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La parola della domenica

…il bambino le sussultò nel grembo

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Rubrica ad ispirazione cattolica a cura di Totò Sauna

Lc 1,39-56

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

 Il Vangelo di  Luca si  sofferma sulla nascita di Gesù. Vengono esaltati due momenti o meglio due figure. La prima ci riguarda di persona e coinvolge la nostra Fede. Questo Vangelo può essere considerato un racconto. Un buon inizio. Una buona trama. Una donna , anzi promessa sposa ad un fabbro, resta incinta.  Oggi già è uno scandalo, pensate a quei tempi. Sarebbe potuto diventare un bel film, un bel libro. Quante battuttacce abbiamo raccolto su questo argomento. Cosa fa la differenza tra noi e le battute sciocche ? La nostra Fede. Noi crediamo a Gesù Cristo. La grande differenza sta in questo. Noi abbiamo sperimentato nella nostra vita la venuta di Gesù. Ci sono continue ricerche per collocare storicamente Gesù. In effetti, oggi non si hanno più dubbi sulla presenza storica di Gesù. Gli scritti di Qmran e le ricerche archeologiche danno conferma. Ma è la nostra Fede a dare concretezza alla nascita del Cristo. Io e te fratello o sorella eravamo sbattuti come le canne al vento. Vivevamo come tanti zombie in balia degli eventi. Se oggi piove sono triste, se oggi c’è il sole sono allegro , oggi è presente il collega antipatico non mi va niente. Canne al vento. Da tutti i punti di vista. Abbiamo come tutti cercato qualcosa di solido, di sicuro, di eterno, qualcosa che riempisse il nostro cuore, qualcosa che ci faccia andare al di là di questa vita. Se tutto non ha senso, non una meta, che senso hanno i nostri giorni? Può la vita essere un accumulare ricchezze per gli altri perché comunque lasceremo questa terra? Può essere solo un accumulare preoccupazioni  e crisi? Allora, è venuto Cristo nella nostra vita e tutto e cambiato. Ha dato colore e gioia a tutto. E’ venuto cosi? Sic et sempliciter. No, assolutamente no. Abbiamo fatto un periodo di deserto, cosi chiamato un periodo di riflessione, ci siamo interrogati, abbiamo fatto esperienza di Cristo,abbiamo avuto cadute, ma anche la forza di rialzarci. Abbiamo fatto silenzio. Dentro di noi. Abbiamo ascoltato il nostro cuore. La nostra mente e piano  piano Gesù è nato dentro di noi. Cosa bellissima. E dimora dentro di noi e vive dentro di noi e noi lo testimoniamo, come ? Con la nostra vita. Dovunque e sempre, ed in ogni ambito. Ecco la vera nascita. Ecco, è venuto Gesù. Se poi sia avvenuto, come ci racconta Luca, noi con la Fede ci crediamo. Non ci sono dubbi. Lasciamo spazio a chi, a volte, ci considera ingenui. Ci crediamo perché Cristo è dentro di noi. E’ con noi sempre. Qual è il momento cruciale? Il nostro Si. Il Si di Maria. Da lì cambia tutto e siamo così felici che vogliamo raccontarlo. Come fa Maria ad Elisabetta. E’ il Si di Maria che cambia la nostra vita. Maria è la base della nostra vita. Da duemila anni. Senza di lei, non ci saremmo noi. La seconda figura è quella di Giuseppe. Appare poco nel Vangelo . Lo troviamo in questo brano, in Matteo avrà qualche riga in più, poi si eclissa. Lo vediamo di rado . Non si trova sotto la croce come Maria. Gli evangelisti ci raccontano poco di lui. Ma quello che abbiamo ci basta per capire una cosa importantissima, Giuseppe è l’uomo di Fede. Per eccellenza. Per antonomasia. All’inizio della storia ha qualche dubbio umano. Prevale in lui il sentimento di ciascuno di noi. Ma, poi, nella notte ascolta Dio. Fa l’incontro di Dio. Giuseppe è uno di noi, di me e di voi lettori del Gazzettino,  che fa l’esperienza di Dio. E una volta incontrato Gesù, tutto ha un nuovo significato, tutto è chiaro. Prima tutto era triste, voleva allontanare in silenzio Maria. Poi, tutto diventa luce. Tutto si trasforma, tutto si riempie di bellezza, di gioia. Accetta la storia che Dio vuole fare con lui e Maria. Senza dubbi. Senza perplessità. Si abbandona completamente a Dio e diventa San Giuseppe. Uomo di fede. Silenzioso. Umile. In obbedienza. Un esempio per noi, pronti sempre a prendercela con il Signore. Vorremmo un Dio a nostra immagine e somiglianza. Pronto ad esaudire ogni nostro desiderio. Prendiamo esempio da San Giuseppe. Uomo di Dio

Buona Domenica  

Totò Sauna

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La parola della domenica

“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

“In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».” (Mc. 8,27-35)

Questo passo del Vangelo viene immediatamente dopo il dialogo di Gesù con i suoi discepoli, quando alla sua domanda “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo” (Mt 16, 13), dopo alcuni momenti di silenzio da parte di tutti, Pietro risponde: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16). Un’affermazione che è stata solennemente confermata dal Maestro, il quale, nello stesso tempo, ha ordinato loro di non dire a nessuno che Egli è il Cristo (cfr. Mt 16, 20).

