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Gli scatti vip di Sonia Aloisi, “ringrazio Dio ogni istante della mia vita”

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“E’ il destino che mi ha portato a Gela e mi ha dato l’opportunità di conoscere mio marito che considero la ricompensa che Dio ha deciso per me….”

Quando fato e credenze si intrecciano, è un’esplosione di gioia. La stessa che prova tuttora la fotografa Sonia Aloisi, torinese d’origine ma gelese d’adozione.

“Da parte di mamma sono comunque siciliana,  quindi in Sicilia scendevo spesso anche da piccola per qualche mese di ferie coi nonni” – ci tiene a precisare. Il richiamo materno è indissolubile. Sempre, ad ogni latitudine.

Hai trasformato la passione in lavoro. Come e perché ti sei innamorata della fotografia?

“Penso che abbia sempre fatto parte di me. Ho foto in cui,  avevo appena 5-6 anni, portavo la macchina fotografica al collo, di quelle con le immagini prestampate all’interno. C’è differenza tra fare il fotografo ed essere un fotografo: io penso di esserlo sempre stata anche quando non sapevo cosa fosse la tecnica. Mi ha sempre affascinato il fatto che l’unica cosa che blocca il tempo, che tiene vivo il ricordo,  sia proprio una foto, è l’unica cosa che resta di un ricordo, di un luogo, di una persona cara”.

Hai conseguito la laurea triennale in psicologia ma alla fine hai deciso di non percorrere questa strada. Perché?

“In realtà il mio unico vero grande sogno era diventare medico, ma per una serie di circostanze familiari non mi è stato possibile e questo rimarrà per sempre il mio unico rimpianto. Essendo molto brava a scuola ho optato per un altro indirizzo consono al mio diploma. Adesso invece mi sono iscritta nuovamente all’università scegliendo scienze della comunicazione con indirizzo digital marketing…una grande sfida per me perché incastrare lavoro, famiglia e studio non è semplice. Ma la forza di volontà tutto puo!”

Qual è il tuo stile di foto?

“Non amo classificare o collocare le foto in uno schema, perché ogni storia da raccontare ha dei parametri diversi. Amo alternare delle foto composte e studiate a foto più spontanee. Oggi va molto di moda parlare di “reportage” ma in Italia è impossibile realizzarlo perché siamo legati alle tradizioni, abbiamo un modo diverso di concepire la fotografia, che non è né meglio né peggio, semplicemente diverso. La foto è un linguaggio:  parla, emoziona, analizza e racconta del soggetto ma anche tanto di chi la scatta. Ecco perché non amo rilegare le mie foto all’interno di uno standard, perché per me l’unica cosa che conta è che raccontino una storia. Anzi la storia di chi si è affidato a me”.

I tuoi scatti piacciono e la dimostrazione, negli anni, è arrivata dalle grandi riviste italiane che si occupano prevalentemente di moda. Quando ti hanno contattata, cosa hai pensato?

“Che erano pazzi!  Scherzi a parte, penso che abbia colpito l’idea originale, un po’ fuori dagli schemi. Sicuramente è stata una bella dose di autostima e di soddisfazione”.

Non solo riviste, ma anche set cinematografici, tra cui “Thid Person” di Paul Haggis e il “Tredicesimo apostolo”. Che esperienze sono state e come si sono intrecciate le vostre vite?

“Meravigliose! Conoscere il premio Oscar Liam Neeson è stato un sogno. Ero andata con la scuola a vedere al cinema “Schindler list”, e dopo un po’ di anni proprio lui era davanti a me e alla mia macchina fotografica. Ed è stata la conferma di come persone così grandi e talentuose fossero così umili e semplici. Le esperienze romane anche con Claudio Gioe’ e Claudia Pandolfi le porterò sempre nel cuore, vedere e soprattutto partecipare a quelle fiction è stato un grande insegnamento, tecnico e umano”.

Entusiasmante l’esperienza provata al festival di Sanremo nel 2015, al fianco di Emma Marrone, di cui hai curato l’immagine del dietro le quinte?

“Emma mi è sempre piaciuta moltissimo, per il suo carattere, le sue idee, le sue battaglie sociali, soprattutto dopo essere stata operata per la terza volta di cancro. Essere al suo fianco in un posto sacro per la musica come l’Ariston è stato inebriante. Non si può capire che macchina perfetta ma isterica sia il dietro le quinte di uno spettacolo così importante… migliaia di persone che lavorano come soldati, nessuno può sbagliare o tardare anche solo di un minuto”.

