corso di una audizione alla Commissione antimafia affermava di avere liquidato con 20 o 30 milioni di lire alcuni testimoni, francamente mi ha fatto male e da qui lo sfogo con la giornalista de La Repubblica, Liana Milella”.
Quanti sacrifici ha fatto, assieme ad altri “coraggiosi”, per fare emanare il decreto-legge per l’istituzione di un fondo di sostegno per le vittime delle richieste estorsive?
“Non si è trattato di sacrifici, quanto di legittime richieste per noi e per chi dopo di noi avrebbe fatto la civile scelta della denuncia, di non subire oltre che il danno la beffa economica. E’ tutto merito di Tano Grasso che con il supporto di un manipolo di testimoni riuscì a porre all’attenzione del Paese il problema racket. Il forum organizzato dal Corriere della Sera con la nostra presenza, fu la miccia che avviò la fiammata che fece riscoprire la legge rimasta insabbiata in Senato. A seguire arrivò la convocazione di Walter Veltroni con la promessa, mantenuta, che la legge sarebbe stata approvata al più presto”.
Per quale motivo, c’è voluto così tanto tempo per fare capire allo Stato che il “testimone di giustizia” (come nel suo caso) fosse un soggetto completamente diverso rispetto ad un “collaboratore di giustizia”?
“Voglio ricordare che il fenomeno del pentitismo si sviluppa negli anni 80 per merito di Giovanni Falcone e del pool antimafia e si amplia negli anni 90 con centinaia di pentiti. I testimoni di giustizia non hanno mai superato le 60\70 unità. L’apparato statale abituato a gestire pentiti, ha inizialmente accorpato i testimoni nella stessa struttura che gestiva i pentiti. E’ grazie ad Alfredo Mantovano e a Tano Grasso che anche questa anomalia è stata risolta con la creazione ad hoc di una struttura che gestiva solo i testimoni. E’ gratificante sentire la risposta al telefono, quando chiamo i Nuclei Operativi di Protezione: Antonino, come possiamo aiutarla?”
In quegli anni terribili, chi le è stato realmente vicino?
“Inizialmente Mario Mettifogo che ha condotto l’operazione Bronx 2 con il ritrovamento del libro mastro delle estorsioni; poi l’allora Maggiore Domenico Tucci che mi ha seguito e consigliato in relazione alla mia sicurezza. Il generale Umberto Pinotti che, dopo gli screzi avuti in caserma a Gela, ho rincontrato a Roma consigliandomi una soluzione di uscita dal Servizio centrale di protezione. Tano Grasso che mi ha coinvolto in questa battaglia ideale a favore dei testimoni standomi vicino e trovando soluzioni inizialmente impensabili a favore dei testimoni. Senza dimenticare Antonio Manganelli, allora Direttore del Servizio centrale di protezione che diede parere favorevole alla formulazione che ho proposto per la mia uscita dal Servizio. Alfredo Mantovano, il prefetto Rino Monaco, il maresciallo dei carabinieri di Appignano di Macerata, Giovanni Cardoni. In questo lungo e accidentato cammino, l’uomo a cui devo veramente tutto è Angelo Lo Scalzo, il funzionario di Polizia, amico d’infanzia, che mi è stato sempre vicino nel quotidiano di questo accidentato percorso. il vero mio Angelo Custode in tutta questa vicenda”.
Quanto è stato difficile per lei e per i suoi familiari, assumere una nuova identità, cambiare radicalmente residenza e attività lavorative?
“Inizialmente le difficoltà principali le hanno subito mia moglie e i miei figli. Invito ad immaginare una madre e due ragazzi sradicati dal loro ambiente e trasferiti in una località sconosciuta alla quale dovevano adeguarsi. Per loro, il senso di solitudine ma anche di abbandono vissuto, deve essere stato alienante. In merito alla nuova identità, è come mentire ma con il tempo prendi atto che le nuove generalità ti accompagneranno fino alla fine dei tuoi giorni e quindi convivi con questo dualismo identitario e prendi atto di una interruzione della catena genealogica. Questa interruzione mi fa stare male sotto l’aspetto psicologico”.
Si è sentito un esiliato?
