All’indomani dello sciopero generale e dopo due anni di pandemia non ancora superata la Cgil conduce una disamina della situazione generale che, con l’attuale esplosione dei contagi non promette nulla di buono in termini di economia.
Due anni di disagi non hanno fatto comprendere a chi ci governa – scrive la Segretaria Generale Rosanna Moncada ed Angelo Polizzi segretario della FpCgil –
le fratture sociali grandissime nel Paese reale; il Paese al quale la politica si rivolge è una parte più piccola e più ristretta di interessi e di persone sempre più lontana dai cittadini. Con la nostra grande iniziativa che è stata lo sciopero del 16 Dicembre abbiamo voluto segnalare al governo che bisogna fare attenzione, le politiche che si stanno mettendo in campo non rispondono ad esigenze reali di ricostruzione e di ripresa del nostro Paese. E se pensiamo appunto alla grande emergenza sanitaria e a ciò che stiamo vivendo in questi giorni nelle nostre strutture ospedaliere, completamente travolte dall’aumento dei contagi, dalle lunghe attese al Pronto Soccorso, dall’accorpamento dei reparti o mancate aperture di centri di assistenza, nel nostro territorio, basti pensare alla paventata apertura del Centro Diurno per l’autismo a Gela, abbiamo di fronte una situazione che ci obbliga a fare una riflessione. Sappiamo che il fondo sanitario si implementerà di 2 miliardi ma le Regioni quest’anno hanno speso 5 miliardi e mezzo di spese COVID, e con solo 2 miliardi in più si dovrebbe fare tutto: rinnovare i contratti, assumere i precari, continuare a gestire la rete COVID di protezione delle persone e garantire i livelli di assistenza. E’ chiaro che quei due miliardi non bastano e noi come Organizzazione Sindacale chiediamo di fare una scelta politica di finanza pubblica e togliere le spese COVID dai bilanci, nettizzare le spese COVID e
consentire alle Regioni di fare un piano di ammortamento e considerarle come spese straordinarie che non entrano nella contabilità e nel bilancio dell’anno in corso.
Altrimenti ci ritroveremmo davanti alla prospettiva di ridurre i servizi ai cittadini o bloccare le assunzioni dei precari perché le Regioni non hanno spesa corrente liberabile per aumentare la spesa del personale. Saremmo al paradosso, perché si sono prorogati i criteri della Madia, si sono incluse in questa legge di bilancio delle norme in deroga che ci consentono di stabilizzare, anche quei lavoratori che sono precari nel
COVID e che non avevano i requisiti, quindi non avremmo un ostacolo normativo, anzi, in prospettiva la possibilità di assumere in maniera implementare in coerenza con i piani dei fabbisogni, ma questo è il paradosso, rischiamo che e a causa delle spese aggiuntive COVID le Regioni vedano il rischio di rientrare in una prospettiva di piani di disavanzo.
Quindi dopo una serie di sacrifici imponenti fatti pagare ai cittadini per superare l’emergenza sanitaria ci troviamo di fronte ad una emergenza occupazionale reale che mina le fondamenta sistema sanitario pubblico, che è forte grazie alle competenze professionali degli operatori ma fragilissimo dal punto di vista organizzativo. Chi cura la nostra salute sono le competenze delle persone infatti bisognerebbe mettere in valore il lavoro
di chi opera in sanità ma, nel Paese, tutte le strutture di rete: la sanità territoriale, le Cure Primarie, la salute mentale, la rete ospedaliera l’emergenza urgenza sono tutte fragili. Quindi se il PNRR deve servire a qualcosa deve servire a consolidare queste reti utilizzando quel criterio che a livello nazionale abbiamo presentato al
Ministro Speranza il 10 ottobre del 2020 ossia: cura vuol dire prevenzione, acuzie, medicina di iniziativa ma anche riabilitazione vuol dire un progetto complessivo di presa in carico della persona. Le cure devono essere di prossimità quindi più territorio ma un territorio diverso da quello che noi conosciamo che non sono i distretti ma le case della comunità.
Il problema è questo noi rischiamo di avere tante case abitate da nessuno, né dai lavoratori perché non possiamo assumere e nemmeno abitate da cittadini perché non troveranno una soluzione adeguata rispetto ai bisogni che continueranno a gravare su un sistema sanitario che rischia di essere inappropriato, la risposta
che non solo può essere quella ospedaliera o quella del medico di medicina generale.
Noi rischiamo, pur avendo miliardi di euro a disposizione di rendere la scommessa del PNRR vana, perché adesso non stiamo costruendo quelle condizioni che ci consentano di fare in modo che il lavoro trovi risposta nella prima infrastruttura che serve al nostro: il sistema sanitario nazionale. Risposta che noi vogliamo sia pubblica .
Altrimenti rischiamo di trovarci di fronte ad una realtà ben precisa: il pubblico costruisce infrastrutture e il privato che fa profitto su servizi di interesse generale su beni fondamentali .
Ma questo vale non solo per la sanità, ma anche per l’istruzione le politiche attive .
Se non si assume nei centri per l’impiego se non si ridanno le funzioni alle province tutta la partita che riguarda le politiche attive sarà appaltata al privato.
Questo non ce lo possiamo permettere!
E’ in questi giorni che stiamo al livello centrale cercando di rinnovare i Contratti ma noi vogliamo un contratto che risponde al sacrificio delle lavoratrici e dei lavoratore un contratto che sulla scia dell’innovazione deve rispondere nello Stato, negli Enti Locali alla sfida della digitalizzazione e nella Sanità alla sfida della trasformazione dei modelli assistenziali e noi dobbiamo dare strumenti attraverso la contrattazione per governare e migliorare l’organizzazione del lavoro, un contratto che dia risposte immediate a decine di migliaia di lavoratori medici, farmacisti, infermieri, biologi, fisioterapisti tecnici sanitari, OSS tutti quei professionisti in grado di garantire una risposta sanitaria pubblica, universale e corrispondente alle esigenze sanitarie del nostro territorio”.