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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

La chiesa e il problema del riconoscimento

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Dall’architetto Roberto Loggia, riceviamo e pubblichiamo

“In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.

E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.”. Si tratta del capitolo 16 del Vangelo secondo Matteo, segnatamente dei versetti da 13 a 18, in cui si narra del Signore Gesù che, dopo aver compiuto prodigi, guarigioni, esorcismi e resurrezioni, si trova, un giorno, con i suoi discepoli fuori della Terra Santa, esattamente a Cesarèa, in un luogo ritirato. Gesù approfitta di quel momento per chiedere loro ciò che la gente pensa e dice di Lui.

I dodici gli riferiscono allora tutte le opinioni che avevano raccolto in giro, le più disparate: per alcuni era Giovanni il Battista risorto, per altri il profeta Elia, per altri ancora Geremia.Il popolo era dunque parecchio confuso riguardo alla sua identità, ma in questa confusione si può cogliere comunque un tratto comune: le considerazioni su di Lui erano state, tutte, positive.Insomma il giudizio popolare era sicuramente positivo ma nessuno aveva ancora compreso che Lui, Gesù, fosse il Figlio di Dio, Dio stesso: quel riconoscimento sarebbe venuto invece qualche istante dopo da uno dei Suoi discepoli.

Quando si rivolgerà infatti verso di loro per chiedere: «Ma voi, chi dite che io sia?» gli risponderà prontamente Pietro, affermando: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.Il popolo aveva conosciuto ed apprezzato Gesù per le Sue gesta e per la Sua predicazione ma non era stato ancora in grado di attribuirgli la Sua reale e regale identità; i suoi discepoli, invece lo riconoscono come Figlio di Dio. Quella di Pietro è la risposta che Gesù attendeva e che Gesù stesso certifica a Pietro essere segno di beatitudine per il discepolo (“Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli…”.).

Al popolo sarebbe stato dato di riconoscere Gesù in un secondo momento, dopo che avrebbe istituito la Sua Chiesa, guarda caso fondandola proprio su colui il quale, per primo, lo aveva riconosciuto: lo stesso Pietro.Gesù, che leggeva nei cuori e nei pensieri però non avrebbe avuto necessità di sentirselo dire: sapeva già che Pietro lo avrebbe riconosciuto, ma ha voluto comunque dargli modo di esprimere il suo riconoscimento come atto salvifico e professione di fede ed è a partire da quel riconoscimento, da quell’attestazione, che Dio ogni giorno, come per Pietro anche per noi, ci garantisce beatitudine ed amicizia con la Sua Persona e con quella del Padre.

Questo brano del Vangelo di Matteo ci fa quindi comprendere il valore immenso del riconoscimento: riconoscere l’identità, i valori, le qualifiche ed anche i titoli del nostro prossimo è, similmente, anche la base delle relazioni umane qualificate e qualificanti.Oggi la Chiesa sta vivendo una delle fasi più buie della propria storia bimillenaria ed alla base di questa crisi c’è anche un problema di riconoscimento.

Una parte sempre più consistente del Popolo di Dio, dei fedeli, non riconosce più Francesco come Papa; non lo riconosce tale, sia in relazione alle “innovazioni” che egli sta cercando di apportare alla morale e alla tradizione della Chiesa che, da ultimo, anche a dei presunti profili di invalidità delle sue elezioni. Sono oramai davvero tanti i fedeli, i sacerdoti ed anche alcuni vescovi che asseriscono che il suo predecessore, Benedetto XVI, non avrebbe, in sostanza, rinunciato al Papato e ciò avrebbe reso abusivo il Conclave con cui è stato eletto Francesco e quindi nulla ed invalida la sua elezione.

A sostenere questa tesi peraltro sono oggi diverse personalità del mondo cattolico, insigni giornalisti e noti giuristi (avvocati e magistrati) che affermano che alla base della rinuncia di Papa Ratzinger ci sarebbero state delle pressioni a seguito delle quali egli avrebbe deciso di dare le dimissioni in maniera soltanto apparente, o comunque imperfetta, e cioè dichiarando di rinunciare al solo “ministerium” (l’esercizio pratico del papato) ma trattenendo il “munus” (ossia l’investitura divina) per porsi così, di fatto “in sede impedita”, come previsto dall’art. n. 335 del Codice di Diritto Canonico.