Hai lavorato anche per Gianni Sperti,  per Alessandra Amoroso e Paolo Bonolis. In particolare, di cosa ti sei occupata?

“Per Bonolis il lavoro è stato continuativo, per quattro anni sono stata la fotografa della linea di abbigliamento di sua figlia Adele e di sua moglie Sonia, persona meravigliosa con la quale ancora oggi ho un bellissimo rapporto. Gianni invece mi contatto’ direttamente, dopo avere visto alcune delle foto che avevo scattato, tramite la sua truccatrice, amica mia ma anche di Alessandra Amoroso. In particolar modo era rimasto colpito dalla post produzione delle mie foto e voleva realizzare un servizio fotografico esterno che seguisse quella linea, non posato in studio.  In meno di due giorni organizzammo tutto e partii per Roma. Per Alessandra invece mi sono occupata di realizzare il servizio fotografico all’Arena di Verona, altro tempio sacro per la musica. Ricordo che quando vidi da dietro le quinte 20 mila persone, scoppiai a piangere dall’emozione, perché se apparentemente tutto può sembrare facile, dietro c’è sempre tanto studio, costanza e soprattutto testardaggine”.

Eri stata anche contattata per immortalare Eros Ramazzotti durante i suoi concerti, ma un gravissimo lutto non te lo ha permesso

“Anche Eros mi contatto’ direttamente, ancora conservo le nostre conversazioni, e ancora ci scriviamo di tanto in tanto. Dovevo andare all’Olimpico di Roma, ma un paio di giorni prima mori’ mio padre e l’accordo salto’. O meglio è stato semplicemente posticipato ad altra occasione, che sono certa arriverà. E da lassù, papà ne sarà contento…”

Accennavamo alla famiglia…Cosa rappresenta per te?

“Tutto! È il mio punto fermo, è la mia radice, è l’unico posto in cui torno sempre. Non esiste lavoro, successo, soldi che valgano o abbiano importanza se non hai accanto chi ami.  Perché tutto passa, i periodi buoni e brutti si alternano, la gente intorno è solo di passaggio o approfitta del “momento di gloria”, o giudica pensando di conoscerti . Forse all’apparenza non sembra perché il mio lavoro mi porta ad avere migliaia di conoscenze, e per natura sono una persona molto socievole, ma in questo sono molto selettiva: non permetto a tutti di entrare nei miei spazi privati, mi apro solo con chi decido io, e le mie vere amicizie sono sempre le stesse da 20 anni a questa parte. Niente e nessuno può distrarmi dall’amore che ho per mio marito e per quei pochi veri amici che ho e che considero una seconda famiglia”.

I tuoi cari hanno sempre sposato le tue idee per il lavoro che fai?

“Si. Sempre. Perché conoscendomi davvero sanno perfettamente che se mi metto in testa una cosa è solo questione di tempo ma ci riuscirò’ . Sanno che ho un ottimo intuito e sono talmente testarda che se decido di ottenere qualcosa, studio finché non ci sarò riuscita. Sono sempre stata così, ho sempre bisogno di tenere il cervello in movimento e appena ottengo un risultato professionale ne ho già adocchiato un altro.  Oramai sono rassegnati”.

Nella vita privata, chi è Sonia Aloisi?

“Una persona completamente diversa da ciò che sembra. Sono sempre allegra ma molto spesso introspettiva e malinconica, ho momenti in cui voglio stare sola e in silenzio per i fatti miei. Sono molto altruista ed empatica, troppo sensibile (e ho capito negli anni che forse è più un difetto che un pregio). Alle persone che amo do tutta me stessa, ma pretendo altrettanto. Nonostante il mio lavoro imponga altro, odio la tecnologia, o meglio non sopporto più l’abuso che se ne fa. Ha sostituto per molti la vita reale: io sono rimasta ancorata al bigliettino scritto carta e penna, a quattro chiacchiere faccia a faccia, agli abbracci e ai baci con chi amo. La tecnologia avrebbe dovuto migliorarla la vita, non sostituirla”.

Tornando indietro nel tempo, cosa non rifaresti?

“Non sono quel tipo di persona che rinnega nulla, manco gli sbagli”.