Gli apostoli saranno rimasti impressionati dalla chiarezza con la quale Gesù conferma ciò che essi intuivano, che il loro Maestro era il Messia lungamente atteso, quel discendente di Davide che sarebbe venuto a regnare per sempre, liberando il suo popolo da ogni oppressione. Forse pensavano, come era abituale fra i loro contemporanei, che il regno del Messia sarebbe stata una gloriosa successione di vittorie. Ecco perché Gesù chiarisce loro immediatamente la realtà, parlando loro dei suoi progetti futuri, che consistevano in una serie di sconfitte ben diverse da ciò che essi avevano immaginato. Li avverte che “doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (v. 21).

Anche questa volta è Pietro che prende la parola per esprimere ciò che nessun altro osa dire, e si azzarda a rimproverare il Maestro: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai” (v. 22). Al che Gesù risponde con parole molto severe: “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (v. 23).

Gesù fa riferimento alla Croce e invita i suoi discepoli a seguirlo: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (v. 24). Contro ogni logica umana, la croce non comporta alcuna contrarietà, qualcosa da evitare a ogni costo, ma l’opportunità di stare con Gesù nella sua vittoria. Secondo la logica di Dio, la via che conduce alla vittoria gloriosa sul peccato e la morte passa attraverso la passione e la croce.

Nella sua predicazione san Josemaría ricordava il sogno di un autore classico castigliano nel quale si parlava di due strade. La prima è larga e ben tracciata, ma finisce in un precipizio senza fondo. È la strada che seguono in modo sventato i mondani. “In quel sogno, un altro sentiero si apre in diversa direzione: è così stretto e ripido, che è impossibile percorrerlo a dorso di mulo. Chi lo affronta, procede a piedi, a zig zag, sereno in volto, in mezzo a cardi pungenti e schivando dirupi. In certi passaggi, i viandanti lasciano brandelli delle loro vesti e anche della propria carne. Ma, alla fine, li accoglie un giardino delizioso, la felicità eterna, il Paradiso. È la via delle anime sante che si umiliano, che volentieri, per amore di Cristo, si sacrificano per gli altri; è il percorso di chi non ha paura di andare in salita, addossandosi con amore la croce, per quanto pesante, perché sanno che, se il peso li fa vacillare, potranno rialzarsi e continuare a salire: Cristo è la forza di questi viandanti”.

Il fine di ogni essere umano è raggiungere la felicità; ma la felicità non si ottiene quando si cerca sempre ciò che è più comodo e più desiderabile, bensì quando si ama molto, anche quando l’amore comporta qualche sacrificio. “Quel che occorre per raggiungere la felicità non è una vita comoda, ma un cuore innamorato”, diceva san Josemaría. “Perciò mi piace chiedere a Gesù, per me: Signore, non un giorno senza croce! Così, con la grazia divina, si rafforzerà il nostro carattere, e serviremo di appoggio al nostro Dio, al di sopra delle nostre miserie personali”

Francisco Varo

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La parola della domenica

“Fa udire i sordi e fa parlare i muti”

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Rubrica di ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 7,31-37

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”

Oggi, la liturgia ci porta alla contemplazione della guarigione di un uomo «sordomuto» (Mc 7,32). Come in molte altre occasioni (il cieco di Betsaida, il cieco di Gerusalemme, ecc), il Signore accompagna il miracolo con una serie di gesti esterni. I Padri della Chiesa sono evidenziati in questo fatto dalla partecipazione mediatrice dell’Umanità di Cristo nei Suoi miracoli. Una mediazione che viene fatta in due modi: in primo luogo, l’ «umiliazione» e la vicinanza del Verbo incarnato verso di noi (un semplice tocco delle sue dita, la profondità del suo sguardo, la sua voce morbida e vicina), d’altra parte, il tentativo di risvegliare nell’uomo la fiducia, la fede e la conversione del cuore.

Infatti, la cura dei malati da Gesù va ben oltre al fatto di alleviare il dolore e ripristinare la salute. Va destinata a conseguire con quelli che Egli ama la rottura con la cecità, la sordità, l’immobilità stagnante dello spirito. E, alla fine, chissà se una vera comunione di fede e di amore.

