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“Solo la società può sconfiggere la mafia!”

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Non contano i passi che fai, né le scarpe che usi, ma le impronte che lasci. L’aforisma raffigura appieno i valori che l’autore (sconosciuto) vuole rappresentare, tant’è vero che il tenente colonello dei Carabinieri, Antonio De Rosa, la riporta sul suo profilo whatsapp, incastonata in una foto con lo sfondo del mare e le orme impresse sulla sabbia. E di impronte significative, l’ufficiale fiorentino ne ha lasciate parecchio nella sua carriera. Anche a Gela, durante il triennio 2016-2019, al comando del Reparto Territoriale, in un territorio sicuramente non facile per la presenza di ben tre organizzazioni criminali.

“Tre anni vissuti intensamente, densi di emozioni e impagabile esperienza professionale. La peculiarità del territorio gelese richiede una particolare attenzione che lo Stato, attraverso le sue Istituzioni, e non mi riferisco solo alle Forze dell’Ordine, sta ormai portando avanti da anni e che deve essere costantemente alimentato per arrivare, dopo averli contenuti e limitati, ad eliminare certi fenomeni umani degenerativi della società. Lo sviluppo di una coscienza sociale attraverso l’istruzione delle nuove generazioni e la creazione di sbocchi professionali, consentirà il rifiuto collettivo al doversi rivolgere a forme di sussistenza mediante attività criminali e superarne la logica dell’assoggettamento. Finché si avrà una dispersione scolastica alta, queste organizzazioni avranno manovalanza a disposizione per commettere, con grande superficialità reati, anche molto cruenti, di cui spesso non percepiscono la gravità e la portata collettiva. Una classe politica lungimirante, scevra da condizionamenti e rivolta allo sviluppo sostenibile dell’area in base a ciò che offre il territorio (che è tanto) è l’altro aspetto fondamentale necessario a consentire il superamento di questo fenomeno”.

Dell’esperienza a Gela, in tanti le hanno riconosciuto un forte acume investigativo. Come ha fatto ad integrarsi nel vasto e complesso tessuto sociale gelese?

“Penso di non aver fatto niente di eccezionale, ma solo di aver messo in pratica ciò che è alla base dell’essere Carabiniere ovvero essere gente tra la gente, gente per la gente.  Certo, come dice, il tessuto sociale di Gela è molto articolato e complesso, ma ponendosi sempre con correttezza e disponibilità, si percepisce altrettanta apertura e, piano piano, si riesce a riscuotere credibilità e fiducia”.   

Personalmente le riconosco una grande capacità di ascolto. E’ stato un elemento in più per conoscere i risvolti più occulti che si celavano dietro agli episodi criminosi commessi a Gela?

“Parlare con le persone di ogni estrazione e in ogni ambito è ciò che fanno i Carabinieri e permette di conoscere le persone ed essere loro vicine nella risoluzione dei problemi. Portare una divisa vuol dire sentirsi responsabilizzato a dover fornire risposte, conforto, sostegno alla popolazione che riconosce in noi lo Stato, una persona che è stata voluta e preposta a proteggerlo, garantendo il pacifico sviluppo delle relazioni sociali e commerciali. Per questo l’atteggiamento di ascolto di ogni cittadino in ogni circostanza formale o informale come quando andiamo a prendere un caffè al bar, o colloquiamo con un commerciante quando facciamo la spesa oppure con l’insegnante quando andiamo per gli incontri dei figli può essere l’occasione per percepire determinate situazioni, acquisire informazioni, dare indicazioni, fornire supporto, avere spunti da approfondire con quei frammenti di notizia colti direttamente o indirettamente. A ciò occorre abbinare la comprensione del linguaggio del corpo e degli atteggiamenti, normalmente molto marcato e significativo in Sicilia, mantenendo sempre il doveroso rispetto nei confronti del nostro interlocutore. Grazie a questa disponibilità, in molti casi, siamo riusciti ad avviare attività investigative e, in altri casi, da semplici interlocuzioni, a prevenire o affrontare e risolvere situazioni delicate e quando dico questo non penso solo a più o meno altisonanti operazioni di servizio, ma, prevalentemente a casi di soccorso sociale che sono quelli che più umanamente ti colpiscono”.

Assieme ai suoi più stretti collaboratori, a Gela ha portato a compimento diverse operazioni di polizia giudiziaria. In quale di queste, è stato fondamentale (se non imprescindibile) l’elemento di cui accennavamo prima?

