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Tringali, il cronista-detective in cerca della verità

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Apartitico dal 1999 dopo una lunga esperienza maturata nel Partito Comunista e in Rifondazione, di cui è stato segretario di sezione a Comiso. Si dichiara attivista pacifista e nel suo tempo libero, matita e fogli in mano, si dedica interamente alla realizzazione di vignette. Lui è Emilio Tringali, 55 anni, vittoriese di nascita e residente a Pozzallo. Appassionato di cronaca nera e giudiziaria (un cronista -detective) ha scritto un libro, il cui titolo è un ossimoro vero e proprio: “Sbirromafia”. Il sottotitolo è ancora più marcato, diretto, esplicito e non lascia spazio a nessun equivoco: “La mafia delle mafie, la fine di Emmanello e il sistema Montante”. 

Chi è lo “sbirro mafioso”?

“È un funzionario pubblico venduto, traditore del giuramento di fedeltà allo Stato, che agisce in favore del “sistema”. E per “sistema” intendo il gruppo di potere dominante occulto del momento, la “casta”, che comprende lobby industriali, mafie, politica, massonerie”. 

Nel libro si fa riferimento a fatti e personaggi che orbitano nelle province di Ragusa e Caltanissetta. Si tratta di terre di trincee?

“Sono “luoghi del destino”. Centrali dei prototipi nazionali dei “sistemi”. Non manca nulla qui, “oro nero” ed “oro verde”, presidii militari fondamentali, traffici di ogni genere (narcotici, umani, d’armi)”.

Tra le pagine del tuo manoscritto, definisci Antonello Montante, ex potente leader degli industriali in Sicilia e sotto processo in Appello per corruzione, criminalmente magistrale nello svuotare il fronte antimafia. In che senso?

“Montante ha abilmente costruito il suo personaggio pubblico e lo ha imposto alla politica e alle istituzioni, modulando la strategia, fino ad arrivare a tenere tutti in pugno attraverso il dossieraggio, con relativo ricatto verso tutti. L’antimafia è la sua vittima più eccellente. Vedere don Luigi Ciotti di Libera, difenderlo allo spasimo malgrado le evidenti prove oggettive (registrazioni audio, decine di testimonianze), lascia basiti. Persino lo scrittore Andrea Camilleri si prestò, inventando bugie congeniali al “paladino della legalità” cavalier Calogero Antonello Montante”.

Cosa vuoi dire quando scrivi che Cosa Nostra comincia a penetrare in politica e si fa progressivamente istituzione a se stessa, avendo un rapporto diretto con le masse popolari?

“Il rapporto tra Democrazia Cristiana e “Cosa nostra” è verità processuale e storica. La mafia, agevolata dalla politica, è stata protagonista della ricostruzione post-bellica e portatrice, quindi, di lavoro e di sviluppo. In breve, il popolo capì che era più efficiente dello Stato”.

Definisci la “Stidda” ripresa e rimodernata con vaga ambizione di patriottismo campanilistico. Sarebbe?

“La criminalità comune entrò a contatto con elementi di “Cosa nostra”, arrivati dalle metropoli siciliane per provvedimenti di obbligo di dimora, scontrandosi sugli interessi che questi nuovi “forestieri” cominciavano ad erodere al territorio, prima esclusivo per gli autoctoni (pascoli, commercio, racket …). Per galvanizzarsi, i delinquenti locali si riunirono sotto un antico cartello pseudomafioso, la “Stidda”, originata nei territori dell’agrigentino e nel nisseno tra i pastori. Simbolo di adesione e appartenenza, un tatuaggio sulla base del pollice, cinque semplici puntini disposti a stella”.

Quali sono le differenze tra Cosa Nostra e Stidda?

“Abissali. “Cosa nostra” è strutturata da un suo codice articolato e disciplinata da procedure che passano per una catena di comando. Entra in crisi solo a seguito del capolavoro giudiziale che fu il “maxi processo”, ma ne sopravvive per la capacità di rigenerarsi attraverso l’uso delle stesse istituzioni e della grande finanza (sistema Montante, ad esempio). Il periodo “corleonese” non deve trarre in inganno. Per cui, a differenza della “Stidda”, “Cosa nostra” rappresenta un’entità onnipresente nella storia moderna italiana ed internazionale. La “Stidda” è un tentativo di rivendicazione territoriale da parte di giovani criminali ambiziosi che, brutalmente, vogliono avere un ruolo autonomo riconosciuto da Cosa nostra”.

Quando scrivi di imprenditorie pulite, a cosa ti riferisci in particolare?

“Quelle funzionali al “sistema” che vengono acquisite o affiliate. Lavatrici, stipendifici, coperture. Montante è un artista nel dipingere aziende complici come “vittime della mafia”, che per questo ottengono benefit vari e le “patenti della legalità” emesse dalle prefetture (white list). Il metodo mafioso più comune per insinuarsi nelle aziende, pulite ma in difficoltà (spesso causate ad arte), consiste nel soccorrerle economicamente, al momento, ed indurle a cedere le quote o rami d’azienda a nuove società costituite al bisogno,  mandarle al fallimento dopo aver trasferito beni, personale e clientela. Per questo, un esercito di commercialisti e ragionieri ha sostituito parte di quello dei “picciotti” con la 7 e 65”.

Sostieni che la Stidda è un utile capro espiatorio, mediatico poligono repressivo della potenza statale. La definisci una formula vincente di propaganda della distrazione, argomento di campagne elettorali antimafia retoriche… 

“Lo afferma anche Attilio Bolzoni in una sua audizione presso la Commissione parlamentare antimafia nazionale. Appositamente, la stampa blasonata del “sistema”, giornalisti e scrittori, esaltano le gesta della “Stidda” per coprire la delicata fase di metamorfosi di “Cosa nostra” che diventa, con Montante, partner di Confindustria. Così, piccoli criminali legati alla “Stidda” vengono elevati a “boss mafiosi”. Il tutto per dare, alla pubblica opinione, la sensazione di continuità della lotta alla mafia e la necessità di mantenere tutto l’apparato elefantiaco della gestione dei beni sequestrati. Beni che, come sappiamo, finiscono spesso in mano alle solite associazioni oppure, velatamente, a “Cosa nostra”. La realtà è che Brusca esce libero, ricco e i giudici Falcone e Borsellino giacciono da decenni sottoterra. Chi ha vinto? La Sbirromafia”.