“Si, mi sono sentito esiliato! La città che mi era stata vicina dopo gli incendi, si è allontanata quando divento accusatore e mi costringe ad andare via. Con la cittadinanza onoraria ho creduto nella riconcilazione e il dono dell’opera del maestro Leonardo Cumbo, “Attrazione repulsiva” posta allora sul lungomare, era per me il segno e la volontà rappacificatrice sia mia che della città di Gela. L’asportazione dell’opera (per restauro?) da due anni e il fatto che non sia più tornata al suo o altro posto, cosa significa? Possibile che l’opera dia fastidio? E se si, a chi? Sono domande che non cercano risposta”.
Se tornasse indietro a quegli anni, rifarebbe le stesse identiche cose?
“E’ una domanda che mi sono fatto e mi è stata fatta mille volte e la risposta è sempre la stessa. Rifarei tutto, anche se questa azione di denuncia, che in un paese civile dovrebbe essere un gesto normale, nel mio caso ha sconvolto l’esistenza normale di una normale famiglia. La libertà è un valore che non ha un prezzo”.

Perché ritiene che ci sia una vera e propria oligarchia dell’antimafia?
“Nel momento in cui il problema racket ha interessato seriamente il nostro Paese, mafiosi, politici e soggetti istituzionali vari e non, hanno valutato questo fenomeno come terreno su cui lucrare sia economicamente che come gestione del potere a spese di chi in questa guerra contro la mafia c’è morto o si è sconvolto la vita come me”
Ha avuto timore di essere ucciso?
“Si, è stato un timore ricorrente, quello di subire una ritorsione anche estrema, ma riesco razionalmente a tenere questo timore in cassaforte della quale ho dimenticato la combinazione”.
Ha paura della morte?
“Ho paura della sofferenza che può portare alla morte ed ho coscienza che essa si avvicina”.
Si è sentito solo in quegli anni a Gela?
“Per nulla, ho avuto sempre vicino persone che mi hanno voluto bene e non sono sicuro di averli ringraziati abbastanza. Sono una persona che ha difficoltà a tradurre in parole i suoi sentimenti verso chi vuole bene”.
Attualmente di cosa si occupa?
“Nel 2014 ho vissuto un momento difficile sotto l’aspetto sentimentale ed è in questo momento buio interiore che ricevo la telefonata di Massimo Giordano, il figlio del compianto Gaetano, che mi invita a venire a Roma: ho bisogno di persone di cui mi fido. Massimo è stato nominato Coamministratore Giudiziario, dalla Procura di Roma, di una importante procedura di sequestro preventivo e ritiene di affidarmi l’amministrazione di diverse società facente parte della stessa procedura, che successivamente diventa confisca definitiva e ancora oggi sono qui ad assolvere a questo compito di amministratore che a breve dovrebbe concludersi con l’assegnazione e\o vendita dei beni e definitiva chiusura della procedura. E poi, se ci sarà un poi, la pensione. A Massimo devo dieci meravigliosi anni romani”.
Qual è il suo senso della vita?
“Non credo che la vita non abbia di per sé un senso, ma si è costretti a darglielo. In alternativa, il suicidio”.
A Gela è stato fatto tutto (e bene) sul fronte dell’antiracket?
“La mia visione sul fronte dell’antiracket a Gela è per lo più una visione frammentata, considerata la mia lontananza da Gela. E’ indubbio l’attivismo del presidente della disciolta associazione. Ho partecipato al 25’ anniversario dell’uccisione di Gaetano Giordano e mi sono rimaste impresse due cose: l’autoreferenzialità di un filmato che contrastava con le parole dell’allora procuratore di Gela, Fernando Asaro, che affermava: i commercianti gelesi in dibattimento balbettano. Le ultime vicende sanno di sconcerto e la Prefettura di Caltanissetta ha ritenuto di dovere sospendere l’associazione dall’elenco prefettizio”.
Ai tanti imprenditori, commercianti, artigiani, cosa si sente di dire?
“Abbiamo avuto la fortuna di essere nati in un continente, dove successivamente alle due guerre mondiali, i politici di queste Nazioni, hanno intrapreso un percorso di pace e unione assicurando ai cittadini il bene più prezioso che è la libertà, di espressione, impresa, religiosa ed altro ancora. Si può permettere che una merdaccia di un mafioso venga a toglierci questa libertà? Non si può permettere. Continuare a ripetere “ ma chi te lo fa fare”, è vigliaccheria allo stato puro”.
