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Giudiziaria

Il Tar condanna il Comune per il mancato ricovero di un disabile

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Agrigento – Un disabile agrigentino, richiedeva, tramite il proprio amministratore di sostegno, di essere ricoverato presso un’apposita comunità alloggio, con retta a carico del Comune di Agrigento.
Il Centro di Salute Mentale di Agrigento, tenuto conto della grave patologia da cui il disabile è affetto e dei relativi problemi assistenziali, esprimeva il parere favorevole all’inserimento del medesimo all’interno di una comunità alloggio.
Anche il servizio sociale di Agrigento assentiva alla richiesta del disabile, rilasciando un ulteriore parere positivo al ricovero presso una comunità alloggio del territorio agrigentino. Con la medesima nota veniva peraltro chiarito che, nel caso in oggetto, l’inserimento del disabile in una comunità alloggio appariva necessaria “al fine di garantire per lui un ambiente favorevole che risponde ai sui bisogni primari e attraverso cui promuovere lo sviluppo psico-sociale”.
Alla luce dei superiori pareri, tramite Determinazione, veniva autorizzato il ricovero del disabile presso la cooperativa sociale “Humanitas et Salus”. Tuttavia, il Responsabile dei Servizi Finanziari del Comune di Agrigento, che doveva apporre sulla succitata Determinazione il necessario visto di regolarità contabile, con una nota, esprimeva un parere non favorevole, sostenendo che il comune non avesse la disponibilità finanziaria per l’impegno di spesa derivante dal ricovero del disabile.
A questo punto, vedendosi denegato il diritto all’assistenza sanitaria, il disabile, con il patrocinio degli Avvocati Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia, impugnava innanzi al T.A.R. di Palermo, la nota con la quale, il Responsabile dei Servizi Finanziari del Comune di Agrigento, aveva espresso il parere non favorevole di regolarità contabile. In particolare, gli Avvocati Rubino e Impiduglia, sostenevano in giudizio che l’inserimento dei disabili psichici presso le Comunità alloggio, si colloca all’interno dei c.d. Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), e pertanto, le ragioni di natura economico finanziaria, per quanto rilevanti nel nostro ordinamento, non potrebbero in alcun modo giustificare una così grave lesione del diritto alla salute.

Dunque, secondo quanto sostenuto dai succitati legali, il Comune di Agrigento non poteva rigettare la Determinazione che disponeva il ricovero del disabile, soltanto sulla scorta di motivi prettamente economici, dal momento che, sebbene i diritti sociali a prestazione siano finanziariamente condizionati, tale condizionamento non può incidere sul nucleo indefettibile del diritto alla salute fino a renderlo puramente nominale. Aderendo alle tesi sostenute dagli Avvocati Rubino ed Impiduglia, il T.A.R. di Palermo, ha accolto il ricorso di cui trattasi, ritenendo che “quando l’ente locale, accerta la sussistenza di esigenze terapeutiche indifferibili […] che rendono necessaria l’ammissione al servizio residenziale, non può opporre difficolta finanziarie alla richiesta d’inserimento”, e conseguentemente, per l’effetto dell’accoglimento, ha annullato il parere non favorevole emesso dal Responsabile dei Servizi Finanziari del Comune di Agrigento, condannando, peraltro, il medesimo Comune al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite, liquidate in 2.000 Euro, oltre accesso

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Giudiziaria

Don Rugolo condannato anche in Appello

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Tre anni di reclusione: è la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Caltanissetta che ha condannato don Giuseppe Rugolo, il sacerdote ennese accusato di violenza sessuale su minorenni. I giudici hanno applicato l’attenuante della tenuità del fatto per due delle vittime individuate, rideterminando la sentenza di primo grado che era stata di quattro anni e sei mesi.

L’impianto dell’accusa ha retto anche in appello, come la credibilità del giovane archeologo Antonio Messina, sulla cui denuncia è stato incardinato il processo. La Corte d’appello ha estromesso la diocesi di Piazza Armerina dalla responsabilità civile

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Giudiziaria

Sentenza amianto killer: difesa condannata

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Roma – Amianto killer nelle navi della Marina: la Difesa condannata in via definitiva a risarcire 400mila euro la famiglia di Michele Cannavò morto di mesotelioma.

La vittima è stata esposta senza protezione per 34 anni nei cantieri e sulle navi .

Una nuova, pesante condanna, appena passata in giudicato, quindi definitiva, per il Ministero della Difesa: il Tribunale Civile di Roma ha stabilito un risarcimento di circa 400mila euro in favore dei familiari di Michele Cannavò, motorista navale della Marina Militare, deceduto a causa di un mesotelioma pleurico provocato dall’esposizione prolungata all’amianto.

Cannavò, originario della provincia di Catania, e residente a Siracusa, ha servito per 34 anni lo Stato tra il servizio militare e civile, operando in ambienti contaminati e privi di adeguate protezioni. Imbarcato su diverse unità navali – tra cui la Nave Albatros e il MOC 1201 – e impiegato nell’Arsenale Militare di Augusta, è stato quotidianamente a contatto con fibre di amianto: nei motori, nei corridoi, nei rivestimenti delle condotte, fino agli stessi ambienti di vita delle navi.

Un’esposizione continua, intensa e silenziosa, che gli è costata la vita. La diagnosi è arrivata nel 2019. La morte, appena due mesi dopo.L’INAIL ha riconosciuto il nesso causale tra l’infermità e le mansioni svolte in Marina, nel periodo del servizio civile. Una conferma ulteriore della gravità della negligenza istituzionale.

“Finalmente giustizia per la famiglia Cannavò” – commenta Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale dei familiari – “Questo risarcimento non potrà restituire Michele ai suoi cari, ma rappresenta un passo in avanti verso la tutela delle vittime e la bonifica definitiva dell’amianto da navi e arsenali militari.”

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Giudiziaria

Inchiesta Camaleonte: assolti gli imprenditori Luca e il dirigente di polizia Giudice

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Cade in primo grado l’impianto dell’inchiesta Camaleonte che ha coinvolto gli imprenditori Luca accusati di rapporti con clan mafiosi.

Il presidente del collegio penale Miriam D’Amore ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Sono stati assolti il fondatore del gruppo Salvatore Luca, il figlio Rocco, il fratello Francesco, il genero Francesco Gallo, la moglie Concetta Lo Nigro, la figlia Maria Assunta Luca e la cognata Emanuela Lo Nigro. Tutti gli imputati hanno  respinto sempre l’accusa di legami con la mafia. I Luca si sono dichiarati, invece, vittime e hanno sostenuto che il loro patrimonio era frutto del lavoro. Lacrime,commozione e abbracci tra i componenti della famiglia Luca alla lettura del dispositivo di sentenza.

E’ stato assolto anche il dirigente di polizia Giovanni Giudice, che ha rinunciato alla prescrizione maturata. Era accusato di aver favorito i Luca, tesi sempre respinta.

La prescrizione, con esclusione dell’unica aggravante, è stata decisa per l’ altro poliziotto coinvolto Giovanni Arrogante. 

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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