Daniele Emmanuello, rimasto ucciso il 3 dicembre del 2007 durante un conflitto a fuoco con la Polizia che lo aveva scovato nell’Ennese, dopo anni di latitanza, lo descrivi come indisciplinabile ed irredimibile e disfarsi di lui è di vitale importanza…Disfarsi sembra eccessivo, non credi?

“Ho cercato di immaginare l’uomo, ma per i fatti miei, senza che ciò influenzasse la parte di “Sbirromafia” che lo riguarda. Mi è venuta in mente, invece, un’altra persona, Claudio Motta, una delle vittime della strage di San Basilio del 2 gennaio 1999 avvenuta a Vittoria. Claudio lo “beccai” anni fa mentre rubava un utensile esposto al pubblico durante la Fiera Emaia, dove io ero responsabile di questa esposizione. Lo raggiunsi, mi ripresi l’oggetto e lo rimproverai amorevolmente. Gli offrii del denaro per fargli capire che chiedere è più produttivo di rubare. Rifiutò il denaro. Mi spiegò che per lui era importante rientrare con la refurtiva e dimostrare così di essere stato lui a rubare. Altrimenti, a mani vuote, avrebbe preso le legnate. Viveva, cioè, una condizione di schiavitù. Ed era adolescente, a quei tempi. Non dimentichiamoci mai che è anche il contesto a creare il delinquente. Daniele Emmanuello era il nipote di Angelo “furmiculuni”. Accusato di tante malefatte (anche del sequestro del piccolo Di Matteo, poi assolto), di certo è colpevole di sola associazione mafiosa, unica condanna definitiva. Sicuramente ha carisma. Per certe mentalità mafiose, gli fa onore l’aver vendicato lo zio. Emmanuello ha rapporti con ‘Piddu” Madonia. È, cioè, un’interfaccia tra “Stidda” e “Cosa nostra”. Tiene duro perché rappresenta un mito. Eliminarlo ha un valore simbolico. Alla sua morte, da un lato Crocetta festeggia la “liberazione” di Gela, dall’altro “Cosa nostra” si libera di una gran rogna … e, da entrambi, la “Sbirromafia” accontenta due clienti”.

Insisto. Perché ritieni che la vicenda della morte di Emmanuello, sia stata blindata per zittire ogni perplessità sul nascere, glissando su valutazioni tecniche e peritali d’indagine?

“Le circostanze della morte di Daniele Emmanuello restano oscure. La dinamica inverosimile. Angelo Ruoppolo, il cronista di Teleacras, lo intuisce subito. Il fatto è stato ricostruito per l’opinione pubblica. Piero Grasso e Francesco Forgione assicurano “piena luce”. Resteranno, invece, zitti zitti. La moglie della vittima non nomina un perito di parte per l’autopsia, che viene svolta dal solito accreditato. Il procuratore di Caltanissetta, Renato Di Natale apre un fascicolo contro ignoti di cui nessuno segue l’epilogo. Ammesso che ci sia. Chi sparò? Chi condusse realmente il blitz? Chi vide nella “folta nebbia” il latitante fuggire (tutti e 30 o uno solo)? Come fece a centrarlo in testa, a distanza, al buio e con la nebbia? Emmanuello percorre di corsa 37,5 metri (dalla finestra al burrone) e nel frattempo ingoia 6 pizzini come se fossero piccoli semini di sesamo (o respiri o inghiotti)? Non serve essere il “Tenente Colombo” per capire che le cose non quadrano, di brutto! Tutti tacciono … soprattutto Emmanuello!”

Sostieni che a molti non interessa il come sia morto Emmanuello, importa solo che sia morto, eliminando un “mostro”. Cosa ti spinge a sostenere questa tesi?

“Da vergognarsi. Esponenti della società civile che commentano “meglio lui che un agente!”. Emmanuello sarà stato un mostro? Non lo so. Certo meno di Giovanni Brusca, pluriassassino attualmente libero e ricco cittadino. Ora, la campagna elettorale di Crocetta parte dalla decisione di Montante. È un pezzo della sua strategia. Per cui, la sconfitta del clan di Emmanuello proclama il sindaco di Gela a “eroe del no pizzo”. La vecchia Democrazia Cristiana, ora Udc, lo appoggia. Il “San Giorgio” che sconfigge il drago, il “mostro mafioso” incarnato da Daniele Emmanuello. In più, la cacciata della moglie da un posto di lavoro precario al comune, ad infierire. E tutti inebriati della vittoria, pompata da media e pezzi da 90. Luci blu intermittenti e sirene, coreografie e spettacolo. La passerella antimafia”.

Avere trovato nell’esofago e nello stomaco di Emmanuello dei pizzini, non è però una “leggenda metropolitana”, non credi?

“I “pizzini” sono il fondamento delle operazioni successive. Ho forti dubbi. Mi piacerebbe che tutte queste prove fossero fruibili ed esaminabili, come il fascicolo sull’omicidio. Però la legge lo vieta, a meno che non si è parte nei procedimenti giudiziari specifici. Ma questo è paradossale! Il giudice emette le sentenze in nome del popolo italiano però il popolo italiano non può vedere cosa ha determinato le sentenze a suo nome. Sapremo mai la verità?”

Daniele Emmanuello è stato indicato dalla magistratura e dalle cronache giudiziarie come un boss. Anche numerosi pentiti hanno parlato di lui. Non stiamo parlando del classico ruba galline…

 “Senza dubbio, Daniele Emmanuello ha un ruolo di spessore nella storia criminale della Sicilia. È certo, come già accennato, il suo rapporto con “Piddu” Madonia. Però i fatti raccontati da “pentiti”, cronisti, giornalisti e scrittori d’inchiesta spesso risultano alterati da superficialità o condizionamenti. Io non condanno, io non assolvo. Mi limito ad analizzare i fatti basandomi su sentenze, rapporti e cronaca. Dal confronto di essi cerco di ricavare una logica, liberamente, con onestà intellettuale e senza padroni o linee editoriali imposte. Non è un caso che mi manca l’editore e ho auto-pubblicato “Sbirromafia” sulla piattaforma “Amazon”. Il giornalismo non è solo un mestiere, è una missione sociale indispensabile per tutti”.