Allo stesso tempo, vediamo che la reazione riconoscente dei destinatari del dono divino è quella di annunciare la misericordia di Dio: «Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano» (Mc 7,36). Essi testimoniano il divino dono, hanno una profonda esperienza con la sua misericordia e sono colmi con una profonda e genuina gratitudine.

Anche per tutti noi è di una importanza decisiva essere coscienti e sentire di essere amati da Dio, essere certi di essere l’oggetto della sua infinita misericordia. Questo è il grande motore della generosità e dell’amore che Egli ci chiede. Ci sono molte forme in cui questa rivelazione si realizza in noi. A volte sarà la improvvisa e intensa esperienza del miracolo e, più spesso, la scoperta graduale che tutta la nostra vita è un miracolo d’amore. In ogni caso è necessario che si diano le condizioni della coscienza della nostra povertà, una vera umiltà e la capacità di ascoltare in modo riflessivo la voce di Dio.

Pbro. Fernando MIGUENS Dedyn

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La parola della domenica

“Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”

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Rubrica di ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 7,1-8.14-15.21-23

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate
la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

p. Ermes Ronchi

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano.
Gesù indirizza la nostra attenzione verso il cuore, quegli oceani interiori che ci minacciano e che ci generano; che ci sommergono talvolta di ombre e di sofferenze ma che più spesso ancora producono isole di generosità, di bellezza e di luce
Gesù veniva dai campi del mondo dove piange e ride la vita, veniva dai villaggi dove il suo andare era un perenne bagno nel dolore.
Dovunque arrivava, gli portavano i malati sulle piazze, sulle porte, li calavano dai tetti. E mendicanti ciechi lo chiamavano, donne piagate di Tiro e da Sidone cercavano di toccargli la frangia del mantello, o almeno che la sua ombra passasse sopra di loro come una carezza.
E ora che cosa trova?
Gente che collega la religione a macchioline, a mani e piatti lavati, a oggetti esteriori, che collocano il male all’esterno e non nell’interiorità.
Gesù, anziché scoraggiarsi, diventa eco del grido antico dei profeti: è dal cuore degli uomini che escono le intenzioni cattive. E inaugura così la religione dell’interiorità, proponendo una radicale “ecologia del cuore”: curare il cuore per guarire la vita.
Il problema centrale è pulire non le mani, ma la sorgente.
Che vuol dire attenzione, premura, terapia intensiva del nostro piccolo Eden interiore, dove nascono i sogni, dove intrecciano le loro radici energie bellissime e generative, piante guaritrici e le spine di vecchie ferite, l’infinito e il quotidiano, attorno all’albero sempre verde della vita.
La nostra sorgente è sana; l’uomo non è cattivo, solo che si sbaglia facilmente. Ma non esiste vicenda umana senza un grammo di luce: perché ogni cosa è “tôv”, bella e buona, illuminata, l’intero creato è un atto d’amore sussurrato.

Che aria di libertà! Apri il vangelo e senti che ti riporta a casa. Senti una boccata d’aria fresca dentro l’afa pesante dei soliti, piccoli discorsi, uno spruzzo d’acqua fresca e buona come l’essenziale.
Qual è la differenza tra superfluo ed essenziale?
Non ho più dimenticato un antico professore che me lo spiegava così: superfluo è tutto ciò che va dalla pelle in fuori; essenziale è tutto ciò che va dalla pelle in dentro. I farisei andavano dalla pelle in fuori: lava, pulisci risciacqua, spolvera. Gesù va dalla pelle in dentro.
Ritorna al tuo cuore: per quasi mille volte nella Bibbia ricorre il termine cuore, che non indica la sede dei sentimenti o delle emozioni, ma il luogo dove nascono le azioni e i sogni, dove si sceglie la vita o la morte, dove si è felici oppure no. Dove ci sono campi di grano e anche erbe cattive.
Gesù vuole evangelizzare il cuore, far scendere vangelo sulle nostre zolle di durezza e sui desideri oscuri.
Tu non concederai loro il diritto di sedere alla tua tavola, non permettere loro di galoppare sulle praterie del tuo cuore, perché tracciano strade di morte.
Evangelizzare significa far scendere sul cuore un messaggio felice, e quello di Gesù ribadisce che la sorgente è pura, ma ha bisogno della tua cura.
Custodisci con ogni cura il tuo cuore,
perché da esso sgorga la vita (Proverbi 4,23)
Bellissimo compito profetico: chiamati tutti a bypassare tanta polvere, tanto fumo, tanta apparenza.

Liberiamo la Parola di Dio dai sequestri anche ecclesiastici, da regoline, da piccolezze polverose che rubano luce al messaggio, e il vangelo ci darà ali per volare su un mondo bello, su un mondo nato buono.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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