Nino Miceli, porterà la sua testimonianza diretta in Sicilia, in occasione della presentazione della sua ultima fatica letteraria. “Questo libro non è un romanzo, è un libro confessione – dice – E’ un libro verità su di me e sugli altri. Mi sono messo a nudo, mi sono svelato. Non scrivere i cognomi dei mafiosi, sarebbe stata finzione”. Previsti, durante questo mese, appuntamenti nell’Agrigentino, nel Palermitano e a Gela.
Miceli, più volte ha sostenuto che le piacerebbe passeggiare liberamente lungo il corso principale di Gela. Senza scorta
“Si, è un desiderio ricorrente. Vorrei ma non oggi alla luce di quanto avvenuto. Ma come allora, anonimo a tanti e salutando amici che incontri”.
Trova complicato che tutto ciò possa verificarsi?
“Molto complicato anzi impossibile”.
Cosa dice al boss che le ha stravolto la vita?
“Dovessi averlo davanti gli chiederei: qual è il senso che ha dato alla sua vita? E alla luce di quanto avvenuto, ne è valsa la pena? Un’ideologia fondata sulla legalità, invece che sulla sopraffazione, non avrebbe consentito a lei e ai suoi cari di dare un senso migliore alla vita? Semplicemente la vita”.
Le foto di Nino Miceli, pubblicate nell’articolo, sono state volutamente offuscate per ovvi motivi di sicurezza
Ipse Dixit
“Attenzione massima su Gela. A presto, un nuovo presidio per la Guardia di Finanza”
Pubblicato
2 mesi fail
1 Maggio 2025
Preparatissimo in diritto penale tributario e dell’economia, con un passato come docente all’università Externardo di Bogotà e, in diritto amministrativo, alla scuola della Procura dell’Amministrazione di Panama, il colonnello Stefano Gesuelli, ha sempre sognato di indossare la divisa. Fin da ragazzino.
“Quando frequentavo le scuole medie a Roma desideravo di entrare nell’Accademia dell’Aeronautica e fare il pilota militare come mio nonno. Dato che all’epoca l’unica Accademia militare presente a Roma era quella della Guardia di Finanza, i miei genitori, per assecondare quel mio desiderio, mi portavano a vedere le cerimonie e i giuramenti della Finanza; così, a poco a poco, negli anni del Liceo, il Corpo ha soppiantato a poco a poco l’Aeronautica e ho iniziato a capire meglio i compiti e le responsabilità che avrei potuto assumere. Così che, durante l’ultimo anno di liceo, ho tentato il concorso in Accademia e, due mesi dopo la maturità, ho avuto il privilegio di entrare dal portone di ingresso del massimo Istituto del Corpo che, nel frattempo, si era trasferito a Bergamo. Una scelta di cui non mi sono mai pentito, anzi”.
Il prossimo 31 luglio, compirà quattro anni alla guida del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta. Il suo è un curriculum eccellente. Ha ricoperto, tra l’altro, i ruoli di esperto della Guardia di Finanza presso l’Ambasciata d’Italia in Panama e la Segreteria Esecutiva del Centro Interamericano delle Amministrazioni Tributarie con accreditamento secondario in Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana e Isole Cayman e di capo della Sezione Fiscalità e dell’Ufficio Cooperazione Internazionale del Comando Generale del Corpo. Portano il suo nome anche gli incarichi in varie attività di analisi e intelligence e in quelle operative in campo amministrativo e penale.
Colonnello, soffermiamoci sulla nostra provincia. Com’è organizzata la Guardia di Finanza sul territorio?
“La Guardia di Finanza presidia le tre principali zone geografiche ed economiche della provincia di Caltanissetta attraverso i propri Reparti Territoriali: i due Gruppi di Caltanissetta e Gela, che hanno responsabilità sulle aree del Capoluogo e della piana di Gela e dei territori di Niscemi e Mazzarino, e la Tenenza di Mussomeli che ha la propria area di competenza nel Vallone. A questi Reparti, si aggiunge il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria che ha competenza su tutta la provincia per quei servizi di polizia economico-finanziaria di maggiore complessità e interdisciplinarità e, con la sua componente specialistica di Polizia Giudiziaria (il Gico), ha la responsabilità in tema di indagini sulla criminalità organizzata in tutto il Distretto della Corte d’Appello di Caltanissetta che include anche la provincia di Enna. Il Corpo si è quindi dato un’organizzazione capace di rispondere alle esigenze del territorio anche se concentrata al fine di massimizzare l’efficienza con il personale a disposizione. Si sta comunque valutando l’istituzione di nuovi reparti, con particolare riferimento all’area di Mazzarino e Riesi, al fine di dare una risposta ancora più efficace alla richiesta di legalità economico-finanziaria di quel territorio”.