Come ritieni la condanna in primo grado a Montante (14 anni per associazione finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico)?  

“Onestamente, non ho letto le 1.350 pagine della sentenza del giudice Luparello. Io, a priori, darei già l’ergastolo per alto tradimento a chi ha passato le informazioni a Montante attraverso l’accesso ai sistemi informatici dei servizi segreti. Si badi bene, si tratta dei vertici. Spaventoso! Degli 007 al servizio di “Re Montante”. Se solo penso che ci tenevano sotto controllo telefoni ed email … Vorrei che la gente comprendesse che hanno utilizzato e falsificato dati e documenti anche per rovinare gli avversari di Montante, gente perbene e innocenti. È lo scandalo più eclatante degli ultimi decenni ed anche il più taciuto”.

La politica si nutre della mafia o è l’esatto contrario?

“Non sono entità omogenee, specie la politica, e spesso coincidono. Gli stereotipi sono artefatti giornalistici di comodo. Entrambe hanno a che fare con un potere monolitico più forte, dentro le istituzioni, quello che io chiamo “la Sbirromafia”. Questa agisce su tutti i territori, su tutti i fronti, in tutti gli ambiti. Ad esempio c’è il “caso Boda”, la dirigente del ministero dell’istruzione, che lo scorso aprile si gettò dalla finestra del suo avvocato: contiene prove di aderenze al “sistema”. Nell’ambiente, sapevamo già l’anno precedente dei collegamenti ed era nelle cose la sua imputazione per reati con cifre esorbitanti. Un’inchiesta che sto riprendendo, interrotta dalla scomparsa di un mio carissimo ed esperto collaboratore”.

Come si combatte la mafia? 

“Con gente capace. Lo può fare chiunque lo senta come un dovere civico. Il mio motto è “la polizia siamo tutti”. Si fa leggendo negli albi pretori dei comuni e confrontando i costi delle forniture con quelli sostenuti da altri comuni virtuosi. Identificando chi compra più di una casa all’asta. Con la richiesta di ispezioni ministeriali. Insieme, crescendo, entrando in politica per batterci i pugni dentro. La politica è la chiave. Con il controllo delle infrastrutture; con il ripristino della legge elettorale costituzionale e del finanziamento pubblico ai partiti, soprattutto. Con l’agire di ciascun cittadino da pubblico ufficiale. La lotta alle mafie è un dono ai futuri cittadini, ai bimbi di oggi. Possiamo davvero costruire una nuova società basata sulla dignità umana, sul piacere della conoscenza e della cultura, sulla bellezza in tutte le sue forme, artistiche e naturali. Vinceremo, prima o poi. Non si scappa”.

Tringali ha dedicato la sua opera letteraria al ragusano Giovanni Spampinato, giovane corrispondente da Ragusa per l’Ora di Palermo e l’Unità. Aveva 25 anni, quando fu assassinato con 6 colpi di pistola sparati da due pistole. Pagò con la vita perché aveva semplicemente cercato la verità. 

“Fin dalla scuola primaria, andrebbe insegnata la logica e la ricerca della verità; così come l’ipocrisia, per dare la possibilità di conoscerla e decidere se viverci o combatterla”. 

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“Bisogna continuare a lavorare nelle scuole per veicolare e diffondere la cultura della legalità”

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Desidero sapere, come premessa iniziale, se cortesemente preferisce essere chiamata Questore o Questora?

“Pur essendo una forte sostenitrice del rispetto dei generi, tuttavia, ci sono degli incarichi che non hanno bisogno di essere declinati al femminile, anche per un fatto di orecchiabilità. Signora Questore mi piace di più”.

Pinuccia Albertina Agnello, il prossimo 15 maggio, compirà un anno alla guida della Questura di Caltanissetta. Nata a Scordia, graziosa cittadina in provincia di Catania, circondata da agrumeti e uliveti, il Dirigente Superiore della Polizia di Stato si è laureata con lode in Scienze Politiche nel 1986 e in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni nel 2007 presso l’Università degli Studi di Catania. Ha sempre avuto una vocazione per la legalità e per la giustizia. 

Quale bilancio traccia a quasi un anno dal suo insediamento alla Questura nissena?

“Un bilancio positivo in termini di rimodulazione del controllo del territorio a cura delle pattuglie preposte sia nel Capoluogo che nei territori di competenza dei Commissariati distaccati di Gela e Niscemi col costante supporto delle pattuglie del Reparto Prevenzione Crimine di Palermo o di Catania, messe a disposizione dal Servizio Controllo del Territorio di Roma; progetti di realizzazione di adeguati spazi per uffici deputati alla ricezione pubblico; istituzione di presidi di polizia presso i Pronto Soccorso di Caltanissetta, Gela e Niscemi; organizzazione di seminari formativi per tutto il personale della Polizia di Stato, allargati alle altre forze di polizia, su temi importanti quali il Codice rosso, il disagio psico sociale ed altro ancora.  Nel bilancio positivo ci tengo a inserire il consolidato ottimale rapporto interistituzionale che intercorre con la locale Prefettura, con i comandi delle altre forze di polizia e con altri importanti enti istituzionali operanti sul territorio della provincia”.

La pianta organica della Polizia nel Nisseno è sufficiente o bisognerebbe incrementarla?

“Dopo il lungo blocco del cosiddetto turn over a causa della legge di stabilità che aveva anche impedito di indire concorsi per l’assunzione di giovani leve per i ruoli degli agenti e degli ispettori, da qualche anno la ripresa dei concorsi pubblici ha cominciato a dare linfa vitale agli uffici di polizia. Non abbiamo ancora del tutto coperto le previste piante organiche ma siamo a buon punto. Peraltro, ogni 6 mesi, in coincidenza con la fine dei corsi di formazione per agenti della polizia di stato e all’incirca ogni 12/18 mesi, in coincidenza con la fine dei corsi di formazione per vice ispettori, il Dipartimento della pubblica sicurezza prevede il potenziamento costante di personale anche per la Questura di Caltanissetta”.

