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“La morte di Carnevale” al teatro Antidoto

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Di scena al teatro Antidoto la commedia tratta dal teatro di Raffaele Viviani, ‘La morte di Carnevale’ riadattata da Galle’.

La storia si svolge nel 1928 . Il protagonista è Pasquale Capuozzi, detto Carnevale, per la sua stazza molto grossa. Carnevale è usuraio, presta i soldi con interessi del 300% persino al nipote Rafele, o spesso non li nega, come al Cantante o a Don Gennaro. Carnevale tempo addietro aveva assunto come domestica ‘Ntunetta, una giovane che in seguito è restata in casa di Carnevale, diventando quasi una moglie. Carnevale accusa un malore al cuore dopo un litigio con il nipote sempre per la ragione del prestito del danaro, e ‘Ntunetta e Rafele da una parte provano dispiacere, ma dall’altra sono felici per l’eventuale eredità che il vecchio potrebbe lasciare loro. Si susseguono una serie di scene esilaranti che vedono come protagonista il vecchio avaro, come ad esempio l’arrivo dei becchini prima della sua morte: poco prima di morire Carnevale, infatti, si mostra pentito per i peccati commessi in vita, ed è disperato con il nipote, al quale confessa tutte le sue malefatte, come la morte della figlia, della vera moglie, e soprattutto le grandi somme di danaro prestato, incassato in seguito con interessi altissimi. Carnevale fa il testamento e muore.

Il nipote Rafele, speranzoso di aver avuto una buona eredità, si è dedicato a spese folli accumulando debiti per 400-500 lire. Segue la scoperta del testamento di Carnevale che alla fine si rivela inutile per ‘Ntunetta e Rafele, che avevano progettato, alla morte di Carnevale, di sposarsi, unendo le due eventuali somme di eredità. Il testamento recita, invece, solo: “Trenta lire al mese a ‘Ntunetta. E tutto il resto alle opere pie”.

Rafele capisce che lo zio ha voluto fare una buona azione prima di morire, rovinandolo a causa dei debiti nel frattempo accumulati. Nonostante questo, Rafele e ‘Ntunetta decidono lo stesso di sposarsi, e Ntunetta sulla fine del secondo atto rivela che aveva conservato centomila lire, quando era giovane, per assicurarsi la vecchiaia, con ovvia soddisfazione di Rafele.

Don Andrea o Federico ‘o tranviere disturbano la quiete di ‘Ntunetta raccontando storie di morti, di spiriti e di anime vaganti. La rivelazione del terzo atto, nonché di tutta la commedia, è l’arrivo del custode del Cimitero che rivela a ‘Ntunetta che la bara deposta al cimitero, dalla quale sembravano provenire dei sinistri rumori, era stata aperta per sincerarsi che Carnevale fosse veramente deceduto. All’apertura del feretro si scopre l’errore: Carnevale è ancora vivo, e la finta morte manda a monte i piani di ‘Ntunetta e di Rafele.

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Spettacolo

Angelo Famao torna sull’Isola dei famosi – video

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Angelo Famao ci ha ripensato e a soli due giorni dalla decisione che sembrava irrevocabile, torna sull’isola.

Ecco le sue dichiarazioni nel link:

https://www.facebook.com/share/p/1APEiUTWZF

“Non posso giocarmi tutto dopo i sacrifici che ho fatto per stare qui – ha detto Famao – quindi torno sull’isola”. Ne ha parlato con la produzione che ha compreso il disagio e lo ha accolto.

L’Isola dei Famosi stava per perdere due concorrenti. Angelo Famao e Leonardo Brum avevano deciso di abbandonare il reality, ma in un secondo momento entrambi i concorrenti hanno deciso di tornare sui loro passi.

A Gela i suoi fans avevano recepito con disappunto la notizia dell’abbandono. Adesso saranno contenti.

Dunque si sono uniti nuovamente con il gruppo dei giovani. Anche Antonella Mosetti dopo un momento di sconforto è stata convinta a restare in gioco.

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Cucina

Sgombro all’Archestrato, la proposta dello chef Totò Catania

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Oggi vi presento uno dei miei piatti più iconici, legato al territorio ed alla sua storia: lo sgombro all’Archestrato. Archestrato visse a Gela nell’antichità, secoli prima della nascita di Cristo. Egli fu il primo gastronomo della storia e della sua opera letteraria, tradotta col titolo “il poema del buongustaio”, una sorta di guida Michelin dell’antichità, ci sono pervenuti solo dei frammenti. In uno di essi Archestrato racconta il modo migliore, a parere suo, di preparare lo sgombro.

