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La parola della domenica

Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce

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Rubrica ad ispirazione religiosa

Dal vangelo di Matteo 17, 1-9

‘In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”.
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”.

“Da questo episodio della trasfigurazione vorrei cogliere due elementi significativi – diceva papa Francesco –, che sintetizzo in due parole: salita e discesa. Noi abbiamo bisogno di andare in disparte, di salire sulla montagna in uno spazio di silenzio, per trovare noi stessi e percepire meglio la voce del Signore. Questo facciamo nella preghiera. Ma non possiamo rimanere lì! L’incontro con Dio nella preghiera ci spinge nuovamente a “scendere dalla montagna” e ritornare in basso, nella pianura, dove incontriamo tanti fratelli appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, ignoranze, povertà materiale e spirituale. A questi nostri fratelli che sono in difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo la grazia ricevuta.

“Gesù: vederti, parlarti! Rimanere così, a contemplarti, inabissato nell’immensità della tua bellezza, senza interrompere mai, mai questa contemplazione! O Gesù, magari ti vedessi! Magari ti vedessi per rimanere ferito d’amore per Te” .Vale la pena insistere quotidianamente su questi tempi di preghiera, facendo compagnia al Signore, con la stessa foga che esprime il salmista: “Io cerco il tuo volto, o Signore. Non nascondermi il tuo volto” (Sal 27, 8-9). La nostra umile perseveranza sarà ricompensata. Mosè terminò con il viso: “raggiante, poiché aveva conversato con lui” (Es 34, 29). E Gesù, che è “Luce da Luce” come confessiamo nel Credo, trasfigurerà anche noi con la sua grazia, affinché la nostra giornata, il nostro lavoro e i nostri rapporti con gli altri siano illuminati dalla presenza di Dio nella nostra anima.

L’espressione di Pietro “Com’è bello qui! Facciamo tre tende” esprime la gioia dell’incontro con Dio. Si riferisce anche alle “dimore eterne” che il Messia avrebbe ristabilito (Lc 16,9) e che gli ebrei commemoravano nella festa delle tende. Pietro vuole aggrapparsi al momento di felicità che quel tempo intimo con Dio gli procura. “Inoltre, la preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni” -ci spiega Benedetto XVI-. “L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio” . La prova evidente che nei nostri momenti di preghiera stiamo ascoltando il Figlio come voce del Padre è che il suo Spirito ci riempie di zelo apostolico per portare la luce di Dio a tutti.

Pablo Edo

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La parola della domenica

“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”

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Rubrica di ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 16,15-20

“In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura»: l’ordine stupendo impresso da Dio nel creato è stato sconvolto dalla scelta di Adamo ed Eva di volere stabilire loro stessi ciò che è bene e ciò che è male. Tutta la creazione è stata sconvolta: violentata dall’uomo è diventata violenta contro l’uomo. Cristo, nuova creatura, ha dato origine a un nuovo rapporto con la creazione. Proponendo Cristo all’uomo, anche la creazione riscopre il suo nuovo modo di essere per l’uomo. L’uomo deve scegliere: accettare Cristo e salvare se stesso e l’universo; o rifiutare Cristo e perdere se stesso e l’universo. 
Dopo avere parlato fu assunto al cielo (letteralmente: “preso su da Dio”, cioè fu ricongiunto al Padre di cui è l’Unigenito). Egli, risorto, è con i suoi che lo annunciano e mostrano in se stessi il cambiamento che la Parola, che è vita, produce. 

Quaranta giorni dopo Pasqua celebriamo l’Ascensione di Gesù in attesa della Pentecoste.
Fino al V secolo vi era un’unica festa perché fu un unico evento. Gesù è morto e risorto, è istantaneamente salito al cielo e rimane in mezzo a noi con lo Spirito Santo. Queste tre feste sono sfaccettature dell’unico evento della Risurrezione.