“Vorrei poterle dire in tutte, ma non posso sostenerlo, sicuramente l’attività informativa grazie alla costante conoscenza e penetrazione del territorio consente la maggior parte delle attività! Non é certamente per merito di un singolo, quanto per il lavoro di squadra dei Carabinieri del Reparto Territoriale di Gela che, con professionalità, ogni giorno coltivano con pazienza e passione le persone affidate loro. Posso però raccontarle, per confermarle al contrario che è possibile raccogliere la vicinanza della gente, la situazione in cui rimasi più  perplesso per la mancata collaborazione: Operazione “Far West”, una pericolosissima sparatoria del giugno 2017 in un frequentato bar di via Crispi che suscitò  grande preoccupazione per le modalità esecutive e che per mera fortuna non provocò vittime. In quell’occasione arrivammo comunque ai responsabili in pochi mesi, ma solo grazie alle attività tecniche e alla stretta collaborazione tra Forze dell’Ordine e Procura”.

Come legge l’atavico fenomeno degli incendi dolosi a Gela?

“Questo fenomeno, nel resto d’Italia (e del Mondo direi) limitato normalmente a casi circoscritti sottesi a reati ancora più gravi, a Gela (e non in tutta l’area nissena) assume una sorta di “grezzo” e anacronistico metodo di risoluzione delle controversie di vario genere, di cui non si percepisce spesso il profondo disvalore (e lo dico a ragion veduta dopo molteplici incontri con associazioni e scuole locali), tanto da essere stato per molto tempo accettato come normalità. Attività di indagine hanno dimostrato come, al di là di fenomeni estorsivi e minatori veri e propri, dietro gli stessi si celassero spesso piccole rivendicazioni di carattere personale anche per ragioni estremamente futili legate a rapporti amorosi, di vicinato o lavorativi, finanche a screzi per la conduzione dei veicoli. La facilità nel commettere tale tipo di reato e la manovalanza di cui parlavamo prima disposta a farlo per pochi euro, potrà essere contrastata solo grazie alla corretta percezione collettiva di tale grave reato e alla non accettazione dello stesso quale metodo di risoluzione delle controversie”.

In più di un’occasione, lei ha invitato la popolazione a denunciare. Il messaggio è stato recepito?

“Non sempre e non per tutti i reati. E’ necessario dirlo, urlarlo, pubblicizzarlo pubblicamente, ma non basta! Non è una pratica formale che si risolve con un atto, ma un lungo, duro e articolato lavoro che deve essere svolto quotidianamente per conquistare la fiducia delle persone avendo a disposizione la possibilità di garantire loro ristoro e conforto. E’ solo con un lavoro collettivo delle Istituzioni e dell’associazionismo che potrà sempre più essere recepito e fatto proprio questo messaggio. I casi “Miceli” che hanno segnato la realtà gelese devono aver insegnato che solo uniti si può andare avanti e, quindi, la normalità deve diventare la denuncia. Non è semplice superare la paura interiore di fronte a minacce più o meno velate, ma fare scelte diverse vuol dire rimanere schiavo dell’illegalità. La libertà si ottiene con la collaborazione tra il cittadino e le Istituzioni con la responsabilizzazione (non sostituzione) collettiva verso il bene comune e il rispetto sociale reciproco”.    

Tornasse indietro nel tempo, rifarebbe le stesse cose a Gela?

“Non sono abituato ad avere rimpianti, ma a vivere il presente per affrontare il futuro memore degli errori commessi. Certamente certi aspetti pratici, con l’esperienza acquisita, li affronterei diversamente, ma sostanzialmente non ritengo cambierei la linea adottata poiché, grazie a chi mi ha preceduto e saputo descrivere la realtà locale e alle persone del posto che mi hanno permesso di calarmici, ho potuto affrontare con passione ed entusiasmo questa tappa del mio percorso che mi ha molto arricchito umanamente e professionalmente”.  

Rammarico per qualcosa?

“Rammarico no, mi avrebbe però fatto piacere, in alcune occasioni, riuscire a entrare in maggiore empatia con qualche mio interlocutore per poterlo aiutare di più ad affrontare certe situazioni in cui era stato vittima”.

“Sono stato accolto in questa Terra Meravigliosa come un figlio e come tale ho cercato di dare il mio piccolo contributo non solo in termini di contrasto e repressivi, ma cercando di dare un volto familiare e vicino al prossimo in un’ottica aperta, di servizio per la comunità…” Sono le sue parole, giorni prima che venisse trasferito da Gela. Ricorda?

“Si…chiaramente! Sono, a distanza di anni, ancora più convinto e grato per la fortuna che io e la mia famiglia abbiamo avuto nel conoscere la Sicilia e soprattutto i siciliani di Gela e mi auguro che il piccolo contributo fornito a questa comunità sia stato utile. Per quanto mi riguarda, termini bellissimi come “Gioia mia”  o “Vita mia”, che trasmettono tutto il calore di questa Terra Meravigliosa, fanno ormai parte del mio patrimonio linguistico e culturale”.