Bisogna condirlo con erbe mediterranee e olio d’oliva, avvolgerlo in foglie di fico e cuocerlo sotto la cenere. Dunque dopo aver preso un bello sgombro lo sfilettiamo lasciando le due estremità della coda attaccate (per un vezzo puramente estetico) e lo spiniamo per bene. Lo mariniamo con dell’olio evo affumicato, del sale, del pepe nero ed un mix di erbe fresche tritate: rosmarino, salvia, timo, alloro, maggiorana. Le erbe le metteremo all’interno dei due filetti che poi chiuderemo a libro, in modo che il calore non andrà a bruciarle. Cuoceremo lo sgombro per sette minuti a 220 gradi con forno ventilato, fin quando non sarà ben arrostito. Andremo a creare l’effetto visivo della cenere con un crumble al nero di seppia.

Mescoleremo della farina, del burro, un pizzico di sale, poco parmigiano reggiano grattugiato ed il nero di seppia, realizzando delle briciole che andranno in forno a 170 gradi per circa 20 minuti. Una volta raffreddato lo sbricioliamo a mano per avere una finta cenere saporita. Accompagneremo il pesce con una cipolla rossa in agrodolce ed una salsa vellutata al limone e senape selvatica che avremo realizzato con gli scarti nobili del pesce. La salsa vellutata è una preparazione un po’ elaborata, ne approfondiremo la ricetta in un articolo a parte. Il risultato è davvero eccezionale. Il sapore deciso dello sgombro viene bilanciato dalla dolcezza della cipolla e dalla piacevole acidità della salsa, il crumble dà la parte croccante e raccoglie la salsa, noi suggeriamo di prendere un boccone con tutte e quattro le componenti del piatto. Questo piatto è al momento inserito nella carta del menù di Sabìa, dunque se siete curiosi di provarlo lo troverete per tutta la durata della primavera. Chissà cosa ne penserebbe Archestrato di questa rivisitazione.

Chef Totò Catania

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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

Il Popolo della Famiglia accoglie con gratitudine e gioia papa Leone XIV

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Riceviamo e pubblichiamo una nota a firma del segretario nazionale del Popolo della Famiglia Nicola Di Matteo

Roma – In illo uno unum_ …. questo il motto che ispira il pontificato del Papa di Maria” dichiara Nicola Di Matteo, Segretario Nazionale e Presidente pro tempore del Popolo della Famiglia – Noi, militanti dell’unico partito che si ispira esplicitamente alla Dottrina sociale della Chiesa, non possiamo che essere colmi di gratitudine allo Spirito Santo e alla Chiesa che ci donano un papa che già nel nome sceglie di collocarsi nella scia di Leone I e Leone XIII, i più significativi pontefici che, con questo nome, sono stati baluardi della spiritualità ma anche molto attenti alle esigenze della materialità”.

“La piazza gremita – prosegue Di Matteo- ha recitato con il suo papa la preghiera baluardo della nostra fede. Sottolineare il ruolo di Maria, nella straordinaria coincidenza della celebrazione della Madonna di Pompei che rimanda al 7 ottobre, commemorazione della vittoria di Lepanto, non può che rinfrancarci e commuoverci. Maria è con noi, si prende cura di noi, Lei cui nel maggio del 2016 ci siamo affidati nella Sua cattedrale di Santa Maria Maggiore.

Non poteva esserci inizio migliore per un pontificato che si apre richiamando al nostro inquieto presente la promessa di pace che Gesù Risorto spalanca ai Suoi discepoli, intimoriti e confusi. Promessa che siamo pronti ad onorare proseguendo la Santa Battaglia per la quale invochiamo anche la protezione di San Michele Arcangelo, della cui prima apparizione ieri ricorreva l’anniversario.

Il PdF è pronto a seguire papa Leone XIV che nel suo stemma ha voluto richiamare la devozione a Maria ma anche al Sacro Cuore di Gesù. Questi fortissimi riferimenti devozionali, uniti all’appello ad una unità portatrice di pace, poggiano saldamente sulla difesa della Vita che papa Leone, già da cardinale, ha ripetutamente ribadito.Dal concepimento alla fine naturale, schierato dalla parte dei più debili, anziani, disabili, malati accanto ai migranti, certamente, ma partendo dai più prossimi. Su questi principi poggia il servizio di ciascun militante del PdF. Alla Vergine e al Santo Padre affidiamo nuovamente il nostro operato pronti ad essere missionari in politica e nella vita”.

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