Tra l’altro l’atto canonico con cui egli avrebbe manifestato l’intento di voler abdicare sarebbe anche inesistente in quanto privo dei requisiti propri di una vera e propria rinuncia e risulterebbe soltanto una mera dichiarazione (titolata da Benedetto XVI appunto “declaratio” mentre, invece, avrebbe dovuto chiamarsi “renuntiatio”) che avrebbe iniziato ad avere efficacia in un momento posteriore (e cioè alle ore 20 del 28 febbraio 2013) rispetto a quello di effettiva promulgazione (avvenuta l’11 febbraio 2013). E ciò basterebbe, a dire dei canonisti e dei giuristi, a rendere inesistente l’abdicazione.

A sostegno della loro tesi questi prelati e studiosi evocano il combinato disposto degli articoli 76 e 77 della Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis che, richiamando l’art. 332 comma 2 del Codice di Diritto Canonico, prevede che l’atto di rinuncia del Sommo Pontefice, per risultare valido debba contenere l’espressa rinuncia sia al munus che al ministerium e che se ciò non si verifica (come appunto nell’atto con cui Ratzinger ha dichiarato di voler rinunciare al papato) l’elezione del Papa che succede al rinunciatario è nulla e invalida “…senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito.”.Così facendo Ratzinger sarebbe rimasto Papa e questa sarebbe la ragione per la quale egli non avrebbe mai smesso d’indossare la talare bianca, di impartire le benedizioni apostoliche ed, in alcune pubblicazioni, di firmarsi come Sommo Pontefice.

Ci ri riferisce ad esempio al libro “I sacramenti. Segni di Dio nel mondo”, pubblicato il 24 ottobre 2019 ed in cui Benedetto XVI, di suo pugno, si è firmato con la sigla PP, propria dei pontefici regnanti. Le personalità convinte del permanere del papato di Ratzinger anche dopo la sua rinuncia al solo ministerium, sostengono inoltre che la figura del “Papa Emerito”, attribuitagli, in realtà non esiste nelle leggi canoniche della Chiesa e quindi il papato emerito sarebbe una trovata per tentare di spiegare al mondo il perché Benedetto XVI avrebbe continuato a comportarsi da Papa pur non essendolo più (almeno apparentemente).

Questi sacerdoti e questi prelati –è bene precisare- non hanno mai contestato il papato inteso come istituzione fondativa della Chiesa ma hanno soltanto sollevato il dubbio che l’attuale Pontefice possa essere stato eletto secondo una procedura non proprio regolare. E dicono di averlo anzi fatto proprio per difendere la sede petrina. Oggi sono almeno undici i sacerdoti che hanno sposato in toto, hanno proclamato e spiegato la tesi per la quale il Cardinale Bergoglio non sarebbe mai stato validamente eletto Papa e quindi che il soglio petrino sarebbe vacante dalla data della morte di Benedetto XVI e cioè dal 31 dicembre 2022. Non riconoscendo Francesco come Papa celebrano la Messa non in unione con lui ed in vetus ordo (in latino) senza menzionarlo. Nove di essi si sono costituiti in un gruppo denominato Sodalizio Sacerdotale Mariano guidato da Don Alessandro Maria Minutella e formato da Fra Celestino della Croce, Don Vincenzo Avvinti, Don Gebhard Josef Zenkert, Don Enrico Bernasconi, Don Pavel Cap, Don Robert Benko, Don Johannes Lehrner e Don Ramon Guidetti.Due invece hanno fatto outing da poco e non si sono associati al Sodalizio: Don Ferdinando Maria Cornet e Don Giorgio Maria Farè, fine teologo appartenente all’Ordine dei Carmelitani Scalzi.

A Don Ferdinando Maria Cornet si deve peraltro la pubblicazione di un testo di estrema validità con cui il Padre ha trattato esaustivamente l’argomento: “Habemus Antipapam – Indagine in onore della verità” e prossimamente pubblicherà anche il libro “Alla ricerca del munus perduto.”Questi sacerdoti risultano oggi in buona parte scomunicati o in attesa della notifica della scomunica, senza, pur tuttavia, che nessuno di loro abbia ricevuto delle contro-argomentazioni in ordine ai manifestati e spiegati profili di invalidità del papato di Bergoglio.Per iniziativa del Dott. Andrea Cionci, insigne giornalista, il 6 giugno scorso è stato depositato, presso il Tribunale Vaticano un apposito ricorso, già regolarmente protocollato e volto ad ottenere il riconoscimento della nullità delle dimissioni di Ratzinger (e quindi della nullità/invalidità dell’elezione di Francesco) che è stato protocollato nei giorni scorsi.

