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La parola della domenica

Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete

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DOMENICA 13 FEBBRAIO
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. 
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Lc 6,20-26

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Io non so se avete mai assistito ad un comizio politico. Discorsi altisonanti. Promesse gridate al vento. Accuse agli avversari. Oppure, a volte, non si riesce a capire niente. Gesù,invece, ama la chiarezza. Quando parla, dice le cose in maniera che tutti le possono capire. Non ci siano dubbi. Le capisco,anche io che sono di dura cervice. Tutti possono dire io ho capito. Sta a noi mettere in pratica la sua Parola. Testimoniare. L’abbiamo detto la settimana scorsa. Non ha senso dirsi cristiani se non si testimonia. Cosi è sul famoso Discorso della Montagna. Vi dico la verità questo discorso mi mette in crisi. Mi interroga. Mi scuote. Signore mio, non ti stanchi mai. Ogni giorno ci ripeti e ci sottolinei il tuo Amore per noi esseri  piccoli, disobbedienti. E Tu sei che ci aspetti. Irremovibile nel tuo Amore. Non ti stanchi mai. Continui ad  indicarci una strada, un cammino per raggiungerti. Per essere felici.  All’inizio ci sembra bella e piena di gioia, ma alla prima salita ci fermiamo e ci accomodiamo sopra un sasso. Sai, mio Signore ci facciamo assalire da tanti dubbi. Chissà forse abbiamo sbagliato la strada. Forse, il nostro Signore non voleva dire questo o non voleva quest’altro. Per ora a Messa non ci vado, ma domani ci andrò, sicuro. Oggi fa freddo per andare in comunità, ma la prossima volta ci vado, sicuro. Come faccio ad andare a Messa non solo piove, ma c’è anche la partita.  Non ti stanchi mai delle nostre bugie, dei nostri tentennamenti, dei nostri tradimenti, dei nostri dubbi. Stai all’entrata  dei nostri cuori. Non aspetti altro che un cenno da parte nostra. E ci ripeti, come nel Vangelo di oggi,  cosa dobbiamo fare. E ci incoraggi, ci spingi ad andare. Ci ripeti che non dobbiamo avere paura. Anzi che saremo beati. Beati. Felici. Sereni. Anche, quando avremo fame, quando saremo poveri, quando piangeremo, quando tutti ci prenderanno in giro perchè crediamo in Te o mio Signore.  Solo in te. A volte, caro mio Gesù, mi spingo in volo e mi sento leggero e felice, perché cammino sul tuo sentiero cammino, sulla tua parola. Ma basta un alito di vento, non quello tempestoso dei più brutti inverni, ma quella brezza primaverile, per farmi precipitare rovinosamente al suolo. Per riprendere a capochino, a camminare sulla terra. O mio Signore dammi la forza di volare. Sei  tu che mi ripeti che mi aspetti  con le braccia aperte e basta seguire le beatitudini per avvicinarmi a te e riprendere il volo.  Signore ho paura quando dici per quatto volte “Guai”. Non vorrei essere in quella condizione. Allontana da me la tua Ira e Tu sempre mi ripeti che tutto dipende da me, dalla mia volontà, dal mio cuore, dal mio Si ….gridato forte.  Dipende dal mio amore. Tu mi vuoi bene sempre,  ma spesso, io, in questa mia vita terrena, amo delle cose terrene più di Te e  non so rinunciare. Aiutami. E tu mi ripeti segui le Beatitudini. Sai ho capito che non sono felice perché sono povero e disgraziato, affamato, piangente e perseguitato. Sono felice perché tu mi ami. Perché tu ci sei. Perché il senso della mia vita è raggiungere Te, conquistare il tuo sguardo, perché la vera gioia è guardarti negli occhi  e restare per l’eternità ad adorarti. Siamo felici perché tu ci consoli, ci aiuti, ci sazi, ci fai ridere, Come dei genitori che dedicano maggiore attenzione al figlio ammalato cosi tu Dio agisci con me.  Signore mentre parlo con te vedo quello che succede attorno e mi chiedo Perché? Tutti arrabbiati, tutti nervosi. Tutti sospettosi. Ma tu insisti e ci indichi la strada delle beatitudini. Se la ricchezza terrena diventa il nostro obbiettivo, la vita saziare i nostri idoli terreni non c’è spazio per te o mio Dio. Quante volte tocco con me questa verità e ci ricado. Sempre, Quando o Signore diventerò grande e maturo? Conduciamo una vita superficiale sciocca approssimativa e badiamo solo a noi stessi. Non c’è spazio per te o mio Signore.  l’unica possibilità è quella di alzare lo sguardo, verso di Te, di non confidare solo nell’uomo. La nostra speranza,  è posta solo in Te Cristo Risorto, in Te che sei vivo, che stai vicino a me e a tutti i lettori del Gazzettino. Sei vivo mio Signore e dai vita  quando nella confusione della mia vita, mi fermo, e alzo lo sguardo verso di Te e tu come un grande Padre fai scendere nel mio cuore una carezza che mi sfiora e mi riempie di gioia. Grazie Signore del tuo Amore.