Su quale versante specifico concentrate maggiormente le vostre indagini?
“La Guardia di Finanza è la Polizia economico-finanziaria del nostro Paese. Conseguentemente, l’attività di indagine si concentra maggiormente su tutte quelle fattispecie di violazioni amministrative e penali che provocano danno alla Finanza Pubblica, sia sul versante entrate che spese dello Stato, e su quelle che alterano i mercati e la concorrenza. Per rendere più semplice il concetto che potrebbe sembrare astruso: anche quando svolgiamo indagini su un’organizzazione che traffica droga, cerchiamo sempre di contrastare non solo l’acquisto e la vendita dello stupefacente, ma anche i flussi di denaro che ne derivano, le aziende nelle quali vengono reinvestiti i proventi, i canali finanziari utilizzati, ed altro ancora. Questo rende la Guardia di Finanza unica a livello mondiale per la capacità di affrontare complessivamente tutti i fenomeni illeciti di natura economico-finanziaria, potendo contare su un insieme di poteri assolutamente peculiari, che conciliano le esigenze di carattere amministrativo con le indagini penali e antiriciclaggio, unitamente a una disponibilità di banche dati unica nel panorama nazionale ed internazionale”.
Che idea si è fatto in questi anni della provincia di Caltanissetta?
“La prima cosa che ho notato di questa provincia è il territorio meraviglioso che caratterizza l’interno della Sicilia. Un territorio di una bellezza incredibile che andrebbe ancora di più valorizzato e fatto conoscere al di fuori della Regione. Poi esistono luoghi veramente molto belli anche dal punto di vista storico e architettonico, come il centro storico di Caltanissetta, il Castello di Mussomeli e le chiese di Mazzarino, solo per citarne alcuni. Credo fermamente che anche dal punto di vista economico la provincia abbia tante potenzialità, in particolare per quanto riguarda la logistica, in virtù della centralità geografica. Forse proprio dalla logistica si potrebbe partire sia per incrementare le attività economiche che per sviluppare ancora di più le opportunità accademiche offerte dal Consorzio universitario e dai tanti progetti che alcuni comuni vogliono realizzare”.
E di Gela?
“Gela è una realtà assolutamente unica che merita un discorso a parte. È indubbio che le opportunità offerte dalla presenza della Raffineria abbiano storicamente caratterizzato lo sviluppo economico della città verso quelle attività e i servizi dell’indotto. Ma Gela, per la sua particolare localizzazione, per il clima e per la vivacità della sua economia non dovrebbe dimenticare la lezione che le viene dalla sua storia. Essere il cuore pulsante della costa meridionale della Sicilia dal punto di vista economico, sociale e culturale. Le potenzialità connesse al turismo e al commercio, ora che la Raffineria sta completando il processo di riconversione, andrebbero maggiormente approfondite e sviluppate per fare di Gela una realtà economicamente ancora più rilevante nella Regione e, perché no, a livello di Italia Meridionale”.
A Gela sono tanti i fenomeni criminosi che quotidianamente riempiono le cronache e conseguentemente sono molteplici gli incontri urgenti del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, indetti e presieduti dal Prefetto. Dopo un periodo di calma apparente, però, subito dopo si torna al punto di partenza. Come legge quanto accade?
“Certamente la percezione di sicurezza data dalle notizie pubblicate in questo primo periodo dell’anno potrebbero indurre a vedere la situazione di sicurezza in netto peggioramento. I dati reali, però, ci danno un’indicazione diversa. La maggior parte dei danneggiamenti avvenuti è stata ricondotta a precise responsabilità e non ha alcuna relazione con fenomeni di criminalità organizzata. Gli sforzi delle tre Forze di Polizia nella città sono massimi, anche nel contrastare i traffici di stupefacenti e la presenza di armi, segnalata più volte dalle Procure di Caltanissetta e di Gela. L’attenzione del Comitato per l’ordine e la sicurezza Pubblica, guidato con capacità ed equilibrio dal Prefetto, è sempre massima, proprio per cogliere eventuali segnali di un peggioramento della situazione. Credo fermamente che molto si stia facendo, e bene, sul territorio, con risultati che sono per ora incoraggianti. Ovvio che non si deve perdere di vista la necessità di essere presenti e, proprio a tal fine, la Guardia di Finanza sta recuperando, grazie all’appoggio della Bioraffineria Eni, una caserma non più utilizzata, per permetterci di alloggiare più personale e unità cinofile antidroga, proprio per dare ulteriori risposte a questa necessità di sicurezza avvertita dalla società civile. Si tratta di un progetto in dirittura d’arrivo che mi rende molto fiero e mi auguro possa aiutare a disporre di più finanzieri sul territorio”.