Ad ogni buon conto ed anche a prescindere dai profili di possibile illegittimità del suo papato, si può affermare, e senza timore di smentita, che non esiste nella storia della Chiesa un Papa più controverso di Francesco e ciò fa venire meno il presupposto della cosiddetta “accettazione universale” quale indizio di validità del papato. Ciò che gli si contesta afferisce soprattutto all’esortazione apostolica Amoris Laetitia con cui è stata autorizzata la Santa Comunione alle coppie divorziate e risposate, alla dichiarazione Fiducia Supplicans con cui invece sono state autorizzate le benedizioni alle coppie omosessuali e, da ultimo, anche l’apertura al sincretismo religioso manifestato con l’affermazione per cui le religioni sarebbero tutte uguali. Fra i suoi contestatori si annoverano Mons. Joseph E. Strickland, Vescovo statunitense ed altri tre vescovi che peraltro, già da tempo, si sono espressamente pronunciati apertamente nel senso di aver messo in dubbio la validità dell’elezione di Francesco: Mons. René Henry Gracida, Vescovo emerito del Corpus Christi, Texas, USA, l’Arcivescovo Mons. Jan Paweł Lenga e Monsignor Luigi Negri, Vescovo di Ferrara. Francesco è stato pesantemente contestato anche dall’ex Nunzio Apostolico statunitense Mons. Carlo Maria Viganò che nel luglio 2023 ha fondato l’associazione Exsurge Domine per fornire sostegno al clero, ai laici e ai tantissimi religiosi sospesi, ridotti allo stato laicale o sanzionati dalla gerarchia cattolica a causa delle loro posizioni anti-bergogliane.

Ma in verità i sacerdoti ed i prelati che sin dall’inizio si sono apposti a Francesco sono molti di più di quelli appena. Ci si limita per ragioni di brevità ma si rimanda alle innumerevoli dichiarazioni oramai di dominio pubblico rilasciate, ad esempio, da Mons. Antonio Livi, dal Monaco benedettino Don Enrico Roncaglia e dal sacerdote ecuadoregno Don Ruben Martinez-Cordero.In definitiva sussistono oggi molteplici elementi per i quali ci si può aspettare che qualcuno dei Cardinali non nominati da Bergoglio, mosso da un impulso autenticamene evangelico si chieda “Chi è Francesco?”, metta sul tavolo questa questione e tenendo, e rendendo, conto degli elementi di dubbiezza emersi sulla validità della sua elezione, dia finalmente una risposta satisfattiva e decisiva al popolo di Dio.Nel caso in cui Francesco venisse confermato si scrollerebbe di dosso quell’alone di discredito che oramai serpeggia nella Chiesa; se invece venisse riconosciuta l’invalidità della sua elezione si potrebbe dare alla Chiesa un vero Pontefice per mezzo dell’elezione da parte dei cardinali di nomina pre-2013: quelli nominati da Francesco chiaramente non potrebbero votare perché se l’elezione di Francesco fosse risultata effettivamente nulla ed invalida, per l’effetto lo sarebbero anche le loro nomine.

D’altronde se si considera il principio canonico per cui “Papa dubius, Papa nullus”, per il quale se esiste anche soltanto il dubbio che un Papa non sia stato canonicamente eletto allora questi non è Papa (affermato anche dalla Dottrina: cfr. F. M. Cappello, Summa Iuris canonici, t. I, Roma, 1961, 297), quest’iniziativa sarebbe da ritenere persino un atto dovuto, a beneficio dei fedeli, dell’intera Chiesa e quindi dello stesso Francesco.

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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

La Chiesa, il valore della Messa valida e lecita

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Dall’architetto Roberto Loggia, riceviamo e pubblichiamo

La Messa è l’attualizzazione sacramentale del Sacrificio di Gesù che si realizza in maniera incruenta sugli altari di tutto il mondo. Essa è il culmine ed il centro della vita cristiana per il cui tramite la Grazia sacramentale raggiunge con efficacia il popolo Santo di Dio. Per celebrare una messa validamente occorre che siano rispettate quattro condizioni: la materia, la forma, l’Ordine Sacro e l’intenzione: occorre cioè che il pane sia di frumento e il vino di uva di vite, che siano proferite le parole previste per la consacrazione, che il Ministro che la celebra sia stato regolarmente ordinato ed, infine, che egli voglia effettivamente celebrare Messa. 