Nella sua esperienza gelese, ha conosciuto tanti giovani. Costante la sua presenza nelle scuole. Cosa le hanno trasmesso i ragazzi?

“Non ci sono parole per descrivere l’entusiasmo che possono trasmetterti i giovani e la volontà di riscatto che ho trovato nei loro occhi. Riscatto dall’essere ghettizzati dagli stessi siciliani poiché a Gela venivano in automatico abbinate con disprezzo altre due parole: mafia e petrolchimico.  Ricordo con grande gioia e favore l’esperimento sociale che fu fatto in una scuola in cui l’abbinamento al nome Gela di fotografie fatte dagli studenti, ritraenti paesaggi e luoghi meravigliosi della zona, inserite nei motori di ricerca servirono a superare l’automatico abbinamento che detto sistema faceva, ogni volta che qualcuno digitava Gela in rete,  tra la città ed eventi cruenti e criminosi come gli incendi. Lo stupore collettivo e la soddisfazione di quei giovani nell’aver potuto contribuire, con piccoli semplici gesti, a rendere più apprezzabile e conosciuta in senso positivo la loro città e l’orgoglio con cui rivendicavano la loro “gelesità” è qualcosa che porterò sempre dentro. Si parte anche da questi piccoli grandi gesti, in cui il piccolo contributo di ognuno crea grandi cambiamenti”.

E cosa ha trasmesso a loro?

“Non so se sono riuscito a trasmettere qualcosa di buono, questo dovrebbe domandarlo a loro. Mi auguro solo di averli indotti a riflettere da un altro punto di vista sulle cose e fatti che vedevano tutti i giorni con i loro occhi nello stesso modo e a far considerare loro che ci sono sempre delle alternative”.

Ci racconti un particolare episodio della sua permanenza a Gela

“Sono molti i fatti che potrei raccontare e su cui potrei soffermarmi. Evidenzio però la condizione di assoluta povertà e disagio di una famiglia che ho conosciuto libero dal servizio una domenica. In quell’occasione rimasi basito di come in Italia, nel 2017, si potesse vivere in quelle condizioni. La cosa che più mi segnò di quella giornata fu il fatto che, ospite a pranzo di un’altra famiglia conosciuta qualche mese prima, appena furono sfornate le prime pietanze dalla signora, il capo famiglia mi chiese di accompagnarlo a portarle a chi era meno fortunato di noi. Non era una famiglia ricca economicamente, ma la ricchezza interiore che ebbe quella famiglia in quell’occasione con quel gesto di generosità nei confronti dell’altra meno fortunata è qualcosa di tangibile che lascia il segno”.

Tante tappe nella sua carriera professionale cominciata nel 1992. Ha girato parecchio: da Vercelli a Lucera, da Bologna a  Palestrina, da Pistoia a Santa Margherita Ligure. Cosa ricorda in particolar modo dei posti in cui ha operato?

“Ricordo le persone! Ognuna delle esperienze vissute ha rappresentato una tappa importante del mio percorso di arricchimento umano e professionale! Tutto questo è stato possibile grazie alle persone con cui ho avuto modo di collaborare sia all’interno che all’esterno dell’Istituzione e ciò è avvenuto a prescindere dalla bellezza dei luoghi che, grazie all’Arma, ho potuto conoscere e apprezzare. E sono fermamente convinto di quello che affermo poiché ho potuto riscontrare tale effetto anche nella mia famiglia che, nel seguirmi e sostenermi in questo lungo “viaggio”, si è saputa ogni volta immergere appieno nelle nuove realtà cogliendone il vero spirito grazie alle persone che ci hanno accolto e con le quali intratteniamo, anche a distanza di molto tempo, sinceri e profondi legami”.

In tutti questi anni di attività nell’Arma dei Carabinieri, ha ricevuto numerosi attestati e riconoscimenti per il lavoro svolto. A quale è più legato?

“Sono grato per i riconoscimenti e le attestazioni di stima ricevuti per i quali devo ringraziare l’Arma dei Carabinieri che mi ha permesso di avere una propria dignità sociale che mi ha consentito di ottenerli. Sinceramente e non vorrei apparire ridondante e troppo romantico, ma sono più legato alle persone che ho incontrato nel mio percorso e se guarda il mio ufficio non troverà titoli appesi, quanto quadri, foto e oggetti che rappresentano ricordi delle stesse e delle esperienze vissute insieme. In effetti un titolo ci sarebbe, poiché legato ad una persona che ha segnato la mia vita, ma per non far torto a nessuno preferisco portarlo nel cuore e dirle che il più importante è quello che verrà! Sicuramente l’apprezzamento più bello è quello che mi fecero inaspettatamente il Prefetto di Caltanissetta, Cosima Di Stani e il giornalista Franco Infurna (in rappresentanza delle scuole e associazioni locali) nel ringraziarmi per l’attività di vicinanza svolta in favore delle scuole e delle associazioni territoriali”.