Indagini e successivi procedimenti penali, hanno appurato l’esistenza a Gela di un vasto mercato della droga. Dove e come bisogna intervenire per stroncare il flusso continuo di stupefacenti?
“Il traffico di droga è una delle attività maggiormente lucrative per la criminalità organizzata e comune; per questo, richiama sempre l’attenzione delle nostre indagini anche al fine di eliminare le possibilità di reimpiego delle ingenti somme ottenute nei mercati leciti. Gela si trova al centro di un’area geografica da sempre interessata a questi traffici sia via mare che via terra e, soprattutto, che vanta un numero elevato di abitanti, tra i quali una rilevante popolazione giovane. Purtroppo, il tema degli stupefacenti sta avendo negli ultimi decenni una sempre maggiore accettazione “sociale” che rende il problema rilevante prima di tutto sotto il profilo educativo e di presenza dei servizi. Il solo contrasto ai traffici non rappresenta l’unica risposta possibile perché il solo sequestro delle sostanze e gli arresti connessi, di fatto, rendono solo più scarsa la risorsa, aumentandone il prezzo e, conseguentemente, i profitti per i criminali. Bisogna quindi agire su più fronti, potenziando Sert e Servizi sociali, affinando le politiche educative e, certamente, rendendo più efficaci le attività di controllo del territorio e di contrasto da parte delle Forze di Polizia”.

Ultimamente avete acceso i riflettori sul sistema del servizio idrico integrato nel Nisseno. L’inchiesta riguarda la gestione dell’erogazione, la ricerca di eventuali reati di natura economica, la non potabilità dell’acqua, l’inquinamento ambientale e le eventuali cause e responsabilità. Cosa dobbiamo aspettarci dall’indagine ancora alle fasi preliminari?
“Ogni attività di indagine è sotto la direzione della Procura della Repubblica ed è volta a verificare la sussistenza di eventuali elementi di responsabilità penale idonei a un giudizio prognostico di colpevolezza. Nella fase delle indagini preliminari si cercano tali elementi con totale garanzia degli eventuali indagati e quindi, allo stato, è assolutamente prematuro anticipare qualunque conclusione. Quello che ci si può aspettare in questo momento è lo svolgimento di attività istruttorie caratterizzate dal massimo rigore e garanzie processuali, per pervenire il prima possibile a un convincimento della Procura circa la sussistenza o meno di fattispecie di reato. Il tema della gestione del servizio idrico integrato è della massima importanza per la popolazione della nostra provincia e per questo merita un sereno ed approfondito esame per comprendere le dinamiche e le azioni che hanno portato alla situazione attuale e verificare la loro rispondenza alla normativa vigente, soprattutto per rispetto dei costi pagati dai cittadini e delle risorse immesse a carico dell’Erario pubblico”.
Le verifiche presso sedi di lavoro, a Gela, che gravi irregolarità fanno emergere?
“Il tema delle verifiche presso le sedi di attività commerciali o imprese è alla costante attenzione del Corpo anche in collaborazione con altre amministrazioni dello Stato. Le irregolarità che più spesso si verificano, riguardano la presenza di lavoratori in nero, in particolare nella stagione estiva durante il periodo della Movida o quando le attività connesse all’agricoltura sono più intense, e il mancato versamento delle contribuzioni obbligatorie. In qualche caso, si verificano vere e proprie “estorsioni” in danno dei lavoratori che, in cambio del contratto di lavoro, devono “restituire” una parte del proprio salario al datore di lavoro”.
È un problema culturale, frutto di una mentalità sbagliata, quello che porta ad affrontare la questione degli obblighi fiscali e previdenziali in maniera distorta dalle regole?
