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Giudiziaria

Furti di energia: senza querela non c’è pena

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Niente querela, il ladro è libero: la legge Cartabia “perdona”. I furti di energia elettrica che di recente si sono moltiplicati, approdano al Tribunale di Gela ma i giudici non possono procedere d’ ufficio in quanto le aziende fornitrici non presentano querele di parte. Le somme derivanti dal furto gravano su ignari utenti titolari di contratti per immobili che si trovano nelle immediate vicinanze e il furto resta senza procedimento ne’ pena.

La discussa riforma firmata dall’ex ministra della Giustizia produce i suoi effetti. La riforma dell’ex governo Draghi ha introdotto questa novità: tutta una serie di delitti contro il patrimonio e contro la persona – tra cui il furto aggravato – che prima erano perseguibili d’ufficio, ora sono stati catalogati come “procedibili a querela”, purché la pena minima per quel reato non sia superiore a 2 anni. Dunque, serve necessariamente la denuncia della vittima.

E la cosa non è sempre scontata, perché dietro un reato subito ci sono sudditanze psicologiche, minacce, paure di ritorsioni nei confronti di familiari e persone care. Il furto aggravato, ad esempio, è procedibile d’ufficio solo se la persona offesa non sia incapace per età o malattia o per alcune limitate eccezioni, come quando si rubano cose pignorate oppure materiale metallico ai danni di gestori di servizi come energia elettrica e ferrovie. Il classico furto di rame.

In aderenza agli obiettivi generali di deflazione processuale e sostanziale perseguiti dalla riforma, il legislatore della delega ha disposto, agli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 150, l’ampliamento delle ipotesi di reati procedibili a querela ricompresi nei Libro II e III del codice penale 446.

Condizionando la repressione penale di un fatto, astrattamente offensivo, alla valutazione in concreto ed alla sovranità della persona offesa, tale opzione – inaugurata per la prima volta con la legge 24 novembre 1981, n. 689, proseguita con la legge 25 giugno 1999 n. 205 e da ultimo ribadita col d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 – è emblematica della tendenza ad una privatizzazione 447(o patrimonializzazione 448) della tutela penale e denota l’importanza crescente della “funzione selettiva” della “querela-selezione” (o “querela-opportunità”) 449, intesa come filtro processuale e, al contempo, come tecnica di depenalizzazione di fatto 450 in tutte quelle ipotesi in cui la depenalizzazione tout court appaia una scelta troppo radicale 451; in altri termini, la querela diventa lo strumento politicocriminale volto a contemperare sinergicamente la superfluità della pena in concreto, in coerenza con la sua natura di extrema ratio, con il contenimento del sovraccarico giudiziario 452. Nell’ambito degli interventi volti al contenimento.

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Giudiziaria

Don Rugolo condannato anche in Appello

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Tre anni di reclusione: è la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Caltanissetta che ha condannato don Giuseppe Rugolo, il sacerdote ennese accusato di violenza sessuale su minorenni. I giudici hanno applicato l’attenuante della tenuità del fatto per due delle vittime individuate, rideterminando la sentenza di primo grado che era stata di quattro anni e sei mesi.

L’impianto dell’accusa ha retto anche in appello, come la credibilità del giovane archeologo Antonio Messina, sulla cui denuncia è stato incardinato il processo. La Corte d’appello ha estromesso la diocesi di Piazza Armerina dalla responsabilità civile

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Sentenza amianto killer: difesa condannata

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Roma – Amianto killer nelle navi della Marina: la Difesa condannata in via definitiva a risarcire 400mila euro la famiglia di Michele Cannavò morto di mesotelioma.

La vittima è stata esposta senza protezione per 34 anni nei cantieri e sulle navi .

Una nuova, pesante condanna, appena passata in giudicato, quindi definitiva, per il Ministero della Difesa: il Tribunale Civile di Roma ha stabilito un risarcimento di circa 400mila euro in favore dei familiari di Michele Cannavò, motorista navale della Marina Militare, deceduto a causa di un mesotelioma pleurico provocato dall’esposizione prolungata all’amianto.

Cannavò, originario della provincia di Catania, e residente a Siracusa, ha servito per 34 anni lo Stato tra il servizio militare e civile, operando in ambienti contaminati e privi di adeguate protezioni. Imbarcato su diverse unità navali – tra cui la Nave Albatros e il MOC 1201 – e impiegato nell’Arsenale Militare di Augusta, è stato quotidianamente a contatto con fibre di amianto: nei motori, nei corridoi, nei rivestimenti delle condotte, fino agli stessi ambienti di vita delle navi.

Un’esposizione continua, intensa e silenziosa, che gli è costata la vita. La diagnosi è arrivata nel 2019. La morte, appena due mesi dopo.L’INAIL ha riconosciuto il nesso causale tra l’infermità e le mansioni svolte in Marina, nel periodo del servizio civile. Una conferma ulteriore della gravità della negligenza istituzionale.

“Finalmente giustizia per la famiglia Cannavò” – commenta Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale dei familiari – “Questo risarcimento non potrà restituire Michele ai suoi cari, ma rappresenta un passo in avanti verso la tutela delle vittime e la bonifica definitiva dell’amianto da navi e arsenali militari.”

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Inchiesta Camaleonte: assolti gli imprenditori Luca e il dirigente di polizia Giudice

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Cade in primo grado l’impianto dell’inchiesta Camaleonte che ha coinvolto gli imprenditori Luca accusati di rapporti con clan mafiosi.

Il presidente del collegio penale Miriam D’Amore ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Sono stati assolti il fondatore del gruppo Salvatore Luca, il figlio Rocco, il fratello Francesco, il genero Francesco Gallo, la moglie Concetta Lo Nigro, la figlia Maria Assunta Luca e la cognata Emanuela Lo Nigro. Tutti gli imputati hanno  respinto sempre l’accusa di legami con la mafia. I Luca si sono dichiarati, invece, vittime e hanno sostenuto che il loro patrimonio era frutto del lavoro. Lacrime,commozione e abbracci tra i componenti della famiglia Luca alla lettura del dispositivo di sentenza.

E’ stato assolto anche il dirigente di polizia Giovanni Giudice, che ha rinunciato alla prescrizione maturata. Era accusato di aver favorito i Luca, tesi sempre respinta.

La prescrizione, con esclusione dell’unica aggravante, è stata decisa per l’ altro poliziotto coinvolto Giovanni Arrogante. 

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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