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La parola della domenica

Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede …

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Rubrica ad ispirazione cattolica a cura di Totò Sauna

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». Lc 12,13-21

Giorni fa discutevamo con mia figlia sul senso della vita, sul significato dei nostri giorni, del tempo che passa. Possibile che la  nostra vita sia un nascere, vivere e morire? Ma di mezzo cosa c’è? Come utilizziamo questo periodo? E’ stato un dialogo acceso e molto bello. Ecco il vangelo di Luca di questa Domenica ci da la risposta a  questa domanda. Un signore della folla chiede a Gesù di porre giustizia tra lui e il fratello, per questioni legate alla eredità. E Gesù come suo solito non risponde in maniera diretta, ma gira l’ostacolo e porta alla riflessione il suo interlocutore. Ecco il compito di ognuno di noi. Possiamo noi convertire gli altri? Ma quando mai. Il nostro compito è quello di testimoniare. E  attraverso la nostra testimonianza e attraverso la Parola, portare alla riflessione i nostri vicini. Poi, sta al nostro interlocutore aprire il cuore, la sua mente, le sue orecchie a Cristo. Quindi, Gesù gli racconta questa bella parabola. Il Signore ci da una risposta chiara. Non possiamo vivere solo per accumulare ricchezze. Non possiamo vivere solo per avere l’ultimo telefonino alla moda. Non possiamo vivere solo per avere l’abito firmato chic. Non possiamo vivere solo per apparire e avere i titoloni. Non possiamo vivere solo per farci il giro con il super macchinone al centro. Non possiamo sentirci i più “ sperti” solo perché abbiamo il super conto in banca. Se viviamo cosi,  dice Gesù, non abbiamo capito niente. Inutile che stiamo lì ad accumulare, a fare nuovi grana,i perché proprio stanotte ci può raggiungere un guaio, un malanno o peggio ancora. E’ chiaro una cosa che il Cristo non ci vuole poveri. Il discorso non è contro, beati loro, coloro che  stanno bene economicamente. Gesù ci accoglie tutti ,ci vuole tutti, ma proprio tutti ,salvi. Ma, ci tiene a dire, “occhio a chi mettete al primo posto nella vita,state attenti, non potete condurre una vita ad accumulare i granai e non pensare a Me, con tutto il corpo con tutta l’anima “. Una vita condotta cosi, è una vita persa. Una vita di corsa, di stress. Di ricerche continue. Corriamo sempre, ma non sappiamo dove. Non abbiamo scoperto il fine. Non scoprendolo e non cercandolo, ci accontentiamo dell’effimero, della mediocrità , del nulla. Cerchiamo di  essere al primo posto,  dovunque. Non riuscendoci, non potendolo fare sempre cadiamo nella depressione. Perché,  vogliamo sempre sentirci amati,voluti bene coccolati. Ma non è possibile. Ogni giorno conosciamo le malattie, gli insuccessi. Allora questa società ha cercato di addolcirci la pillola con i social network. Tutti siamo sui social network. Dove tutti ci sentiamo amati, ascoltati, voluti bene. Il buonismo da tastiera. Ma nello stesso tempo dannatamente soli. Un mondo dove,  siamo  felici e contenti, da quanti “ mi piace” ci sono su una foto o su un post. La corsa continua all’apparenza, ecco la nostra vita. Ritorniamo alla parabola. Quante famiglie vivono litigate, separate per questioni di soldi. Quante amicizie abbiamo visto spazzate vie per questioni di soldi, quanti (fragili e superficiali) legami di parentela tramutarsi in odio viscerale per qualche metro quadro di casa, per una questione di eredità .D’altronde, siamo onesti: se gli affetti, le amicizie, le relazioni di parentela non si concretizzano in atteggiamenti di equità e giustizia, se non passano la prova della solidarietà, diventa davvero difficile capire come si concretizza il bene che diciamo di volerci. Parliamoci chiaro chiudiamo Dio in un cassetto. In queste questioni,meglio cosi. Gesù ne capisce poco di eredità. Aveva poco da spartire con i suoi. Non era manco un avvocato o un commercialista. Su queste questioni, non lo cerchiamo. Magari dopo, per chiedergli giustizia. In verità, proviamo tutti un connaturale pudore nei confronti del denaro, lo consideriamo qualcosa di pericoloso, di sporco, di ambiguo. Una persona ricca è sempre guardata con sospetto e, specie nel nostro mondo cattolico, siamo sempre in imbarazzo a parlare di denaro. Gesù  è molto libero a tal proposito: non dice che la ricchezza è una cosa sporca. Dice solo che è pericolosa. Guardate al pover’uomo della parabola: un gran lavoratore, non ci viene descritto come un disonesto, né come un avido, anzi, fa tenerezza la sua preoccupazione di far fruttare bene i suoi guadagni per poi goderseli in pace. La sua morte non è una punizione, ma un evento possibile. Chissà: forse troppo stress, troppo lavoro, troppe sigarette sono all’origine della sua morte improvvisa, non certo l’azione di Dio. Gesù ci ammonisce: la ricchezza promette ciò che non può mantenere, ci illude che possedere servirà a colmare il nostro cuore. Il nostro mondo suscita bisogni fasulli per colmare il grido di assoluto che scaturisce dal nostro cuore e che Dio solo può colmare. Un po’ di essenzialità, allora, ci può aiutare a ricordarci che siamo pellegrini, che la ricchezza ci può ingannare, e che chi ha avuto dalla Provvidenza un po’ di fortuna economica, è per accumulare tesori in cielo aiutando i fratelli più poveri.
La Parola di propone un grande esame di coscienza collettivo, senza farci inutili sensi di colpa, proponendoci essenzialità nel gestire le cose della terra, assoluta correttezza nella gestione economica delle aziende o degli enti. Andiamo all’essenziale, come il Signore ci chiede, lasciamo che siano le cose importanti a guidare la nostra vita, le nostre scelte. Non di soldi, ma di ben altre ricchezze ha bisogno il nostro cuore, di beni immensi, di tesori infiniti. Della tenerezza di Dio.