Deduco che sei fortemente credente in Dio

“Si, ma ho imparato negli anni ad avere un dialogo con Lui. E la mia fede si è rafforzata quando cercavo risposte ad eventi difficili da superare che stranamente anziché allontanarmi mi hanno avvicinato e aiutato a sopportare e superare grandi dolori e dispiaceri. Io ogni giorno gli dico grazie per aver messo sul mio cammino mio marito, per avermi fatto superare problemi di salute e soprattutto ringrazio sempre perché non voglio nulla di più, nulla di meno di ciò che ho già”.

Ultimamente, attraverso le colonne di questo giornale, hai voluto esprimere il tuo personale sentimento di cordoglio per il dottor Alfio Garotto, scomparso a seguito di un incidente stradale. Chi è stato per te il noto medico chirurgo e divulgatore, già Direttore del Reparto di Chirurgia Generale e di Chirurgia Metabolica dell’Istituto Ortopedico del Mezzogiorno di Italia di Messina?

“Ancora adesso stento a credere che sia successa davvero questa tragedia. Mi sembra impossibile che davvero non ci sia più una persona come lui. È stato un fulmine a ciel sereno. Io sono sempre stata magra, poi tanti anni fa ho subito un incidente alla gamba che mi ha costretto alla paralisi e ad oltre un anno di ricovero in clinica. Li il mio metabolismo si è bloccato, inceppato. Negli anni a seguire, nonostante non avessi un’alimentazione scorretta, ho iniziato a prendere chili su chili. Nonostante la dieta, non riuscivo a dimagrire… A 122 chili, capii che non potevo andare avanti così. Fu a quel punto che una mia amica mi trascinò a forza alla sua prima visita, che fu scioccante. Tutti siamo abituati a medici frettolosi, che parlano forbito, che non ti guardano mai in faccia, che considerano i pazienti dei numeri. Lui invece era l’opposto: parlava solo in dialetto con tutti, spiegava il metabolismo tra una battuta e una risata, faceva sembrare tutto facile. Mi operó da lì a pochi mesi, “un intervento da manuale e una paziente con decorso perfetto” così mi defini’. Diventammo amici, sapeva che a differenza di molti che provano quasi vergogna a parlare di un intervento subito, io avevo scelto la strada della verità, raccontando a tutti del mio percorso, anche perché potevo essere d’aiuto ad altri. Sapeva che avevo molte persone che mi seguivano e così organizzammo anche delle dirette Instagram per parlare a tutti del mini bypass gastrico. Lui aveva qualcosa di soprannaturale, un carisma unico, un linguaggio per tutti. La sua morte è sicuramente una perdita immensa, perché medici e uomini come lui sono davvero doni di Dio. E mi dispiace per tutti quelli che non potranno più aver la fortuna di conoscerlo”.

Chi è stato per te il compianto Luca Agati, vittima del Covid?

“Questa è una ferita ancora più dolorosa. Poco prima che ricoverassero Luca, in una bruttissima situazione c’ero io… Questo pensiero mi ha divorato per mesi. E la sua situazione familiare e lavorativa,  molto simile alla mia, mi ha resa più sensibile al dolore di sua moglie. Inoltre, vivere questo dispiacere durante la stagione lavorativa è stato uno strazio, perché dovevamo fingere allegria davanti alle coppie quando dentro di noi avevamo solo lacrime. È stato brutto rendersi anche conto che nel nostro lavoro, qualsiasi cosa accada, non ci si può fermare perché sostanzialmente ciò che abbiamo dentro non interessa. Noi siamo gli “addetti ai lavori” e quindi si va avanti. Comunque. Angelica pochi giorni dopo era già al lavoro, non ha avuto neanche il tempo di piangere il suo dolore. Tutto proseguiva normalmente, vorticosamente, un matrimonio dietro l’altro, evento dopo evento. Chi era Luca nel lavoro lo sanno tutti, e spero vivamente che non sarà mai dimenticato,  perché ha fatto davvero tanto per accontentare i suoi clienti e ha fatto tanto per la comunità gelese”.

E’ un vantaggio nell’attività che svolgi, essere una donna?

“Ho sempre pensato di sì. Perché una donna ha una innata sensibilità, un gusto estetico differente. Fondamentalmente io ho a che fare con le spose ed essere una donna ti pone sullo stesso livello empatico di chi hai di fronte, si ha più facilità ad entrare in confidenza. Non so perché la fotografia è sempre stato un settore maschile, ma sicuramente ho aperto la strada a un nuovo punto di vista, appunto quello femminile”.