“Una volta ho sentito dire da un professore di diritto tributario che le persone vanno cantando a fare la guerra ma mai si sente qualcuno cantare quando deve pagare le proprie imposte. E non era un professore italiano, quindi il problema è evidentemente generalizzato. Si tratta certamente di un problema culturale e di educazione quello per il quale non si comprende come il pagamento delle imposte consenta allo Stato di fornire quei servizi pubblici che rendono una comunità sociale sempre più avanzata e solidale. Pensare che in Italia disponiamo di istruzione e sanità gratuite e date a tutti dallo Stato mentre altri Paesi economicamente avanzati non danno gli stessi servizi dovrebbe far riflettere. Allo stesso tempo, però, è fondamentale che lo Stato dia prova di essere capace di fornire tali servizi perché, altrimenti, qualcuno potrà sentirsi “giustificato” a non dare il proprio contributo nella maniera corretta. Per questo reputo fondamentale la missione della Guardia di Finanza di controllare il corretto adempimento tributario ma anche, allo stesso tempo, la correttezza della spesa pubblica e di come ogni euro di prelievo debba essere destinato ad una corretta finalità di interesse pubblico”
Usura, riciclaggio, truffe e frodi, pratiche commerciali pericolose per i cittadini. Quanto sono diffusi questi reati in provincia?
“Purtroppo, alcuni di questi reati sono molto diffusi e non solo in questa provincia. Mentre per certi reati come le frodi in commercio, è possibile svolgere indagini anche in assenza di denunce che servano da “fonte di innesco”, per altri come l’usura è molto difficile avere elementi utili per iniziare un’investigazione senza input da parte delle vittime. E in questo senso è fondamentale la presenza di associazioni antiracket serie e volenterose che possano rappresentare un primo collettore di eventuali situazioni critiche sia sul versante dell’estorsione che su quello dell’usura. È importante, comunque, che i cittadini sentano vicine le Istituzioni e collaborino denunciando eventuali condotte e anche solo rivolgendosi alle Autorità preposte in ogni caso di dubbio circa attività che potrebbero essere illecite”.
Sono continui i vostri controlli per garantire che i fondi del Pnrr siano utilizzati correttamente. Avete sentore che qualcuno li possa distrarre?
“La Guardia di Finanza è preposta ai controlli in tema di spese pubbliche e, per questa ragione, è tra gli attori riconosciuti dalla normativa in tema di controlli sul Pnrr. Proprio a tal fine, il Comando Provinciale di Caltanissetta ha firmato numerosi protocolli con i principali comuni della provincia, tra i quali Gela e Niscemi, per collaborare ancora più da vicino al fine di individuare eventuali condotte illecite tese a distrarre tali ingenti risorse dalle finalità istituzionali. E tali protocolli prevedono anche una parte di formazione per i funzionari pubblici incaricati della spesa, al fine di creare una collaborazione e una sinergia sempre più efficace e rendere più efficiente e legalmente orientata la gestione di tali progettualità. Anche se la maggior parte dei fondi ancora non è arrivata nella provincia per la “messa a terra” dei progetti, abbiamo già avviato, sia in collaborazione con i Comuni che di iniziativa, una serie di controlli che hanno evidenziato alcune irregolarità. Attendiamo i prossimi mesi per svolgere controlli ancora più penetranti sui progetti che abbiamo iniziato a monitorare”.
D’accordo che per fare crescere un territorio, per incrementare lo sviluppo, un ruolo determinante devono assumerlo le associazioni datoriali e di categoria?
“Sono fermamente convinto che il dialogo con le associazioni datoriali e di categoria sia fondamentale per una moderna Polizia Economico-Finanziaria quale la Guardia di Finanza. Non è possibile seguire le dinamiche economiche di un territorio se si prescinde da una dialettica aperta e trasparente con i soggetti che quel territorio fanno vivere ed evolvere con il proprio lavoro e, spesso, con grandi sacrifici. Già negli scorsi anni abbiamo svolto numerosi eventi con alcuni ordini professionali e associazioni imprenditoriali, finalizzati proprio a costruire questo dialogo apportando esperienze e cercando di creare un ambiente il più possibile sereno tra il Corpo e la società civile della provincia. Una crescita del nostro territorio è possibile solamente se tutti gli attori coinvolti svolgono un ruolo consapevole e trasparente; per quello ritengo che la partecipazione della Guardia di Finanza a iniziative di dialogo sia sempre fondamentale per far conoscere le proprie linee di azione, per depotenziare eventuali conflitti e per garantire un ambiente economico e imprenditoriale sereno che contribuisca alla crescita di Gela e di tutta la provincia”.