Quali sono i reati più diffusi in provincia e dove e come bisogna intervenire?

“Quella di Caltanissetta è una provincia vasta con una concentrazione urbanistica variegata e per niente   uniforme rispetto al territorio complessivo. Anche i fenomeni criminosi hanno questo aspetto disgregato, concentrandosi di più in alcune zone rispetto ad altre. L’attenzione degli uffici investigativi è dedicata alle zone dove ancora insistono storiche famiglie mafiose (sia quelle vicine alla Stidda che quelle facenti capo a Cosa Nostra) che purtroppo sono dedite al traffico di sostanze stupefacenti. Tuttavia, si dedica molta attenzione agli aspetti di prevenzione dei reati attraverso il pedissequo controllo del territorio, sia con i servizi ordinari che con la predisposizione di servizi straordinari, alcune volte interforze sulla base di intese raggiunte in sede di Riunioni tecniche di coordinamento presiedute dal Prefetto”.

Più volte è stato rimarcato che bisogna segnalare ogni fatto delinquenziale di cui si è vittima. Il vostro appello è stato recepito dal cittadino?

“Bisogna continuare a lavorare nelle scuole o attraverso i mass media per veicolare e diffondere la cultura della legalità, intesa anche nei termini di una sicurezza partecipata che passa anche attraverso le segnalazioni del cittadino. In questo ambito, buoni risultati si stanno ottenendo attraverso la conoscenza dell’utilizzo dell’App YouPol, sulla quale l’utente gratuitamente anche in forma anonima può denunciare dei fatti di cui è venuto a conoscenza ovvero chiedere aiuto”.

In provincia di Caltanissetta, sono presenti quattro mandamenti mafiosi. Tanti sono stati negli anni gli arresti e le successive condanne.  Si sbaglia quando si pensa che le “famiglie” e i loro intrecci siano stati definitivamente debellati?

“Tantissimo è stato fatto dalla Polizia di Stato e dalle altre forze di polizia preposte alle attività di polizia giudiziaria già a partire dai primi anni ’90 nel territorio della provincia avverso le organizzazioni mafiose ma non bisogna demordere o allentare le attenzioni investigative. La mafia sa come adeguarsi alle nuove economie ovvero al tessuto socio-economico del territorio su cui punta i propri illeciti interessi; pertanto, è importante che si continui a studiare l’evoluzione del fenomeno e affrontarlo di conseguenza”.

Per decenni, all’ingresso della città, abbiamo letto il cartello “Gela città videosorvegliata”. Nei fatti non è stato mai così.  Poche settimane addietro, in Commissariato, avete presentato l’impianto di videosorveglianza, immediatamente attivo. Cosa prevede il nuovo (e finora unico) occhio del grande fratello?

“Il Prefetto, proprio in occasione della presentazione del nuovo sistema di videosorveglianza cittadina non ha avuto alcuna remora a sottolineare quel paradosso ma ha anche rimarcato l’importanza di guardare oltre e andare avanti per il bene della società pulita della città di Gela. Come autorità di pubblica sicurezza tecnico operativa della provincia, posso aggiungere che si tratta di un sistema di videosorveglianza di alti livelli che consentirà alle forze di polizia e alla magistratura di perfezionare la ricerca e quindi la raccolta di prove oggettive di reati da perseguire”.

Ci sono le condizioni per riavere a Gela un’associazione antiracket dopo la cancellazione di quella precedente?

“Perché no? Siamo pronti a collaborare il Prefetto, nell’ambito della sua specifica competenza, a valutare l’attendibilità delle richieste e l’aderenza ai criteri previsti dalla normativa vigente”.

Inchieste hanno permesso di sgominare a Gela numerosi soggetti dediti alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Nonostante tutto, il flusso della droga è in continuo aumento. Come mai?

“Tutto dipende purtroppo dalla elevata domanda e, come una qualsiasi legge di mercato, l’offerta va di pari passo alla domanda…Ecco perché è importante lavorare a 360 gradi in rete tutti gli attori istituzionali, ognuno per la parte di specifica competenza, al fine di consentire alle giovani generazioni di crescere in un ambiente sano, non degradato, culturalmente alto, con buone occasioni di impiego facendo di tutto per non indurli a entrare nella macchina infernale della dipendenza”.

Perché tanti ragazzini, soprattutto nelle piccole realtà della provincia, abbandonano gli studi?

“In certo qual modo, la risposta che le ho dato prima fornisce una chiave di lettura adeguata a quello che mi sta chiedendo. La povertà culturale di una società si ripercuote soprattutto sui giovani. Le istituzioni preposte ai controlli della frequenza scolastica non possono mollare la presa perché la dispersione scolastica è già la punta di un iceberg che non lascia intravedere nulla di buono”.

Lasciando la scuola e non trovando lavoro, non sono facilmente appetibili dalla malavita?

“Sono sicuramente più a rischio, anche perché la malavita attira con la falsa illusione del facile guadagno che darebbe la possibilità di ostentare una qualità della vita basata soltanto sulle cose materiali, prive di valori e fondamenti etici e morali”.

Troppi femminicidi in Italia, le cronache sono all’ordine del giorno. Nonostante le giornate di sensibilizzazione e di approfondimento sul tema della violenza di genere, si continua ad uccidere. Perché tanta violenza?

“Da qualche tempo, mi sembra di leggere un bollettino di guerra che dovrebbe sconvolgere tutti e che dovrebbe indurre la società sana a reagire con un “no…basta”. Tanto si sta facendo nelle scuole, così come all’interno dei nostri ranghi per una formazione quanto più adeguata ad affrontare situazioni che lasciano intravedere il pericolo della violenza di genere. Tuttavia, bisogna puntare sulla informazione/formazione dei giovani, sin dalle scuole primarie, degli insegnanti e dei genitori. Infatti, tra gli incontri calendarizzati dalla Questura con l’Ufficio provinciale scolastico ne sono previsti alcuni specifici con gli insegnanti e con i genitori. Quello che diciamo sempre ai ragazzi è di non nascondere il disagio e di confidarsi con un genitore, con un/a amico/a, con un insegnante per farsi aiutare ad uscire allo scoperto davanti a qualificate figure professionali (psicologi, avvocati dei centri antiviolenza, poliziotti) per affrontare la delicata situazione in tempo utile”.  