Rispettando queste condizioni avviene la Transustanziazione e cioé le due specie (il pane ed il vino) divengono veramente, realmente e sostanzialmente, il Corpo ed il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Questa verità di fede è affermata nel Codice di Diritto canonico, nel Catechismo della Chiesa Cattolica, nel Concilio di Trento e persino negli scritti di San Tommaso. In una parola la Messa è valida ed apporta al fedele che vi partecipa tutta una serie di benefici fra i quali il perdono dei peccati veniali, la consolazione per le anime del Purgatorio, la liberazione dai pericoli e dalle disgrazie più gravi, particolari benedizioni nel lavoro, nella salute ed in genere in tutte le questioni temporali, la protezione di Dio e soprattutto l’Amore di Gesù. Partecipando alle messe nelle feste di precetto, noi fedeli assolviamo, tra l’altro, al terzo comandamento e ci assicuriamo anche una speciale consolazione al momento del trapasso, quando ci presenteremo presso il Tribunale di Dio per il giudizio particolare. 

Si tratta in sostanza dei frutti del sacrificio di Gesù, di cui il numero e la cui grandezza dipendono comunque da un’altra caratteristica della Messa: la sua liceità. La Messa, oltre che valida deve risultare infatti anche lecita, cioè celebrata nell’osservanza di altre norme canoniche o liturgiche e nel rispetto sia formale che sostanziale del rito. Si richiede, ad esempio, che il pane, oltre ad essere di frumento sia anche azzimo (non lievitato, proprio come quello utilizzato dal Signore Gesù all’istituzione dell’Eucarestia) Qualora si celebrasse con pane lievitato la celebrazione risulterebbe valida ma nel contempo anche illecita perché, appunto, celebrata non in perfetta conformità rispetto a quanto previsto dalla Chiesa. 

Similmente per il celebrante, ai fini della validità si richiede che sia soltanto ordinato, per la liceità invece anche che non sia in stato di peccato mortale. Ed eccoci così giunti al punto della questione. Qualche settimana addietro si è posto l’accento sul problema della mancanza di un riconoscimento universale della Chiesa in ordine al papato di Papa Francesco. Si è visto difatti come una frangia sempre più nutrita di fedeli, sacerdoti, vescovi e personalità del mondo cattolico, lo ritiene invalido, sia in relazione ai contenuti dei documenti magisteriali emanati da Bergoglio (talvolta in aperto contrasto con la Dottrina della Chiesa e col Vangelo) che anche agli argomentati profili di inesistenza/invalidità dell’atto canonico con cui Benedetto XVI ha abdicato nel 2013 (la Declaratio), che avrebbe reso nulla ed invalida la consequenziale elezione di Francesco.

Il punto è proprio questo: se Francesco non fosse stato validamente eletto Papa ne risulterebbe inficiata la Messa celebrata in unione con lui? E se si in che modo? Al riguardo si sono espressi diversi uomini di Chiesa e teologi fra cui Padre Giorgio Maria Farè, Padre Fernando Maria Cornet, Padre Franco Brogi, Don Alessandro Minutella, tutti e nove i sacerdoti aderenti al Sodalizio Sacerdotale Mariano ed il giornalista d’inchiesta Dott. Andrea Cionci che, pur non essendo un teologo, può autorevolmente esprimersi sul punto, in forza e sulla base della conoscenza complessiva della questione maturata in quattro anni di indagine e del pool di studiosi che a tal fine lo supporta. 

Si tratta di Ministri di Dio ed insigni personalità che condividono, tutte, l’assunto per il quale il papato di Bergoglio non sarebbe valido ma che pervengono a conclusioni diverse riguardo alla rifluenza che ciò avrebbe sulla Santa Messa. Più nello specifico si sono formate tre, diverse, correnti di pensiero. La prima ha a capo i sacerdoti Farè e Cornet, per i quali la Messa  in unione da Francesco risulterebbe valida ma illecita proprio in ragione del fatto che questi non essendo stato validamente eletto sarebbe, di fatto, un antipapa.