Buona Domenica

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La parola della domenica

Gesù domanda ai suoi discepoli cosa la gente dice di Lui

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Dal Vangelo secondo Matteo Mt 16,13-19


 In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

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Il famoso testo matteano, che viene letto nella festa di Pietro e Paolo, ha alimentato (e continua ad alimentare) non pochi pareri contrapposti tra le confessioni cristiane. È stato visto anche come un passo polemico nei confronti del ruolo di Paolo nella Chiesa delle origini, ma non è di questo che si tratta e, in fondo, neanche fondamentalmente del «primato di Pietro» nella chiesa. Si parla della fede e dell’unico primato degno di essere considerato: quello di Cristo, la vera roccia su cui è fondata la Chiesa. In questa linea, molti anni fa (nel 2001) si muoveva anche l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, J. Ratzinger, quando in una lezione sull’ecclesiologia affermava: «… la prima parola della Chiesa è Cristo e non se stessa; essa è sana nella misura in cui tutta la sua attenzione è rivolta a Lui… […] Infatti una Chiesa, che esiste solo per se stessa, sarebbe superflua…La crisi della Chiesa, come essa si rispecchia nel concetto di popolo di Dio, è «crisi di Dio»; essa risulta dall’abbandono dell’essenziale. Ciò che resta, è ormai solo una lotta per il potere. Di questa ve ne è abbastanza altrove nel mondo, per questa non c’è bisogno della Chiesa».