Chi o cosa vorresti fotografare e perché?

“Avrei tanto voluto fotografare mio nonno, la persona più importante della mia vita, ma purtroppo non ne ho avuto il tempo. Quando ero ragazzina, non esistevano cellulari o iPad, le foto che ho sono tutte da rullino. Quindi non si sprecavano. Si aspettava la scampagnata, i vestiti a festa per scattare, si stampavano e si attaccavano negli album, che ora conservo come gioielli. Un valore totalmente diverso dal presente. Ora invece si scatta di continuo ma inutilmente, perché per la frenesia di non perdere nulla non si guarda più con gli occhi, non si stampa più e i veri ricordi andranno persi. Per sempre”.

Primo premio internazionale “Contest Winter”. Di cosa si tratta?

“Di un concorso a cui si inviano delle foto di matrimonio e una giuria internazionale esprime dei giudizi tecnici e assegna dei voti. È così che mi è stato assegnato il secondo posto nel 2019 e il primo posto nel 2020. Penso di rimettere a giudizio le mie foto quest’anno, purtroppo con la pandemia un po’ tutto è rallentato”.

Qual è stato il complimento più bello che hai ricevuto per il lavoro che svolgi?

“Quando mi sento dire che riconoscono le mie foto ancora prima di leggere chi le ha pubblicate. Lo considero un gran complimento perché vuol dire che ho un’identità, uno stile personale, che può piacere o no. Ma è il mio”.

L’emozione più grande che hai vissuto?

“Avere incontrato Papa Francesco. Ho pianto talmente tanto da non riuscire neanche a formulare una parola di senso compiuto al suo cospetto. Non dimenticherò mai quel giorno”.

In tutti i settori lavorativi, c’è sempre qualche critica dietro l’angolo. Ne hai ricevute?

“Penso di poter scrivere un libro su ciò che sento dire su di me, cose che a volte manco io so di me stessa…Da dove inizio? Si dice io sia antipatica, troppo esigente, troppo cara, che vestivo male quando ero in carne ma che ora pubblico troppi selfie perché sono tornata magra..potrei andare avanti per un bel po’…ma mi fermo qui per non tediare”.

Ti hanno mai chiesto di fotografare scene… osé?

“Mi manca solo questo… (ride) No no,  nessuna richiesta hot, ne a me ne a mio marito”

Qual è stata la richiesta più strana che hai ricevuto?

“Di sostituire in una foto già pronta, la presenza di una donna, inserendo con l’utilizzo di Photoshop una pianta al suo posto…La richiesta è giunta direttamente dal suo ex compagno”.

Soddisfatta della sindacatura Greco?

“Non sono in grado di dare un’opinione, sono troppo stufa di sentire tante promesse durante la campagna elettorale e di vedere poi Gela sempre nello stesso stato da 20 anni. Mi hanno stufato tutti!  Non credo esistano politici a cui interessi davvero il bene comune, forse idealmente si inizia così. Poi gli interessi personali prendono il sopravvento…”

Cosa ha bisogno Gela per emergere?

“Tutto! Gela ha vantaggi naturali come la posizione geografica, il mare e le spiagge, la sua storia, il cibo. Ma sono risorse trascurate. In qualsiasi altro posto al mondo,  creano turismo senza aver nulla, qui c’è tutto e non si fa niente. Ma io non do la colpa solo ai politici.  I primi a sbagliare e a degradare questa città siamo noi cittadini: gettiamo carta ovunque, imbrattiamo muri, sradichiamo panchine e docce pubbliche, parcheggiamo in terza fila, non facciamo nulla per mantenere decoro nel luogo in cui viviamo”

Se dovessi fotografare un angolo della nostra città, su cosa punteresti e per quale motivo?

“Vico Santa Lucia. È un angolo che adoro, perché dà esattamente il senso di come dovrebbe essere tutta la città. L’impegno e la volontà dei commercianti del vicolo lo ha reso un fiore all’occhiello, tutti di comune accordo lo mantengono pulito, colorato, coi fiori e con addobbi e decorazioni. Hanno insistito e resistito visto che all’inizio venivano distrutte anche le piantine di un euro. Ciò vuol dire che se tutti volessimo,  Gela diventerebbe bellissima…”

Il primo vero scatto l’ho sempre fatto col cuore. Poi con l’obiettivo”….è sempre attuale il tuo mantra?