Entrambi affermano che sarebbe quindi preferibile partecipare alle messe non in unione con Papa Francesco, celebrate da essi stessi, nonché dai quegli altri sacerdoti che non riconoscono il papato di Bergoglio (come, ad esempio, quelli del Sodalizio Sacerdotale Mariano). Sia Padre Farè che Padre Cornet però ritengono  che nell’impossibilità di partecipare a tali messe, si può comunque partecipare anche alle messe una cum, in quanto, seppur illecite, risulterebbero comunque valide e l’illiceità nella celebrazione comporterebbe soltanto una minore fruttuosità del Sacramento. 

La seconda scuola di pensiero è rappresentata invece dal Dott. Andrea Cionci e da Don Franco Brogi i quali, come Padre Farè e Padre Cornet, affermano anch’essi che le Messe in unione con Papa Francesco sarebbero illecite ma arrivano, però, ad una diversa conclusione: vanno evitate. La loro illiceità sarebbe già un vizio tale da suggerire una prudente astensione. Don Brogi, già diversi mesi fa, aveva pubblicamente espresso la sua approvazione verso quei fedeli che si rifiutano di partecipare alle messe in unione con Bergoglio affermando “… che essi non compiono un atto di scisma né un gesto di sfida in quanto il corpo mistico di Cristo, nella sua compagine visibile, non ha a capo alcun sommo pontefice..”.

Quello di tali fedeli- sempre a dire di Don Brogi- sarebbe, al contrario “…un atto di prudenza poiché intendono fuggire il pericolo di assumere ogni corresponsabilità nell’approvare, anche solo implicitamente gli abusi liturgici, gli orientamenti pastorali stravaganti, le norme morali deviati, gli errori dottrinali, ovvero una serie di proposte apertamente contrarie al Vangelo e ai Comandamenti di Dio, purtroppo oramai largamente diffuse in quella che potremmo chiamare la Chiesa sinodale.”. 

Il Dott. Cionci, dal canto suo, non si esprime sulla validità delle messe una cum (anche per lui comunque di certo illecite) e rimette tale giudizio a quello che sarà il pronunciamento del prossimo Papa. Tra l’altro fa appello ad un principio di militanza cristiana per il quale partecipare alle messe in unione con colui che occuperebbe, senza averne diritto, il soglio pontificio, equivarrebbe, nei fatti, ad una sorta di complicità con lo stesso, operata contro il Signore Gesù, il Suo Vangelo e la Sua Chiesa. La terza scuola di pensiero, a cui fanno capo Don Minutella e tutti i sacerdoti del Sodalizio Mariano, si rifà invece al principio, più estremo, per cui la celebrazione dell’Eucarestia in unione con Papa Francesco invaliderebbe certamente ed in toto la Messa, con la conseguenza che in essa non avverrebbe nemmeno la Transustanziazione. A sostegno di tale tesi invocano l’art. n. 39 c. 2 della lettera enciclica Ecclesia De Eucharistia interpretandola nel senso che la Comunione col Sommo Pontefice sarebbe condicio sine qua non ai fini della validità della Messa stessa e quindi, in mancanza, la Messa risulterebbe invalida (in esso si legge che “La Comunione ecclesiale dell’assemblea eucaristica è comunione col proprio Vescovo e col Romano Pontefice.”).

Padre Farè ha dato invece una chiave di lettura diversa di tale norma, in cui –a parere di chi scrive più correttamente- risulta invertito l’ordine dei fattori. Egli cioè afferma che ogni valida Messa esprime la Comunione col Papa, la quale, pur tuttavia non è condizione essenziale per la sua validità. Un altro punto controverso scaturisce dal principio, enunciato da San Tommaso nella sua Summa Teologica, per cui andare a Messa con gli eretici (quale sarebbe Papa Francesco nella visione di alcuni) risulterebbe un atto peccaminoso; atto che pur tuttavia –ha precisato sempre Padre Farè- sarebbe tale solo nel caso in cui l’eresia fosse stata accertata con un pronunciamento ufficiale della Chiesa.