Entriamo nel dettaglio dell’ultimo incarico che lei ha portato a compimento, prima di arrivare a Caltanissetta: esperto della Guardia di Finanza presso l’Ambasciata d’Italia in Panama e la Segreteria Esecutiva del Centro Interamericano delle Amministrazioni Tributarie con accreditamento secondario in Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana e Isole Cayman
“I campi principali nei quali sono impiegati gli Esperti della Guardia di Finanza presso le Ambasciate italiane all’estero sono la lotta all’evasione fiscale e alla criminalità economico- finanziaria, il contrasto alla corruzione, alla contraffazione e la tutela del Made in Italy. Un altro settore di stretta cooperazione con le Ambasciate è quello della lotta alla dimensione finanziaria delle organizzazioni terroristiche e dell’applicazione delle sanzioni internazionali. Inoltre, la peculiarità del mio incarico a Panama aveva anche dei riflessi importanti quale corrispondente dell’Amministrazione Tributaria italiana presso un organismo internazionale che riunisce tutte le istituzioni tributarie delle Americhe e molte altre europee, asiatiche e africane. Proprio in questo ambito assumeva quindi grande importanza quello di sviluppare rapporti con le Amministrazioni estere, anche quelle con le quali non esistono strumenti formali di cooperazione, per raccogliere più agevolmente e rapidamente informazioni di interesse e promuovere lo scambio di esperienze e la formazione, per migliorare globalmente il contrasto ai crimini economico-finanziari. “Esportare” e far conoscere le peculiarità e le esperienze maturate dalla Guardia di Finanza nel mondo, anche in contesti molto diversi per cultura giuridica e mentalità, è stata un’esperienza importantissima che mi ha regalato moltissime soddisfazioni e grandi amicizie che personalità estere che mi hanno arricchito sia personalmente che professionalmente”.
Dal 1990 (anno di ingresso nella Guardia di Finanza) ad oggi, ha avuto tantissime esperienze. Qual è quella che ricorda con piacere e perché?
“Devo dire di essere stato fortunato per aver svolto compiti diversi sempre di grande soddisfazione e responsabilità. Ho avuto la possibilità di comandare Reparti del Corpo fin dal termine dell’Accademia, sono stato a più riprese presso lo Stato Maggiore del Corpo e in Amministrazioni esterne, sono stato più volte all’estero. E tutte queste esperienze per quanto differenti e, in alcuni casi, anche difficili ed impegnative, mi hanno lasciato bellissimi ricordi anche e soprattutto per le persone con le quali ho avuto il piacere di lavorare. Forse un’esperienza che ricordo sempre con piacere, e forse un po’ di nostalgia, è l’incarico di Comandante di Tenenza. Si trattava della prima destinazione al termine del corso quinquennale in Accademia e l’emozione era tantissima. Ero al comando di 87 persone tutte anagraficamente più grandi di me che avevo 23 anni. Ricordo con piacere le esperienze fatte, le persone incontrate e gli insegnamenti ricevuti e, alla fine, anche gli errori fatti, perché mi hanno fatto crescere come persona e come professionista. E poi non si possono non ricordare con piacere i propri venti anni…”
Ha mai temuto per la sua vita?
“A Panama, in due occasioni, ci sono stati degli episodi poco “simpatici” dai quali forse sarei potuto non uscire in piena salute. Ma timore devo dire di non averne avuto e non lo dico per dimostrare coraggio. Anzi, probabilmente c’è stata solo un po’ di incoscienza e mancata comprensione, nell’immediato, delle conseguenze di talune azioni. Comunque, mai mi sono trovato a pensare di non andare avanti su una certa strada o perseguire certe situazioni, soprattutto sul piano lavorativo. Le situazioni si affrontano con consapevolezza e si ragiona sulla strategia migliore per arrivare al risultato con i minori rischi o, almeno, una dose accettabile e gestibile di rischio per tutti”.
Se tornasse indietro, rifarebbe tutto quello che ha fatto?
“Sì. Senza dubbio. Ho avuto la possibilità di vivere esperienze e situazioni uniche, conoscere tante persone eccezionali. Quindi tutto quello che ho vissuto e sto vivendo tuttora forma parte di un “viaggio” unico che mi ha portato ad essere la persona che sono. E devo dire che mi piace quello che sono diventato, pur con i tanti difetti che ogni essere umano si porta dietro”.
Ha un rimorso?