Il Questore Agnello, è entrata nel ruolo dei Commissari della Polizia di Stato nel 1987 dopo aver vinto il concorso per Vice Commissari.  Dall’agosto del 1988 al gennaio del 1990 ha rivestito l’incarico di funzionario addetto presso la Squadra Mobile della Questura di Agrigento, coordinando le Squadre Volanti, mentre da marzo a luglio dello stesso anno, è stata reggente del Commissariato di Palma di Montechiaro, ricoprendo la carica di dirigente dall’agosto del 1990 al luglio del 1992.

Lei ha rivestito diversi ruoli che hanno impreziosito il suo bagaglio personale per le parecchie esperienze professionali in diverse comunità in cui ha operato. Quale città le ha lasciato un ricordo indelebile e perché?

“La città che mi ha lasciato più ricordi indelebili sia da un punto di vista professionale che personale è stata senz’altro Palma di Montechiaro. Da giovanissima Commissario Capo, ho diretto il Commissariato in un periodo terribile per la guerra apertasi tra Cosa Nostra e Stidda che mieteva ogni anno decine di vittime. Avevo un gruppo di poliziotti giovani come me con i quali facemmo squadra, compatti, uniti, forti della responsabilità che avevamo di perseguire i criminali ma allo stesso tempo di restituire alla cittadinanza sana una adeguata percezione della sicurezza. Sono stati due anni e mezzo di sacrifici, sotto tanti punti di vista ma alla fine, collaborando anche la Squadra Mobile di Agrigento, arrivammo a concludere una operazione di polizia (denominata Gattopardo) che è rimasta tra gli annali della polizia giudiziaria di quella provincia e non solo, ma, soprattutto, avevamo riportato la gente di Palma ad avere fiducia nelle istituzioni e a riprendersi spazi cittadini, come il centro storico e le piazze, che per anni avevano visto il coprifuoco a partire dalle prime ore del pomeriggio. Personalmente, mi ha arricchito il rapporto che instaurammo con i ragazzi del locale liceo, con un coraggioso Comitato spontaneo di cittadini che chiedevano sicurezza dicendo basta alla mafia e soprattutto il riconoscimento della gente comune che ci fermava anche per strada per chiederci qualunque tipo di informazioni. Ricordo che davanti alle perplessità dei miei agenti a tale ultimo proposito, dicevo che mai avrebbero dovuto rispondere di non esserne competenti ma di attivarsi comunque per indirizzare chiunque ne avesse avuto bisogno”.

Nel luglio del 1992, mese terribile per la strage di via D’Amelio a Palermo, è entrata a far parte della Direzione Investigativa Antimafia di Roma dove ha ricoperto l’incarico di funzionario addetto del Reparto Relazioni Internazionali, con compiti di coordinamento di unità organiche anche all’estero.

Come giudica quell’esperienza che l’ha portata a lavorare anche fuori dall’Italia?

“Straordinaria. Avevo partecipato a quel concorso interno forte dell’esperienza maturata tra Squadra Mobile di Agrigento prima e Commissariato di Polizia di Palma Montechiaro dopo e perché determinata a contribuire alla causa, secondo i criteri condivisi dal Dipartimento della Ps con il giudice Giovanni Falcone. Fui chiamata a Roma subito dopo le stragi del 1992 e ancora di più capii che quella era la mia strada, almeno per qualche anno. Rifarei tutto, anche se per parecchi anni mi allontanai dalla mia famiglia (che ha sempre condiviso e rispettato le mie scelte) e dai sentimenti; tuttavia, ero troppo entusiasta di condividere quel nuovo modo di fare investigazioni, a fianco di qualificati funzionari e ufficiali provenienti da tutti i reparti del territorio nazionale”.

Nel suo vasto curriculum, la dottoressa Agnello ha diretto la Sezione Operativa della Dia di Agrigento. Portano la sua firma, svariate e delicate operazioni di Polizia Giudiziaria eseguite sia sul territorio agrigentino che all’estero. Ha lasciato la sua impronta anche alla Questura di Catania e in quella di Ragusa. E non solo.

 “Sono stata la vice Dirigente del Compartimento della Polizia Ferroviaria per la Calabria tra il 2006 e parte del 2010. Erano anni in cui col Servizio Polizia Ferroviaria di Roma si studiavano nuovi moduli operativi, sia per evitare la devastazione dei treni che puntualmente avveniva durante le trasferte dei tifosi ultras delle squadre di calcio sia per garantire più sicurezza nelle stazioni ferroviari e sui treni. L’impegno è stato notevole ma anche la soddisfazione di riuscire ad applicare nuovi metodi di approccio con i tifosi e con l’utenza non è stata da meno. Quello è stato un periodo in cui mi sono confrontata spesso con la gestione dell’ordine pubblico in concorso con la Questura di Reggio Calabria ed è stata un’esperienza di certo concreta e utile per il prosieguo del mio percorso di carriera, specialmente quando ho ricoperto l’incarico di Vicario del Questore di Siracusa”.

Cosa porta dentro di sé della permanenza in Sardegna dove ha diretto il Compartimento della Polizia Stradale?

“La Sardegna è una terra magica che ti ammalia e quando la lasci senti che ti manca. E’ stato un periodo intenso di lavoro e di conoscenze su tutto il territorio dell’isola; la competente Direzione Centrale mi aveva affidato il compito di intensificare la presenza della Polizia Stradale su quel territorio, curando anche i rapporti con le Questure e con le Prefetture. Ho trovato dei validissimi collaboratori che mi hanno sostenuta e consentito di raggiungere gli obiettivi prefissati”.

Divaghiamo un attimo: quando ha la possibilità, che musica ascolta?