 Al netto di tutte le superiori considerazioni rimane il fatto che secondo il parere di tutte le menzionate personalità, la Messa in unione con Papa Francesco, risulterebbe, nella migliore delle ipotesi illecita, ma –va precisato- soltanto per coloro i quali hanno maturato le consapevolezze del caso: unanime è difatti il parere per cui tutti gli altri godrebbero del Supplet Ecclesia e cioè di quel principio, previsto dai documenti magisteriali della Chiesa, per il quale, in considerazione della buona fede e dell’inconsapevolezza dei fedeli, Dio rende comunque validi e leciti i sacramenti. Su tutto ciò si impone comunque un dato e cioè il consolidamento della tesi per cui Francesco non sarebbe stato eletto validamente Papa; tesi che man mano, tra l’altro, si arricchisce sempre di nuovi elementi come, ad esempio, le ultime risultanze dell’indagine del Dott. Cionci, il quale, su impulso dell’Avv. Costanza Settesoldi e col supporto dei massimi esperti (il Prof. Gian Matteo Corrias ed il Prof. Rodolfo Funari), avrebbe scoperto un fatto a dir poco sconvolgente e cioè che la corretta traduzione, dal latino all’italiano, della Declaratio di Papa Benedetto, qualificherebbe tale atto più come un velato annuncio di sede impedita che come dichiarazione di effettiva volontà di abdicare. Il discrimine lo determinerebbe il termine “commissum”, chiaramente pronunciato da Papa Benedetto durante la lettura della sua Declaratio (si può facilmente verificare in rete ascoltandola), ma erroneamente tradotto negli scritti come “commisso”.

Emendando la traduzione sulla base di tale correttivo il passaggio in esame verrebbe ad essere il seguente: “Per cui ben consapevole di quest’atto dichiaro in piena libertà di rinunciare a mio danno al ministero di Vescovo di Roma, successore di San Pietro, a causa del misfatto (commissum) di un manipolo di cardinali nel giorno 19 aprile 2005…”. In sostanza Papa Benedetto sarebbe stato vittima di un complotto con il quale, nel 2005, sarebbe stato designato per mezzo di alcune “manovre” del conclave come figura di transizione che però ad un certo punto si sarebbe dovuto dimettere per lasciare il posto ad un altro candidato. Ciò è quanto sarebbe emerso da una disamina incrociata della biografia del Card. Dannels del 2015, delle dichiarazioni rilasciate a Limes nel 2009 da un ignoto Cardinale che avrebbe partecipato al Conclave nel 2005, nonché dai contenuti del libro-intervista di Papa Francesco El Sucesor dell’aprile scorso.

 Rilevanti in tal senso, benché divergenti in alcuni dettagli, risulterebbero anche le dichiarazioni del 27 marzo 2015 di Padre Silvano Fausti (anch’esse rinvenibili in rete), morto il 24 giugno dello stesso anno. Nei giorni scorsi Padre Giorgio Maria Farè, parlando dei tanti commentatori, dei vescovi e delle personalità del mondo cattolico che, pur ritenendo valido il papato di Bergoglio ne criticano apertamente, e talvolta anche aspramente, le “innovazioni”, ha evidenziato come tale condotta implichi la violazione del Canone n. 752 (per il quale “…un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi…”). Egli ha inoltre messo in luce la gravità dell’operato di quei sacerdoti che, pur riconoscendo Francesco come Papa, si rifiutano di applicare Amoris Laetitia e Fiducia Supplicans e quindi di benedire le coppie gay e dare la Santa Comunione ai divorziati e risposati. Il Padre ha sottolineato che queste condotte si traducono, entrambe, nei fatti, stanti le norme di diritto canonico vigenti, in un disconoscimento sostanziale della validità del papato. Insomma il dramma insito nel dubbio che alla guida della Chiesa non vi sia un Papa validamente eletto si fa sempre più fitto ed atroce, ed in questo scenario va prendendo corpo un’altra suggestiva ipotesi formulata dal Dott. Cionci: la possibilità che tutto si stia svolgendo sotto il controllo di una parte di Chiesa legittima che, posta al vertice, abbia consapevolezza della questione e quindi stia in qualche modo “regolando” l’operato di Francesco, forse nella prospettiva di un prossimo intervento. 

Intanto Padre Giorgio Maria Farè, ogni sera, dal suo canale youtube, avendo avuto annunciata una possibile scomunica, continua a proclamare la sua fedeltà e la sua obbedienza alla Santa Chiesa di Dio ed implora la Autorità Ecclesiastiche di avere spiegato dove avrebbe errato nell’analisi che lo ha condotto, dopo quattro anni di studi, a ritenere che Francesco non è stato validamente eletto Papa. Sarà esaudito?