“Assolutamente si. E non cambierà mai. Il giorno in cui non scatterò più col cuore, lascerò la macchina fotografica e farò altro”

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Giuliana Fraglica, l’estro e la fantasia per i giovani

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“Noi adulti abbiamo bisogno di parlare ai giovani, di offrire modelli positivi e alternativi a quelli che loro seguono sui social per farli crescere consapevolmente. Dobbiamo ispirare i giovani con le nostre vittorie o attraverso il come siamo riusciti a superare momenti bui e difficili! Invece pretendiamo e basta senza ascoltare ciò di cui loro hanno bisogno. È inutile paragonare la nostra generazione a quella di oggi. Che senso ha paragonare? Bisogna avere soluzioni per affrontare il cambiamento, non esiste una generazione superiore ad un’ altra, esiste l’umanità che cambia e noi dobbiamo stare al passo, offrendo ai giovani un contributo, una mano, fiducia e amore!”

A primo impatto, potrebbe essere l’incipit di una narrazione dei tanti libri di sociologia che invadono gli scaffali impolverati dei negozi; niente di tutto questo. E’ invece il pensiero composto, dettagliato e preciso di Giuliana Fraglica. Favolista, intrattenitrice, cantante. Iperattiva, sempre sorridente. E’ riuscita a trasformare la sua passione per la scrittura, in una vera vocazione.

“Ho sempre scritto, sin da bambina, già alle elementari. Nonostante la dislessia e le difficoltà che da essa derivano, leggere e scrivere sono sempre state attività meravigliose che mi hanno regalato sempre tanta gioia!”

E’ più difficile scrivere testi musicali o quelli teatrali?

“Non è una questione di difficoltà ma di tempi di realizzazione che per quanto riguarda il teatro sono sicuramente più lunghi”.

I tuoi lavori (mi riferisco ai ibri) sono delle proprie narrative scolastiche ritenute altamente educative. Da cosa prendi spunto per scriverli?

“Mi piace guardarmi attorno, ascoltare tanto le persone soprattutto i bambini e i ragazzi, leggo molto e poi ogni cosa diventa un pretesto per raccontarla attraverso la lente delle mia fantasia”.

Quotidianamente sei a stretto contatto con i bambini. Quali sono le loro fragilità, le loro problematiche?

“Molti bambini sentono il peso delle aspettative degli adulti. Ho scritto due serie di  “Tu sei una meraviglia” proprio per puntare un faro su questi argomenti”. 

Secondo te, i bambini vengono ascoltati dagli adulti oppure si tratta di casi rari quando ciò accade?

“Non posso generalizzare, però è sempre la qualità dell’ascolto che fa la differenza. Avere un dialogo di qualità con un reale livello d’ascolto, che tu sia bambino, adulto o ragazzo, oggi è difficile”. 

Quando un bambino sale sul palco, cosa prova?

“I bambini sul palco si divertono. Sono un esempio costante per me”.

E tu cosa provi?

“Quando guardo loro sul palco, sono felice e mi emoziono. Sono eccezionali! Così come anche gli adolescenti, perché non lavoro solo coi bambini. I ragazzi sono una potenza incredibile. Io credo nelle future generazioni! Cosa provo io quando sto sul palco? Mi diverto molto da sempre!”

Cosa ricordi della tua prima apparizione datata 1994 dinnanzi al pubblico, in occasione dei concerti live?

“Sono passati 30 anni…. Di quella sera sul palco del Royal mi ricordo che ero felice perché stavo facendo la cosa che mi piaceva di più ovvero cantare e poi tutta la gente in piedi ad applaudire. All’ inizio non mi sono resa conto poi è stata una emozione incredibile. Da lì è nato tutto”.

Un altro anno importante è il 2002 quando prendi parte al progetto Flanders del concittadino Vincenzo Callea. Come è nata la collaborazione con il dj e producer di fama internazionale?

“Vincenzo seguiva il nostro progetto da lontano conoscendo già me e gli altri componenti della band da molto tempo, poi quando ha sentito alcune nostre produzioni che lo hanno convinto ha deciso di collaborare con noi. È stata una collaborazione meravigliosa anche da un punto di vista umano!”

Più facile scrivere testi musicali in italiano o in inglese? 

“Per me è più facile scrivere testi musicali in inglese perché ascolto musica americana da sempre e parlo fluentemente l’inglese. La lingua inglese è stata anch’essa una passione che ho coltivato studiando da sola con l’ausilio di libri, audiocassette e soprattutto ascoltando musica”.