Con «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» Pietro professa a Cesarea questa fede, che non è però frutto della sua carne e del suo sangue, ma del Dio fedele, a cui la fede della Chiesa deve sempre far riferimento. È una fede sempre da rinnovare e da incentivare, perché sempre esposta al rischio e alla tentazione di cadere. Una fede fragile, come quella di Pietro e degli altri discepoli. Matteo parla spesso nel suo Vangelo di oligo-pistia / fede piccola, debole e Pietro – come tutti gli altri – viene rimproverato da Gesù proprio a motivo di ciò quando, trovandosi in pericolo grida «Signore salvami!» (14,30), e Gesù di rimando: «perché hai dubitato uomo di poca fede?» (Mt 14,31). Abbiamo continuamente bisogno di riconciliarci con la fragilità della nostra fede, nutrendola non con riconoscimenti e meriti propri, ma con il convincimento che essa vive piccola come un granello di senape, come un ramoscello. È una manciata di lievito nella pasta della storia, ma è proprio questa la fede evangelica che feconda.

La fede in Cristo non si ciba di grandi strutture, prestigio e competizione, ma della Parola di Dio, affidandone gli esiti alla logica di Dio e non alla nostra. Ritrovare la logica di Dio, ritornare alla fiducia nel lievito e nel chicco di grano che muore per dare frutto, è la strada maestra per ritrovare oggi la fede che vivifica. Dietrich Bonhoeffer, il martire della chiesa confessante, ha scritto una testimonianza capace di fecondare anche il nostro tempo: «È mai possibile che il cristianesimo iniziato in modo così rivoluzionario, ora sia sempre più conservatore? Che ogni nuovo movimento debba aprirsi la strada senza la chiesa e che la chiesa intuisca sempre con un minimo di venti anni di ritardo ciò che effettivamente accaduto? Se davvero è così, non dobbiamo meravigliarci che anche per la nostra chiesa torni il tempo in cui sarà richiesto il sangue dei martiri. Ma questo sangue, ammesso che abbiamo ancora veramente il coraggio e la fedeltà di versarlo, non sarà così innocente e luminoso come quello dei primi testimoni…». Sulla scia di Pietro e di Paolo, la nostra Chiesa troverà nuova linfa se avrà il coraggio di riportare al centro Dio e non sé stessa.

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano

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La parola della domenica

Corpus Domini: la gioia del dono stupendo del Signore che è l’Eucarestia

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Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,11b-17

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste

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Questo miracolo – molto importante, tant’è vero che viene raccontato da tutti gli Evangelisti – manifesta la potenza del Messia e, nello stesso tempo, la sua compassione: Gesù ha compassione della gente. Quel gesto prodigioso non solo rimane come uno dei grandi segni della vita pubblica di Gesù, ma anticipa quello che sarà poi, alla fine, il memoriale del suo sacrificio, cioè l’Eucaristia, sacramento del suo Corpo e del suo Sangue donati per salvezza del mondo.

L’Eucaristia è la sintesi di tutta l’esistenza di Gesù, che è stata un unico atto di amore al Padre e ai fratelli. Anche lì, come nel miracolo della moltiplicazione dei pani, Gesù prese il pane nelle sue mani, elevò al Padre la preghiera di benedizione, spezzò il pane e lo diede ai discepoli; e lo stesso fece con il calice del vino. Ma in quel momento, alla vigilia della sua Passione, Egli volle lasciare in quel gesto il Testamento della nuova ed eterna Alleanza, memoriale perpetuo della sua Pasqua di morte e risurrezione. La festa del Corpus Domini ci invita ogni anno a rinnovare lo stupore e la gioia per questo dono stupendo del Signore, che è l’Eucaristia. Accogliamolo con gratitudine, non in modo passivo, abitudinario. Non dobbiamo abituarci all’Eucaristia e andare a comunicarci come per abitudine: no! Ogni volta che noi ci accostiamo all’altare per ricevere l’Eucaristia, dobbiamo rinnovare davvero il nostro “amen” al Corpo di Cristo. Quando il sacerdote ci dice “il Corpo di Cristo”, noi diciamo “amen”: ma che sia un “amen” che viene dal cuore, convinto. È Gesù, è Gesù che mi ha salvato, è Gesù che viene a darmi la forza per vivere. È Gesù, Gesù vivo. Ma non dobbiamo abituarci: ogni volta come se fosse la prima comunione. (Papa Francesco – Angelus, 23 giugno 2019)

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La parola della domenica

“Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità…”

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Giovanni

Gv 16,12-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.