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Italia nostra interviene sulla crisi idrica

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Dal presidente regionale di Italia Nostra riceviamo e pubblichiamo


Un senso di insicurezza e di inquietudine, di fallimento pervade la popolazione nissena. Questo, a seguito della gravissima crisi idrica che sta colpendo il territorio della Sicilia Centro-Meridionale e che incide, ogni giorno di più, sulla qualità della nostra vita quotidiana. Questo, anche a causa della indeterminatezza, dell’atteggiamento evasivo e sfuggente dell’attuale Giunta comunale. I cittadini hanno rivolto diverse domande, semplici e chiare, inevitabili, al sindaco Tesauro. Le domande che tanti cittadini nisseni si pongono senza riuscire a trovare un senso logico in ciò che sta accadendo. Domande alle quali l’attuale Amministrazione comunale non ha saputo fornire risposte convincenti.
Noi riteniamo che la sinergia tra Regione Siciliana, Cabina di regia della Protezione civile, Enti gestori delle acque e Amministrazione comunale necessiti dell’opportuno coordinamento da parte del Governo nazionale, nelle Persone delle proprie rappresentanze locali, al fine di affrontare in tutti i suoi aspetti un problema che presenta un livello di complessità molto elevato. E’ necessario, come è stato per il Covid, da parte degli attori istituzionali coinvolti, avvalersi di una superiore competenza di tipo logistico che possa garantire soluzioni efficaci, efficienti, eque e trasparenti che, allo stato delle cose, non possono più essere procrastinabili.

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Tenutella ancora nel fango e i residenti insorgono

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Riceviamo e pubblichiamo una nota dei residenti di contrada Tenutella che chiedono l’intervento delle istituzioni dopo le avverse condizioni atmosferiche del 19 ottobre scorso.

Una situazione drammatica quella della viabilità in contrada Tenutella, dopo il nubifragio avvenuto tra la notte del 18 e 19 ottobre e la totale indifferenza dimostrata dalle autorità competenti, che, a oltre venti giorni dall’accaduto, non hanno ancora avviato gli interventi necessari al ripristino della normale percorribilità e sicurezza del territorio, sono alla base della decisione assunta il 26 ottobre scorso dai proprietari delle abitazioni della zona di convocare un incontro finalizzato a intraprendere tutte le azioni necessarie affinché le istituzioni adottino provvedimenti concreti per garantire la sicurezza e l’incolumità, sia pubblica che privata.

Il fenomeno dello sversamento di detriti e fango, originato dai corsi d’acqua Rizzuto e Comunelli, che delimitano il territorio di Tenutella – situato nel Comune di Butera ma al confine con quello di Gela – ha provocato danni ingenti e l’isolamento di numerose famiglie residenti. Il comitato dei residenti ha segnalato che, in caso di nuove avversità atmosferiche, si renderà necessario l’intervento dei Vigili del Fuoco e delle squadre del gestore elettrico, al fine di tutelare la sicurezza e l’incolumità, come già avvenuto nella notte del 19 ottobre scorso.

L’incontro, che ha visto una partecipazione intensa e un clima di grande preoccupazione, ha posto al centro del dibattito la gravissima difficoltà di accesso alle proprietà private in condizioni di sicurezza. Ad oggi, l’unico intervento da parte del Comune di Butera si è limitato a una parziale rimozione di fango e detriti lungo alcune arterie viarie della zona, ma nessuna misura concreta è stata adottata per prevenire il ripetersi del fenomeno, che appare tanto più urgente in vista della stagione invernale.

Il manto stradale in diverse aree è ancora ricoperto da fanghiglia, che, con le prime piogge, compromette la sicurezza delle vie di accesso e rende impossibile l’ingresso alle abitazioni.I partecipanti all’incontro hanno unanimemente concordato sulla necessità di un maggiore coinvolgimento delle istituzioni locali e regionali, al fine di monitorare con attenzione l’evoluzione dei provvedimenti in corso.

Qualora non vi fosse un’interlocuzione adeguata o provvedimenti concreti, i residenti hanno espresso la ferma intenzione di intraprendere, con la massima determinazione, ogni azione utile e incisiva nei confronti delle autorità competenti, affinché questa gravissima emergenza venga affrontata con la priorità e l’urgenza che la situazione richiede.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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