Che sensazione hai provato quando nel 2008 il singolo Behind è balzato al primo posto della classifica americana Billboard Airplay?

“Ero incredula ma molto felice soprattutto quando sono andata negli Stati Uniti e le persone cantavano la mia canzone. Ho vissuto tutto con grande serenità, cantare, scrivere, recitare sono attività come qualsiasi altra, bisogna sempre stare coi piedi per terra”.

Chi è stato per te Antonio Caruso?

“Il mio maestro di recitazione e mentore nella scrittura teatrale. Il mio primo esempio”.

Tutti i lavori che hai fatto, sono figli del forte attaccamento e dedizione alla tua professione e come i figli sono tutti belli. Sei d’accordo?

“Assolutamente si. Mi chiedono sempre quale delle mie attività mi piaccia fare di più, capisco che la risposta può suonare banale ma mi piacciono tutte. Spesso mi manca il tempo però e vorrei averne di più”.

Qual è il miglior complimento che hai ricevuto?

“Me lo ha fatto una bambina in un tema che ha scritto per la scuola e che la maestra mi ha condiviso. Scrisse così: “ vorrei essere Giuliana Fraglíca che fa tante cose: è un’attrice, canta, gioca coi bambini, ha scritto quattro libri ed è sempre felice e ama quello che fa”. Penso che nessuno mi abbia mai descritto così efficacemente”.

Solo complimenti o anche critiche?

“Mi hanno dato tanti consigli nella vita e di questi consigli ho sempre preso quello che mi serviva ed è stato importante”

Perché a Gela è così difficile emergere, soprattutto in ambito teatrale e musicale? 

“Perché non abbiamo una tradizione culturale in tal senso”.

Quando con i tuoi amici parli di Gela, cosa dici?

“Io parlo di Gela sempre con grandissimo amore. Cerco di rendere onore e omaggio a questa città cercando sempre di fare del mio meglio. Le difficoltà ci stanno dappertutto, soprattutto al meridione. Penso che singolarmente ognuno possa fare la differenza”.

Il tuo ultimo libro letto?

“Ninfee nere di Michel Bussi”

Progetti per il futuro?

“Per adesso voglio solo portare in scena i miei allievi del laboratorio di teatro educativo Opláb. Il mio futuro è sempre il presente. Ho la fortuna di lavorare coi ragazzi e sento che loro sono in cerca sempre di nuovi stimoli per superare i loro limiti. Hanno delle bellissime idee, visione, progetti e sanno ancora sognare grandi cose. Bisogna amare i giovani!! Dovremmo dare più fiducia ai giovani e criticarli meno e noi adulti dovremmo essere sempre più un esempio e invece stiamo perdendo questa incredibile opportunità. Perché, come diceva il grande Sandro Pertini,  “I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo.”

Chiudiamo con una tua poesia?

“Miei cari giovani. Fate emergere

Il coraggio nelle sfide quotidiane:

Gli eroi dimorano nei vostri cuori!

Realizzate una vittoria dopo l’altra

e piantate semi di pace!”

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“Bisogna continuare a lavorare nelle scuole per veicolare e diffondere la cultura della legalità”

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Desidero sapere, come premessa iniziale, se cortesemente preferisce essere chiamata Questore o Questora?

“Pur essendo una forte sostenitrice del rispetto dei generi, tuttavia, ci sono degli incarichi che non hanno bisogno di essere declinati al femminile, anche per un fatto di orecchiabilità. Signora Questore mi piace di più”.

Pinuccia Albertina Agnello, il prossimo 15 maggio, compirà un anno alla guida della Questura di Caltanissetta. Nata a Scordia, graziosa cittadina in provincia di Catania, circondata da agrumeti e uliveti, il Dirigente Superiore della Polizia di Stato si è laureata con lode in Scienze Politiche nel 1986 e in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni nel 2007 presso l’Università degli Studi di Catania. Ha sempre avuto una vocazione per la legalità e per la giustizia. 

Quale bilancio traccia a quasi un anno dal suo insediamento alla Questura nissena?

