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Giudiziaria

Continua in braccio di ferro tra l’azienda Ancr e gli operatori della vigilanza Eni Gela

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Continua ancora da mesi il braccio di ferro fra gli operatori della vigilanza privata impiegati nell’Appalto Eni raffineria di Gela – Enimed – Green Stream e l’azienda Ancr.

Dopo le vertenze e segnalazioni presentate ai dirigenti con esito negativo, l’azienda  continua a sottovalutare le criticità dei lavoratori si sentono esposti a rischio sul piano della salute e della loro sicurezza.

I lavoratori dell’Ancr si sono rivolti allo studio legale dell’Avv. Riccardo Balsamo che, in loro nome e nell’interesse, ha presentato una querela presso la Guardia di Finanza per denunciare i fatti e le condotte ritenute antisindacali per cui la società è già stata condannata in precedenza dal Tribunale di Siracusa.

“Non si può vivere una tale situazione e stare a guardare di fronte alle lamentele dei lavoratori stremati – dice l’ avv. Balsamo – c’è chi agisce per la salvaguardia per i propri diritti e c’è chi guarda questo scempio da lontano senza garantire la  salvaguardia dei diritti e la sicurezza e salute dei lavoratori, lavoratori costretti ad effettuare turni di 12 ore  e oltre nelle aree pozzi con copertura ombreggiante inadeguata ed installate, peraltro, solo da qualche giorno.

Turni massacranti e non regolari arrivando fino ad una giornata di lavoro di 16 ore, variazioni continue dei Turni di lavoro e chiamate continue da parte dell’azienda, a tutte le ore del giorno, per ritornare al lavoro, anche durante le giornate di riposo per coprire dei turni di servizio, destabilizzando la serenità e la stabilità familiare del dipendente”.

Le stesse G.P.G. impiegatecda decenni, vengono spostate continuamente da una unità produttiva ad un’altra con turni avvicendati non regolari , richieste ferie avanzate dai lavoratori senza alcuna risposta o conferma aziendale, per cui i lavoratori sono costretti a non programmare una vacanza e costretti a vivere in uno stato di insicurezza e non godee di un diritto irrinunciabile come le ferie, solo perché colpevoli di aver rivendicato i propri diritti  e le proprie spettanze salariali . Dopo vari incontri e tavoli di raffreddamento davanti le istruzioni la situazione lavorativa non è cambiata: si continua a mettere a rschio la salute e sicurezza del lavoratore. I lavoratori sono stremati dai turni di lavoro, sono stati costretti a rivolgersi all’ ospedale per avere le cure sanitarie, ad effettuare lo straordinario senza il proprio consenso, a prolungare il proprio turno di lavoro per il cambio non gli viene dato.

A rendere ancora più gravosa la questione il fatto riferito ai lavoratori chi pianificherebbe i servizi di turno sarebbe una rappresentanza sindacale, anziché far rivalere i diritti agisce in maniera opposta, proprio a dimostrazione delle condotte antisindacali.

Si chiede, sia al nuovo amministratore giudiziario aziendale come già in precedenza chiesto, nonché pure alle istituzioni che sia fatta chiarezza su tale condotte antisindacali e vessatorie, e vengano attribuite le giuste punizioni giuridiche agli autori di tali fatti”.

Il commissario straordinario Stefano D’Addona nega le

ipotesi di gestione non corretta dell’azienda, riferendo addirittura di pretesi comportamenti antisindacali da parte dei vertici della medesima.L’attuale gestione commissariale – dice il commissario- smentisce nel modo più categorico tali insinuazioni, non vere e diffamatorie, ribadendo il proprio costante, e gia’ dimostrato, impegno ad operare secondo le prescrizioni di legge ed i migliori standards di mercato“.

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Giudiziaria

Don Rugolo condannato anche in Appello

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Tre anni di reclusione: è la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Caltanissetta che ha condannato don Giuseppe Rugolo, il sacerdote ennese accusato di violenza sessuale su minorenni. I giudici hanno applicato l’attenuante della tenuità del fatto per due delle vittime individuate, rideterminando la sentenza di primo grado che era stata di quattro anni e sei mesi.

L’impianto dell’accusa ha retto anche in appello, come la credibilità del giovane archeologo Antonio Messina, sulla cui denuncia è stato incardinato il processo. La Corte d’appello ha estromesso la diocesi di Piazza Armerina dalla responsabilità civile

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Giudiziaria

Sentenza amianto killer: difesa condannata

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Roma – Amianto killer nelle navi della Marina: la Difesa condannata in via definitiva a risarcire 400mila euro la famiglia di Michele Cannavò morto di mesotelioma.

La vittima è stata esposta senza protezione per 34 anni nei cantieri e sulle navi .

Una nuova, pesante condanna, appena passata in giudicato, quindi definitiva, per il Ministero della Difesa: il Tribunale Civile di Roma ha stabilito un risarcimento di circa 400mila euro in favore dei familiari di Michele Cannavò, motorista navale della Marina Militare, deceduto a causa di un mesotelioma pleurico provocato dall’esposizione prolungata all’amianto.

Cannavò, originario della provincia di Catania, e residente a Siracusa, ha servito per 34 anni lo Stato tra il servizio militare e civile, operando in ambienti contaminati e privi di adeguate protezioni. Imbarcato su diverse unità navali – tra cui la Nave Albatros e il MOC 1201 – e impiegato nell’Arsenale Militare di Augusta, è stato quotidianamente a contatto con fibre di amianto: nei motori, nei corridoi, nei rivestimenti delle condotte, fino agli stessi ambienti di vita delle navi.

Un’esposizione continua, intensa e silenziosa, che gli è costata la vita. La diagnosi è arrivata nel 2019. La morte, appena due mesi dopo.L’INAIL ha riconosciuto il nesso causale tra l’infermità e le mansioni svolte in Marina, nel periodo del servizio civile. Una conferma ulteriore della gravità della negligenza istituzionale.

“Finalmente giustizia per la famiglia Cannavò” – commenta Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale dei familiari – “Questo risarcimento non potrà restituire Michele ai suoi cari, ma rappresenta un passo in avanti verso la tutela delle vittime e la bonifica definitiva dell’amianto da navi e arsenali militari.”

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Giudiziaria

Inchiesta Camaleonte: assolti gli imprenditori Luca e il dirigente di polizia Giudice

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Cade in primo grado l’impianto dell’inchiesta Camaleonte che ha coinvolto gli imprenditori Luca accusati di rapporti con clan mafiosi.

Il presidente del collegio penale Miriam D’Amore ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Sono stati assolti il fondatore del gruppo Salvatore Luca, il figlio Rocco, il fratello Francesco, il genero Francesco Gallo, la moglie Concetta Lo Nigro, la figlia Maria Assunta Luca e la cognata Emanuela Lo Nigro. Tutti gli imputati hanno  respinto sempre l’accusa di legami con la mafia. I Luca si sono dichiarati, invece, vittime e hanno sostenuto che il loro patrimonio era frutto del lavoro. Lacrime,commozione e abbracci tra i componenti della famiglia Luca alla lettura del dispositivo di sentenza.

E’ stato assolto anche il dirigente di polizia Giovanni Giudice, che ha rinunciato alla prescrizione maturata. Era accusato di aver favorito i Luca, tesi sempre respinta.

La prescrizione, con esclusione dell’unica aggravante, è stata decisa per l’ altro poliziotto coinvolto Giovanni Arrogante. 

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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