Buona Domenica

Totò Sauna

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La parola della domenica

‘Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà’

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Rubrica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!»

Inizia il tempo di Avvento, cioè il tempo dell’attesa della Venuta del Signore Gesù nella gloria. Non è un tempo di preparazione alla festa del Natale, ma di preparazione a quell’evento che Gesù stesso ha indicato ai suoi discepoli come evento definitivo, evento in cui sarà definitivamente instaurata la giustizia e si compirà il Regno dei cieli da lui annunciato. Il grido della chiesa in questo tempo è quello della Sposa che, insieme allo Spirito, invoca: «Vieni, Signore Gesù! Maranà tha!» (Ap 22,17.20; 1Cor 16,22). 

La venuta del «Giorno del Signore» era già stata invocata dai credenti di Israele, che chiedevano al Signore, Padre e Redentore, di ritornare (cf. Is 63,15-17), cioè di far sentire la sua presenza e di venire a liberarli dall’oppressione e dalla miseria del peccato, con le sue conseguenze mortifere: «Ah, se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19). A loro volta i cristiani sono ancora in attesa, anche se l’aria che respirano oggi mostra una profonda incapacità di attendere: essi sanno però che l’attesa del Signore è la sola attesa importante, decisiva, e credono fermamente alle sue parole sulla venuta del Figlio dell’uomo (cf. Mc 13,26-32). Il Figlio dell’uomo, cioè Gesù che è già venuto nella fragile carne umana, nato da Maria e morto in croce, Risorto e Vivente, verrà nella gloria; ma verrà in un’ora che è nascosta e segreta in Dio, un’ora che gli uomini non attendono né pensano possibile. Sì, la venuta del Figlio dell’uomo sarà come la catastrofe del diluvio ai tempi di Noè, quando la terra era colma di violenza e gli uomini ritenevano di potere vivere a loro piacimento, nell’ingiustizia e nella sfrenatezza: improvvisa, repentina venne la sciagura… Sarà così anche per la venuta di Gesù nella gloria: molti, infatti, in una cieca sufficienza, non pensano né credono a un giudizio, a un giorno in cui vi sarà il compimento della giustizia e della verità per tutti coloro che nella storia sono stati oppressi e afflitti, per tutte le vittime, i senza voce. Eppure ecco venire quel giorno, e questa è buona notizia, è Vangelo! La venuta del Signore non nega la storia, non condanna questa umanità ma vuole trasfigurare questo mondo, vuole redimere la storia. 

I cristiani sono dunque chiamati a vigilare, a vegliare, perché essi sono «quelli che attendono la manifestazione del Signore» (2Tm 4,8), essi sanno che al di là della morte c’è la vita eterna quale vita per sempre in Dio, c’è la fine del peccato e del male, la festa escatologica. Nessuna possibilità di vivere come addormentati, in un triste sonnambulismo spirituale; occorre invece attenzione, ossia vigilanza come tensione interiore di tutta la vita verso la meta: l’incontro con il Signore Veniente. Ecco perché nella breve parabola di Gesù si dice che questo è il tempo in cui il Signore è partito per un viaggio, lasciando a ciascuno il proprio compito, e al portiere quello di vigilare. Quando ritornerà? Alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino? In qualsiasi ora venga, il Signore vuole essere accolto; per questo occorre vegliare, ma ciò è molto difficile, e il Signore lo sa bene. Non si dimentichi che queste parole furono rivolte ai discepoli, ma proprio essi, venuta l’ora della crisi, l’ora della passione del proprio maestro e profeta, giunta la notte dormivano mentre Gesù vegliava, poi nella notte fuggirono tutti lasciando Gesù solo, e al canto del gallo Pietro rinnegò Gesù. Eppure Gesù ebbe misericordia di tutti loro… 

Vegliamo perciò e stiamo attenti, ricordando le parole di Ignazio Silone il quale, a chi gli chiedeva perché non divenisse cristiano, rispose: «Perché mi sembra che i cristiani non attendano nulla!» di Enzo Bianchi

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La parola della domenica

Cristo Re dell’Universo

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Rubrica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.


Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.


Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.
E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.


Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.


Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?” Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna.