Gesù aveva bisogno di liberarsi del tempo e dello spazio per poter essere definitivamente presente in ogni angolo del mondo contemporaneamente e per sempre.
Questa modalità è la possibilità che ogni essere umano ha di poter dire: posso incontrare il risorto.
Da quel giorno in Dio c’è un uomo: Gesù di Nazareth

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La parola della domenica

“Amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi”

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Rubrica di ispirazione cattolica

dal Vangelo di Gv 15,15

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Oggi celebriamo l’ultima Domenica prima delle feste solenni dell’Assunzione e di Pentecoste, che chiudono il ciclo Pasquale. Se durante queste Domeniche Gesù risuscitato si è manifestato come il Buon Pastore e come la vite alla quale bisogna rimanere uniti come suoi tralci, oggi ci spalanca le porte del suo Cuore.

Naturalmente, nel Suo Cuore troviamo solo amore. Quello che costituisce il mistero più profondo di Dio e che è Amore. Tutto ciò che ha fatto dalla creazione alla redenzione è per amore. Tutto quello che si aspetta da noi come risposta alle sue azioni, è amore. Per questo, oggi risuonano le sue parole «Rimanete nel mio amore » (Gv 15,9). L’amore vuole reciprocità, è come un dialogo che ci fa corrispondere con un crescente amore il suo primo amore.

Frutto dell’amore è l’allegria: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi» (Gv 15,11). Se la nostra vita non riflette l’allegria di credere, se ci lasciamo affogare dalle contrarietà senza vedere che anche lì, il Signore è presente e ci consola, è perché non abbiamo conosciuto abbastanza a Gesù.

Dio ha sempre l’iniziativa. Ce lo dice espressamente affermando che «io ho scelto voi» (Gv 15,16). Noi abbiamo la sensazione di pensare di aver scelto, però non abbiamo fatto altro che rispondere a un invito. Ci ha scelto gratuitamente per essere amici «Non vi chiamo più servi (…); ma vi ho chiamato amici » (Gv 15,15).

Agli inizi Dio parla con Adamo come un amico parla con un suo amico. Cristo, nuovo Adamo, ha recuperato non solo l’antica amicizia, ma l’intimità con Dio, visto che Dio è amore.

Tutto si riassume in questa parola “amore”. Ce lo ricorda Sant’Agostino: «Il buon Maestro ci raccomanda frequentemente la carità come unico comandamento possibile. Senza la carità tutte le altre buone qualità non servono a nulla. La carità, di fatto, porta l’uomo a tutte le altre virtù che lo fanno buono.

Rev Francesc Catarineu

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La parola della domenica

Io sono il buon pastore

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Rubrica di approfondimento religioso

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10,11-18

“In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio.”

Guidati e illuminati dalla liturgia pasquale, continuiamo a penetrare le «insondabili ricchezze» del mistero di Cristo. In questa Domenica ciò che la parabola del buon pastore vuole mettere in luce è la dedizione del pastore e non la docilità delle pecore, docilità che può evocare passività e conformismo. Gesù non ci invita a rinunciare alle nostre responsabilità, né ci chiama ad una confidenza cieca.

«Io sono il buon pastore» — dice Gesù —: colui che merita di esserlo, in opposizione a tutti coloro che solennemente si proclamano guide dei popoli e che cercano invece potere e successo. Cristo non è il capo che agita le folle. Egli propone a ciascuno quell’intimità unica che unisce lui, il Figlio, al Padre. Egli non adula la buona coscienza del piccolo gregge fedele, volentieri sprezzante delle pecore malate, o condiscendente verso quelle che non appartengono allo stesso pascolo: «Ho ancora altre pecore che non sono di questo ovile…». Gesù stesso ci indica il segno da cui possiamo riconoscere il vero pastore: il dono della vita. Ma non nel modo sempre un pò disperato in cui gli uomini migliori danno la loro vita, perché non possono più tornare indietro senza tradirsi. Solo Cristo può dire: «Nessuno può prendersi la mia vita». All’uomo che faticosamente va incontro alla morte, Cristo rivela la totale libertà del Figlio che solo per amore si offre alla morte per vincerla. A noi, che troppo spesso subiamo il nostro destino e non pensiamo che a schivare i colpi della sorte, Gesù vuole insegnare a capire la nostra vita, ad accogliere le nostre piccole morti quotidiane e la nostra morte finale.

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