“Sono un’appassionata di musica lirica (adoro Tosca e la Cavalleria Rusticana) ma ascolto molto volentieri la musica leggera e pop. Continuo ad ascoltare alcuni tra i più grandi cantautori italiani, quali Pino Daniele, Lucio Dalla e Fabrizio De Andrè”.

Qual è il complimento più bello che ha ricevuto in ambito lavorativo?

“Più che di un complimento vero e proprio, si è trattato di un grazie particolarmente sentito da parte di una madre per aver trattato con professionalità e trasporto umano il delicato caso di una figlia vessata dal convivente”.

Cosa vuole dire al personale della polizia che opera in provincia di Caltanissetta?

“Direi loro un grazie senza fine per il lavoro costante e spesso sacrificante che svolgono al servizio dei cittadini, qualche volte in condizioni non del tutto favorevoli. E chiederei loro di ringraziare le proprie famiglie per il sostegno morale e materiale che garantiscono e che consente loro di lavorare più serenamente per portare avanti la nostra importante mission: servire il cittadino e farlo sentire al sicuro”.

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“Negli ultimi 5 anni a Gela non ha funzionato nulla. A breve avremo il candidato sindaco”

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Lo ha rimarcato più volte, lontano dai classici tatticismi, alchimie, giochi di prestigio: entro oggi, tutti i gruppi che hanno un candidato a sindaco devono presentare il nome e da domani un gruppo ristretto composto da un loro rappresentante esaminerà le varie candidature e farà sintesi su chi può garantire governabilità e può fare da bilancia alla coalizione.

L’onorevole Nuccio Di Paola, sta cercando di tessere la tela nell’ambito del progetto politico che vede insieme (attualmente) il Movimento 5 stelle, il Partito Democratico, i movimenti civici, Sud chiama Nord e le forze moderate. E’ stato investito di un ruolo importante al fine di chiudere i giochi in vista delle prossime amministrative a Gela. Un vero e proprio moderatore.

“Siamo a buon punto. Miriamo a trovare la sintesi tra tutti gli attori che hanno preso parte agli incontri”.

Lei ha in mente un candidato che possa ambire a ricoprire il ruolo di sindaco?

“Si, mi sono fatto un’idea e penso che non sia solo mia. Immagino un candidato che sia garante di tutta la coalizione. Prima viene la squadra e naturalmente verrà il nome del candidato. Il noi viene prima dell’io”.

Come mai (almeno fino ad oggi) non ha pensato lei a candidarsi direttamente?

“Vicepresidente vicario dell’Ars, coordinatore regionale del Movimento 5 Stelle, referente territoriale per la provincia di Caltanissetta, deputato, papà e marito penso di essere già apposto così. In ogni caso starò sempre accanto a Gela e ai gelesi…”

Anche se fisicamente non sempre presente a Gela, impegnato giornalmente a Palermo e in giro per la Sicilia, lei segue (attraverso i suoi fedelissimi consiglieri) l’evolversi della politica locale. In una sola domanda: cosa non le è piaciuto dei cinque anni di amministrazione Greco?

“Basta camminare per la città e parlare con i cittadini per rendersi conto di tutto quello che non ha funzionato in questi 5 anni”.

Il dissesto finanziario del Comune – dicono gli attuali amministratori della giunta – è figlio di un percorso pregresso. Se andiamo indietro nel tempo, il penultimo sindaco è stato (fino ad un certo punto) uno dei vostri. Dunque e’ colpa (anche) di Domenico Messinese e della sua squadra di governo di cui lei ha fatto parte, se si è arrivati a questo punto?

“No! Sono stato in giunta per 6 mesi, e sono stato buttato fuori perché in contrasto con quell’amministrazione. Il sindaco è andato avanti per altri due anni e mezzo, poi con tutto il consiglio comunale lo abbiamo sfiduciato”.

Ah proposito di Domenico Messinese: come sono i vostri rapporti, dopo l’esclusione dal Movimento 5 stelle?

“Non abbiamo rapporti. Le pochissime volte che ci vediamo le nostre interlocuzioni sono cordiali”.

Lei è componente della commissione regionale bilancio. Analizzando il settore di cui si occupa, nel dettaglio cosa è stato fatto per Gela?

“Da componente della commissione bilancio ad ogni finanziaria Gela e tutta la provincia che rappresento sono al centro dei miei emendamenti. Una delle mie ultime proposte che è stata accolta nella finanziaria 2024 è quella di vedere riconosciuto ai comuni di Gela, Butera e Licata le compensazioni per il progetto Argo-Cassiopea. Parliamo di cifre notevoli, nell’ordine di 20 milioni di euro l’anno garantiti alle casse comunali”.

Lei è vicepresidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, assieme alla collega Luisa Lantieri di Forza Italia. Il presidente Gaetano Galvagno è espressione di Fratelli d’Italia. In tanti (troppi) si chiedono come riuscite a dialogare, considerato che siete agli antipodi su tutto in ambito strettamente politico?

“Politicamente è vero siamo agli antipodi ma prima di qualsiasi ruolo o appartenenza politica siamo siciliani, coetanei innamorati profondamente della nostra terra e per il bene dell’istituzione che rappresentiamo, cerchiamo sempre un punto di incontro nel rispetto delle diversità di ognuno”.

Si profilavano agli orizzonti accordi con Pd e Sud chiama Nord in vista delle Europee. E’ saltato tutto?

“Nessun accordo coi partiti alle prossime elezioni Europee e liste aperte solo a personaggi di spicco della società civile. Il MS5 camminerà sulle proprie gambe, col contributo di ottimi apporti dalla società civile e in questo senso ci stiamo muovendo. A stretto giro comunicheremo anche le modalità per le candidature. Per quanto riguarda le amministrative, il simbolo del Movimento non sarà presente in tutti i Comuni, ma solo dove esiste un gruppo fortemente radicato con un serio e credibile progetto a supporto. Il simbolo va tutelato e non può essere concesso a cuor leggero anche a chi, magari, spera di raccattare qualche consenso confidando esclusivamente sul voto d’opinione”.