Commento al Vangelo del 26 novembre 2023

«Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore» (San Giovanni della Croce): dopo quella sera lì non ci sarà più un altro giorno! Ogni sera chiudiamo la giornata giudicandoci sull’amore.


Guardiamo nel nostro cuore quanto amore abbiamo gli uni verso gli altri: l’amore di cui ci ha amato Gesù, cioè l’amore che viene da Dio e che non è legato ai sentimenti umani, benché lo accompagnino, ma è legato alla scoperta della grandezza di ogni nostro fratello. 


L’amore fa entrare l’altro nel tuo cuore facendoti patire ciò che patisce lui, per cui non passi più accanto a nessun fratello senza sentire fame nello stomaco dell’affamato, senza sentire solitudine nella solitudine di chi è solo, senza sentire la sua incapacità di camminare e ti grida aiuto perché è abbandonato da tutti e tu accogli quel grido.


Nessun fratello su questa terra è scusabile di fronte alla sofferenza del proprio fratello, soprattutto noi cristiani che abbiamo la chiarezza che siamo membra gli uni degli altri e che l’altro è veramente fratello perché siamo tutti e due figli dello stesso Padre.


Facciamo diventare l’amore il modo di essere della nostra vita! Convertiamoci davvero!

Il commento di don Oreste Benzi

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La parola della domenica

… là sarà pianto e stridore di denti

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Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.


Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.


Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.


Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.


Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

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Siamo quasi giunti al traguardo di questo anno liturgico; domenica prossima, infatti, celebreremo la solennità di Cristo,  Re dell’Universo. In queste ultime domeniche siamo stati educati, direi quasi forgiati dal fuoco della Parola (cfr Sir 2, 1Pt  1).

don Andrea Vena - Commento al Vangelo di domenica 19 Novembre 2023

Allenati a fissare lo sguardo su ciò che è «giusto, nobile, puro amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode…»  (Fil 4,4ss). E questo ha chiesto di rinunciare a quanto ostacola il risultato: è la battaglia della fede (cfr 1Tm 6,12). Il combattimento che chiede di coltivare sogni grandi e, piano piano, raggiungerli, nonostante ci siano forze interiori ed esteriori che ostacolano; nonostante si veda il bene da compiere ma poi si agisce al contrario! (cfr Rm 6,12ss). Questo è  l’Anno Liturgico, palestra di verità e di vita. Ed ora, giunti quasi al termine, siamo invitati a vigilare, a raccogliere quanto  seminato durante l’anno (un giorno sarà al termine della vita), per offrire tutto al Signore: possono essere anche poche  «briciole», l’importante che siano «briciole d’amore.

Domenica scorsa siamo stati invitati ad attendere lo «Sposo» con atteggiamento vigilante (Mt 25,1-13), e oggi questo  atteggiamento di vigilanza si specifica in un essere anche responsabili di quanto ricevuto. C’è un legame tra la saggezza  e la capacità di attendere: non si resta con le mani in mano, ma si attende in modo vigile, creativo, attento… Si attende  facendo spazio nel cuore, cercando il senso vero a quanto accade in noi e attorno a noi. E’ già tutto nelle nostre mani,  basta accorgersene. A tale riguardo, la prima lettura segnala che la fortezza di una donna – questo poi vale per tutti – non sta nel cercare chissà cosa, ma nel «trafficare» quanto ha: «In lei confida il cuore del marito… si procura lana e lino e  li lavora volentieri con le sue mani… Apre le sue palme al misero… frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte  della città». La donna forte, dunque, è colei che non resta con le mani in mano, ma sa agire con saggezza per la conduzione della famiglia, senza dimenticare chi è nel bisogno. Come si coglie, trafficare i talenti ricevuti da Dio non chiede  chissà quali doti straordinarie, ma domanda di saper agire bene lì dove si è chiamati a vivere. Una verità che si fa preghiera nel canto del salmo: «Beato chi teme il Signore… della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni  bene…». Nulla perde chi «traffica» per il Signore. Nulla.

«coltivare e custodire» (cfr Gn 2,15).  Interessante è il fatto che prima viene il «coltivare», poi il «custodire», cioè a metterci del suo perché questo giardino  faccia risaltare tutta la sua bellezza e potenzialità. È quanto dovrebbe avvenire per i talenti ricevuti, ma un servo decide  di «custodire» anziché «coltivare/far fruttare». Decide di invertire l’ordine ricevuto da Dio. Certo, a una prima  impressione sembra che non faccia nulla di male: semplicemente lo nasconde!  

vv. 19-30: Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva  ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho  guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò  potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse:  “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il  suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò  infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non  hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra:  ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e  raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà  nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là  sarà pianto e stridore di denti”»

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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