Dio, chi è? E com’è? Ci sono molte persone buone, che non si pongono più queste domande, preoccupate piuttosto di costruire una società giusta, “in cui un uomo non sputi sangue”.

Ma molte altre persone credono che anche questa profonda esigenza di solidarietà sia stata posta da Dio nel cuore dell’uomo. Da qui le domande iniziali.

Una risposta che ci dà il vangelo è quella di un Dio comunità, un Dio Trinità. La parola “Trinità” non si trova nel Nuovo Testamento, e difficilmente possiamo riconoscere alcuni indizi al mistero della Trinità nell’Antico Testamento. Ma, al di là della parola, troviamo, ad esempio, una formulazione molto chiara del suo contenuto nel saluto di san Paolo alla comunità di Corinto: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. Il Dio invisibile, riconosciuto come Padre pieno di amore e di misericordia, si è fatto visibile in Gesù, il Figlio, che ha condiviso pienamente la nostra condizione umana, insegnandoci un cammino di giustizia e di fraternità. Egli, dopo la sua morte, continua ad accompagnarci attraverso il suo Spirito che vive nel cuore di ogni essere umano.

Leggiamo nel vangelo di Giovanni 16, 12-15:

Durante l’Ultima Cena, Gesù disse ai suoi discepoli: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.

Queste parole di Gesù fanno parte del dialogo con i discepoli durante l’ultima cena della sua vita, poche ore prima della sua crocifissione. Ha voluto rafforzarli, insistendo sulla necessità della comunione con lui, dell’unione della comunità e della resistenza di fronte all’opposizione che incontreranno nel mondo.

Egli ha trasmesso loro i segreti del regno di Dio, che solo “i piccoli e i semplici” possono comprendere, ma ha ancora “molte cose” da dire loro. Questo non è il momento di condividerle, perché per ora non sono capaci di “portarne il peso”. La loro mente è piena di angoscia, paura e tristezza, forse anche di delusione. Non sono ancora entrati nell’orizzonte di Gesù, in cui l’unica cosa che conta è l’amore, fino a dare la vita.

Sarà lo Spirito della verità che li libererà dalla paura e li “guiderà a tutta la verità”. Lo Spirito li illuminerà, affinché possano comprendere l’insegnamento e la morte stessa di Gesù, e possano interpretare la realtà e gli avvenimenti alla luce di ciò che hanno imparato da lui. Lo Spirito non offrirà loro una dottrina nuova, ma darà loro la capacità di giudicare la storia e di riconoscere ciò che coincide con la vita di Gesù, con il suo amore fedele, e ciò che invece si oppone al suo insegnamento. Saranno suoi testimoni di fronte al mondo. Avranno la saggezza e la forza di riconoscere, al di là delle apparenze, i sistemi di ingiustizia e di potere che impediscono la vita piena dell’uomo e di denunciarli. e sapranno dare nuove risposte ai nuovi bisogni della società.

Con la luce dello Spirito, i discepoli di Gesù potranno comprendere che la sua morte in croce è stata la sua piena vittoria e la sua vera gloria (“mi glorificherà”), perché ha rivelato fino a che punto può arrivare l’amore. Lo Spirito comunica loro quell’amore per guidare il loro cammino, e perché possano offrirlo all’umanità.

Gesù ha realizzato il progetto del Padre e ha rivelato il suo amore. I discepoli di Gesù lo continueranno nella storia, per la potenza dello Spirito che sarà loro dato, anche se i poteri che hanno ucciso Gesù continueranno a perseguitare anche coloro che veramente lo seguono.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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