Facciamo un passo indietro: lei alle ultime regionali, si è candidato alla presidenza della Regione. I risultati però hanno premiato Renato Schifani, espressione del centro destra. Non ha mai pensato (anche per un attimo) che fosse una partita persa in partenza, considerato che aveva solo il suo movimento ad appoggiarla?

“Assolutamente no. Come M5S Sicilia abbiamo fatto il massimo per dare ai siciliani un‘alternativa al governo fallimentare di destra. Peccato solo aver avuto poco tempo per la campagna elettorale per veicolare ai siciliani la nostra visione di Sicilia”.

Ritenterà la corsa alla presidenza della Regione?

“È stata un’esperienza meravigliosa. Se i siciliani lo vorranno, sarò sempre a disposizione”.

C’è un punto (almeno uno), in cui come Movimento 5 stelle siete d’accordo con i lavori portati avanti dal governatore?

“Aspettiamo ancora che agli annunci seguano i fatti. Nessuna riforma è stata portata in aula. Siamo orgogliosamente alternativi a questa destra che sta deludendo in primis i siciliani che l’hanno votata”.

Quando ha saputo che Giancarlo Cancelleri, storico grillino, vi ha lasciati per approdare in Forza Italia, cosa ha provato?

“Ognuno fa le sue scelte e si assume le proprie responsabilità”.

L’asse Palermo – Roma con le interlocuzioni con i senatori gelesi Damante e Lorefice, funziona?

“Assolutamente sì. Si lavora da squadra, facendo il massimo per la nostra Sicilia e la nostra Gela”.

E’ sempre contrario alla realizzazione del ponte sullo stretto?

“Ritengo che ci siano altre priorità. Come si può parlare di ponte se l’acqua delle dighe finisce a mare, se basta la pioggia per rendere le strade impraticabili, se viaggiare in treno è impossibile per molti territori, se la sanità pubblica ha notevoli carenze…”

Gli ultimi sondaggi nazionali, evidenziano un crollo del Movimento. Siete distanti oltre 10 punti da Fratelli d’Italia. Come legge questi dati e da dove bisogna ripartire?

“Io non vedo nessun crollo del M5S, vedo invece tanti italiani prima illusi ed adesso delusi da questa destra di sola propaganda. Meloni e Salvini stanno saccheggiando il Sud e la Sicilia. Noi del M5S siamo orgogliosamente opposizione a questa visione di società divisa per caste. Per fortuna sono tantissimi i cittadini che ci vedono come ultimo baluardo alla malapolitca che a livello nazionale ha azzerato il welfare e che con l’autonomia differenziata, che rischia di affossare definitivamente il Meridione, oggi ha raggiunto l’apice, senza dimenticare altre vergogne dell’agenda Meloni come la legge bavaglio. Non è certo migliore l’agenda Schifani, i cui riflettori sono puntati più che sui bisogni dei cittadini, su norme vergognose come la salva ineleggibili, la sanatoria delle ville abusive o sull’incommentabile spartizione della sanità, mentre ospedali e pronto soccorso esplodono, i medici scappano verso il privato e le liste d’attesa risultano cancellate solo sulla carta”.

Perché ha scelto di fare politica?

“Mi è sempre piaciuto essere parte attiva della società. Ai tempi dell’università mi sono avvicinato alla politica per poi nel 2010 iscrivermi al blog di Beppe Grillo: da lì è cominciato tutto”.

Perché ha deciso di sposare proprio il progetto del Movimento 5 stelle?

“Perché tutte le altre forze politiche si erano staccate dal Paese reale, dai bisogni dei cittadini preferendo le logiche del palazzo. C’era bisogno di una forza politica fatta da cittadini e non professionisti della politica che rimettesse al centro del dibattito battaglie fondamentali come la legalità, la giustizia sociale, la tutela dell’ambiente, della salute e dell’istruzione pubblica e la lotta agli sprechi. Battaglie in cui mi riconosco, portate avanti dal M5S che quindi ha rappresentato la mia scelta naturale”.

Cosa non rifarebbe di tutto ciò che ha fatto in politica?

“Rifarei tutto!”

Il suo sogno?

“Dare una nuova speranza ai siciliani con un governo regionale a 5 stelle”.

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Ipse Dixit

Giovanni Cacioppo, la risata gelese al cinema e in teatro

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Il suo ultimo spettacolo, “Che rimanga tra Noi”, continua a riscuotere successo in un vortice di risate, frutto dei migliori monologhi proposti da una carriera trentennale che lo ha portato ai vertici della comicità italiana. Quando è sul palco, si rivolge direttamente al pubblico, come se si trovasse al bar con degli amici, instaurando un rapporto quasi confidenziale, senza alcun filtro, privo di qualsiasi barriera. Il “nostro” Giovanni Cacioppo è fatto così. Diplomato geometra, ha subito puntato l’orizzonte al cabaret. E ha fatto centro.

“Ufficialmente ho cominciato trent’anni fa allo Spaghetti house ma in realtà credo di avere cominciato molto prima. Mi è sempre piaciuto fare ridere la gente, portare allegria. Lo facevo già a scuola e nelle scampagnate; poi un giorno ho deciso di farlo sul serio ed eccoci qua”.

C’è un attore che ha profondamente influenzato la tua professione?

“Il comico che mi ha ispirato e che mi ispira tutt’ora è Massimo Troisi, insuperabile nella sua visione della vita”.

Per coloro i quali si affacciano al mondo del cabaret, quale consiglio dai?

“Sappiate che è un lavoro difficilissimo e non ci sono garanzie di risultato”.

Nei tuoi monologhi, spesso e volentieri risalti le differenze che insistono tra Nord e Sud. Come mai?

“È un una chiave che usiamo in parecchi, sono due mondi distanti ed è bello metterli a confronto”.

Il pubblico ha cominciato a conoscerti nel 1994, quando, a Bologna, partecipasti al concorso “Zanzara d’oro”, arrivando al secondo posto. Puntavi al trofeo più ambito?

“Alla Zanzara d’oro partecipai per caso dopo avere letto un annuncio su un giornale. Arrivai secondo su cinquecento partecipanti…potevo già sentirmi un miracolato, ma non mi bastò”.