Cosa l’ha spinta ad arruolarsi? 

“Sembrerà banale, ma quando ho svolto il servizio di leva nell’Arma quale Carabiniere Ausiliario, sebbene ritenessi quell’esperienza obbligatoria di passaggio e avessi già altri progetti con mio fratello, rimasi “folgorato” dalla soddisfazione che mi dava il mio servizio in favore della gente, anche quale semplice Carabiniere: l’essere utile al prossimo. Mi fornì quell’appagamento interiore che null’altro mi aveva mai dato prima. Avendo avuto poi la fortuna di aver studiato con buoni risultati (due lauree ed altrettanti master, ndr) ho cercato di mettere al servizio dell’Istituzione le capacità possedute. D’altronde ho sempre ritenuto che non vi fosse nulla di più nobile del servire il cittadino”.

Se non avesse fatto il Carabiniere, cosa avrebbe voluto fare?

“Sinceramente non saprei dirle esattamente. Probabilmente mi sarei dedicato a qualche professione in ambito legale/commerciale o mi sarei dedicato al turismo, avendo avuto la fortuna di viaggiare fin dall’età di 4 anni. Forse oggi sarei a promuovere le bellezze e la cultura di questa Terra meravigliosa!”

Da settembre scorso è a capo della 2′ sezione uffici relazioni con il pubblico presso il Comando Generale di Roma. Quali sono nello specifico le funzioni?

“L’Ufficio Relazioni con il Pubblico costituisce l’interfaccia Istituzionale sia con il pubblico esterno che con i militari all’interno dell’Amministrazione. La stessa è preposta a migliorare il rapporto con il cittadino mediante la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, l’incremento di modalità di accesso nonché l’utilizzo di strumenti di interconnessione telematica. Nello specifico la 2^ Sezione si occupa del diritto di accesso e della protezione dei dati fornendo un servizio di risposta all’utenza dopo aver individuato e recepito le indicazioni dell’articolazione della nostra organizzazione competente; provvediamo, inoltre, alla consulenza ai Comandi dipendenti in materia di trasparenza ammnistrativa e, ai sensi della vigente normativa eurounitaria, ci occupiamo del trattamento, della circolazione e protezione dei dati personali (per fini non di polizia) nell’ambito Istituzionale”.  

Come si combatte la mafia, con quali strumenti?

“La mafia è un fenomeno sociale e come tale solo la società può determinarne la sconfitta. Come fenomeno non si tratta di operare solo su un piano repressivo, per quello gli strumenti forniti alle Forze dell’Ordine sono commisurati e vengono proporzionati all’occorrenza. Non è che si sconfigge un fenomeno con uno stato di polizia mettendo un carabiniere o un poliziotto ad ogni porta. E’ necessario quello sviluppo culturale che determina in una società il superamento dello stato di accettazione e soccombenza di certe manifestazioni sociali fuori dalle regole. Fortunatamente il livello dei dirigenti scolastici e degli insegnanti che ho trovato in quest’area del nostro Paese è elevatissimo e questo mi fa ben sperare per il futuro perché vuol dire che anche in questo ambito si sta lavorando nella direzione giusta”.

Torniamo nuovamente a Gela: attraverso quest’intervista, cosa si sente di dire a chi ha lavorato fianco a fianco con lei nella nostra città? 

“Un infinito grazie! Sia per quello che ha fatto, sia per avermi consentito, ognuno come ha potuto, di conoscere e affrontare questa impegnativa quanto avvincente esperienza. A loro va continuamente il mio pensiero sia di gratitudine che di sostegno per quanto continuano, con laborioso silenzio, a fare. Sono legami indissolubili che mi legano a quelle persone che, nonostante il tempo trascorso, ogni volta che scendo in Sicilia rivedo con medesimi sentimenti di stima e affetto”

Lei è un assiduo donatore di sangue. La vita è un dono, meritiamola offrendola…. 

“Per la privacy, dato il nuovo ruolo (ride) e il dato particolare, dovrei dirle che questo è un dato sensibile non ostensibile senza la volontà delle parti. Ma avendole dato il consenso non posso che condividere tale pensiero nella certezza che offrire il proprio servizio in favore degli altri fa stare bene e ripaga sempre le fatiche e gli sforzi fatti.”

Aveva proprio ragione il filosofo francese Renè Daumal quando sosteneva che lo stile è l’impronta di ciò che si è in ciò che si fa…

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