“Tito Livio scriveva “Dimentichiamo quello che è già successo, perché ci si può lamentare, ma non tornare indietro”, quindi non ho particolari rimorsi. Certo con l’esperienza e “il senno di poi” di cui siamo fin troppo pieni, avrei cambiato alcune decisioni prese nel tempo, ma sono convinto che si agisca con le carte che si hanno in mano e quindi sia inutile abbandonarsi ai rimorsi successivamente. Ma da tutto si possono trarre esperienze e ammonimenti per il futuro e, forse, l’unico rimorso che potrei avere sarebbe nel caso in cui non fossi riuscito a fare abbastanza tesoro di tutto questo”.
Cosa ammira dei suoi uomini?
“Arrivando in Sicilia da un’esperienza così diversa come quella del Centro America, ho trovato in tutti i miei colleghi una grandissima preparazione professionale che forse non mi aspettavo in questi termini di assoluta eccellenza. Proprio questa capacità ammiro in tutti loro; indipendentemente dal tipo di lavoro che svolgono l’impegno in quello che fanno è sempre massimo e i risultati sono evidenti. Poi ho iniziato ad apprezzare sempre di più le doti umane di ognuno di loro, che mi sembrano il tratto comune di molti siciliani: la disponibilità, la serietà, la coerenza nel portare avanti i propri propositi. Devo dire che per me tutto questo è stato una scoperta e soprattutto un esempio che cerco di onorare ogni giorno mettendo tutti, nei limiti delle mie possibilità, in grado di lavorare al meglio”.
Quale libro sta leggendo ultimamente?
“Da pochissimo ho letto nuovamente, dopo parecchi anni, il libro Uomo di Rispetto di Enzo Russo, autore che ho conosciuto personalmente qui in provincia e che stimo per la cultura, la capacità nello scrivere e l’acume nel descrivere situazioni e personaggi. Devo dire che rileggere questo libro dopo tanti anni e, soprattutto, dopo aver conosciuto i luoghi e le situazioni descritte mi ha fatto parecchio effetto e mi ha aiutato a comprendere meglio tanti aspetti del libro e della storia in esso raccontata. Da pochissimo invece ho iniziato a leggere La isla de la mujer dormida dello scrittore spagnolo Arturo Pérez-Reverte che racconta una storia completamente diversa ambientata negli anni ’30 tra guerra civile spagnola, ideali contrapposti e amori su un’isola greca dell’Egeo che dà il nome al libro (Isola della donna addormentata). Molto appassionante per ora come tutti i romanzi dello stesso autore”.
L’ultimo film che ha visto al cinema?
“Ho appena visto “Eden”, diretto da Ron Howard, che ci porta a un 1929 che vede in Europa la fine di molte democrazie, la nascita di dittature, e i venti di guerra. Il film è tratto da una storia non solo vera, ma documentata e in parte filmata, e ci fa capire che per quanto si cerchi di scappare da certe situazioni, ci si porta sempre dentro una carica di violenza, di sopruso, di manipolazione che possono esplodere da un momento all’altro, come accade ai protagonisti di questa storia che si ritrovano in un’isola nelle Galapagos pensando di essersi lasciati gli sbagli delle loro società alle spalle e ritrovandosi, invece, in una situazione ancora peggiore. Forse non è un film pienamente riuscito, che presenta qualche eccesso di melodramma, ma la storia è interessantissima e le prove degli attori veramente eccezionali. Me lo sono visto davvero volentieri e la colonna sonora di Hans Zimmer è bellissima”.
Segue il calcio?
“Si”
Roma o Lazio?
“Laziale da generazione…”
Qual è il suo giudizio sul campionato dei biancocelesti con Baroni in panchina?
“Roma è una piazza difficilissima per qualunque allenatore al primo anno con una squadra fortemente rinnovata: questo dovrebbe quindi essere un periodo di transizione per comprendere le potenzialità del progetto. Baroni e la squadra hanno fatto una grandissima prima parte della stagione che nessuno si aspettava. Ha avuto un calo da dicembre fino a qualche partita fa, eliminazione dall’Europa League compresa, ma mi auguro che si riesca ancora a dare risalto a quanto di buono è stato fatto e magari porre le premesse per il prossimo anno. Nessuno dava credito a questo progetto e, onestamente, sono rimasto molto sorpreso da alcune ottime prestazioni e da alcuni singoli che hanno avuto un’evoluzione incredibile. Speriamo che prima o poi qualche risultato di rilievo arrivi…incrociamo le dita”.

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