Cosa ha rappresentato il monologo comico “Acqua e seltz” che hai portato in teatro?

“Acqua e seltz è stato il mio primo monologo, era un collage di tanti pezzi, da testa di cane al videocitofono al motorino”.

Giovanni Cacioppo in teatro ha portato numerosi spettacoli: L’uovo e la patata, In nomine patris, Io labora ed il monologo Aprite quella porta (per piacere).  Con Paolo Rossi ha partecipato allo spettacolo Romeo & Juliet – una serata di delirio organizzato.  Come tutti gli attori, è stato indispensabile lo spazio televisivo. Lo ricordiamo a “Tivù cumprà”, “Solletico”, “Scatafascio”, “Torno sabato”, “Mai dire lunedì”, “Che tempo che fa”, “Colorado Cafè”, “Fratelli e sorelle d’Italia”, “Made in Sud”, “Only Fun”. 

“La Tv è fondamentale per farsi conoscere. Fino a qualche anno fa era la via di comunicazione migliore, adesso sta per essere soppiantata dal web!”

Cosa ti ha colpito delle tue frequenti partecipazioni al Maurizio Costanzo Show?

“Maurizio Costanzo negli anni 90 era la migliore vetrina della televisione. Un passaggio al teatro Parioli era una consacrazione”.

Delle tue innumerevoli presenze televisive, quale ti ha lasciato un ricordo indelebile e perché?

“Zelig mi ha dato la popolarità; Mai dire martedì è il programma dove mi sono divertito di più”.

Come sono nati i personaggi Graziello e il viaggiatore-cittadino Cacioppo?

“Per caso, osservando la gente”.

A distanza di anni, suscita ancora emozione avere vinto nel 2009 il Delfino d’oro alla carriera al festival nazionale adriatica cabaret?

“Premi come il Delfino d’oro ne ho vinti molti ed anche più prestigiosi. Ogni volta è stata una bella emozione che conservo nei miei ricordi”.

Giovanni ha esordito sul grande schermo recitando in “Così è la vita” del 1998, film diretto da Massimo Venier e dal trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo. Chi non ricorda la scena in cui, lungo una strada deserta dell’Abruzzo Aquilano,  la moglie in auto sta per partorire e lui chiede disperatamente aiuto. Un anno dopo ha preso parte al film diretto da Massimo Ceccherini,  “Lucignolo”, e nel 2000, è stato scelto per interpretare un ruolo nella pellicola diretta da Giorgio Panariello dal titolo “Al momento giusto”. Nel 2002 è tornato a collaborare con il trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo interpretando “Schiena di legno” nel film “La leggenda di Al, John e Jack”.  Tre anni più tardi, entra nel cast di “Tutti all’attacco”, il film diretto da Lorenzo Vignolo. Ha preso parte anche ai film “All’ultima spiaggia” di Gianluca Ansanelli, “Non c’è più religione” di Luca Miniero e “Una festa esagerata” di Vincenzo Salemme. Straordinaria la sua esibizione nel ruolo di don Pasquale. Lo abbiamo visto anche nei film “Come se non ci fosse un domani” diretto da Igor Biddau, “Sbagliando s’impara” per la regia di Alessandro Ingrà e “Ancora volano le farfalle” di Joseph Nenci. Ha lavorato alla sit-com “Taglia e Cuci” in coppia con il Mago Forest, per il canale satellitare Fox della piattaforma pay-tv Sky.

Com’è nata la tua collaborazione con Aldo, Giovanni e Giacomo?

“Con Aldo, Giovanni e Giacomo c’è un’amicizia oramai trentennale. La prima volta che salii sul palco di Zelig in viale Monza lo feci dopo un loro spettacolo”.

Ultimamente, durante un’intervista televisiva (divenuta virale) sei stato scambiato per Aldo Baglio. Come mai non hai segnalato subito l’errore ed invece hai assecondato chi ti poneva le domande?

“Ho cercato di non mettere in imbarazzo la giornalista ma è stato peggio…”

Parlavamo di collaborazioni. Cosa ti hanno lasciato quelle con Massimo Ceccherini, Giorgio Panariello e Vincenzo Salemme?

“Essere chiamato a partecipare ad un film ogni volta è stata una gratificazione ed un riconoscimento, specialmente quando vieni chiamato da altri comici. E’ una sensazione bellissima, gratificante”.

Quali dei personaggi che hai interpretato al cinema, è stato quello che più ti ha coinvolto?

“Cerco di interpretare qualsiasi ruolo al meglio delle mie capacità”.

Se tornassi indietro nel tempo, quale invece non rifaresti e perché?

“Rifarei tutto. Senza ombra di dubbio!”

Come trascorri le tue giornate?

“Ho parecchi hobby. A volte dipingo o costruisco oggetti, riparo qualcosa oppure scrivo nuove idee. Sono sempre impegnato”

Vivi solo di teatro e cinema?

“Vivo solo di spettacolo”.

Cosa ti aspetti dal 2024?

“Dall’anno nuovo non mi aspetto niente di eccezionale, mi basta solo continuare a fare questo lavoro bellissimo”.

Quando hai occasione, ritorni a Gela. Come l’hai trovata ultimamente?

“Gela si evolve con coerenza con i suoi pregi e difetti”.

Perché tanti gelesi sono costretti a fare le valigie? 

“Per turismo…” La risposta è una gag esilarante. 

Credi in una rinascita (sotto molteplici aspetti) di una città che sembra amorfa? 

“Per rinascere bisogna prima morire”.

Qual è il consiglio che ti senti di dare a chi amministra la cosa pubblica a Gela?

“Trattate tutti i cittadini come se fossero parenti”.

Quando con i colleghi parli della tua città, cosa dici?

“Non parlo della mia città, non ho motivo”.

Quando torni a Gela, cosa non deve mancare sulla tua tavola?

“U capuliatu!”

Il tuo personale augurio ai gelesi per il nuovo anno?

“Stringete i denti e non so se basta”.

La risposta è fulminea ma nasconde troppe verità. Amare ma assolutamente reali. E c’è poco da ridere.

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