“Un bilancio positivo in termini di rimodulazione del controllo del territorio a cura delle pattuglie preposte sia nel Capoluogo che nei territori di competenza dei Commissariati distaccati di Gela e Niscemi col costante supporto delle pattuglie del Reparto Prevenzione Crimine di Palermo o di Catania, messe a disposizione dal Servizio Controllo del Territorio di Roma; progetti di realizzazione di adeguati spazi per uffici deputati alla ricezione pubblico; istituzione di presidi di polizia presso i Pronto Soccorso di Caltanissetta, Gela e Niscemi; organizzazione di seminari formativi per tutto il personale della Polizia di Stato, allargati alle altre forze di polizia, su temi importanti quali il Codice rosso, il disagio psico sociale ed altro ancora.  Nel bilancio positivo ci tengo a inserire il consolidato ottimale rapporto interistituzionale che intercorre con la locale Prefettura, con i comandi delle altre forze di polizia e con altri importanti enti istituzionali operanti sul territorio della provincia”.

La pianta organica della Polizia nel Nisseno è sufficiente o bisognerebbe incrementarla?

“Dopo il lungo blocco del cosiddetto turn over a causa della legge di stabilità che aveva anche impedito di indire concorsi per l’assunzione di giovani leve per i ruoli degli agenti e degli ispettori, da qualche anno la ripresa dei concorsi pubblici ha cominciato a dare linfa vitale agli uffici di polizia. Non abbiamo ancora del tutto coperto le previste piante organiche ma siamo a buon punto. Peraltro, ogni 6 mesi, in coincidenza con la fine dei corsi di formazione per agenti della polizia di stato e all’incirca ogni 12/18 mesi, in coincidenza con la fine dei corsi di formazione per vice ispettori, il Dipartimento della pubblica sicurezza prevede il potenziamento costante di personale anche per la Questura di Caltanissetta”.

Quali sono i reati più diffusi in provincia e dove e come bisogna intervenire?

“Quella di Caltanissetta è una provincia vasta con una concentrazione urbanistica variegata e per niente   uniforme rispetto al territorio complessivo. Anche i fenomeni criminosi hanno questo aspetto disgregato, concentrandosi di più in alcune zone rispetto ad altre. L’attenzione degli uffici investigativi è dedicata alle zone dove ancora insistono storiche famiglie mafiose (sia quelle vicine alla Stidda che quelle facenti capo a Cosa Nostra) che purtroppo sono dedite al traffico di sostanze stupefacenti. Tuttavia, si dedica molta attenzione agli aspetti di prevenzione dei reati attraverso il pedissequo controllo del territorio, sia con i servizi ordinari che con la predisposizione di servizi straordinari, alcune volte interforze sulla base di intese raggiunte in sede di Riunioni tecniche di coordinamento presiedute dal Prefetto”.

Più volte è stato rimarcato che bisogna segnalare ogni fatto delinquenziale di cui si è vittima. Il vostro appello è stato recepito dal cittadino?

“Bisogna continuare a lavorare nelle scuole o attraverso i mass media per veicolare e diffondere la cultura della legalità, intesa anche nei termini di una sicurezza partecipata che passa anche attraverso le segnalazioni del cittadino. In questo ambito, buoni risultati si stanno ottenendo attraverso la conoscenza dell’utilizzo dell’App YouPol, sulla quale l’utente gratuitamente anche in forma anonima può denunciare dei fatti di cui è venuto a conoscenza ovvero chiedere aiuto”.

In provincia di Caltanissetta, sono presenti quattro mandamenti mafiosi. Tanti sono stati negli anni gli arresti e le successive condanne.  Si sbaglia quando si pensa che le “famiglie” e i loro intrecci siano stati definitivamente debellati?

“Tantissimo è stato fatto dalla Polizia di Stato e dalle altre forze di polizia preposte alle attività di polizia giudiziaria già a partire dai primi anni ’90 nel territorio della provincia avverso le organizzazioni mafiose ma non bisogna demordere o allentare le attenzioni investigative. La mafia sa come adeguarsi alle nuove economie ovvero al tessuto socio-economico del territorio su cui punta i propri illeciti interessi; pertanto, è importante che si continui a studiare l’evoluzione del fenomeno e affrontarlo di conseguenza”.

Per decenni, all’ingresso della città, abbiamo letto il cartello “Gela città videosorvegliata”. Nei fatti non è stato mai così.  Poche settimane addietro, in Commissariato, avete presentato l’impianto di videosorveglianza, immediatamente attivo. Cosa prevede il nuovo (e finora unico) occhio del grande fratello?

“Il Prefetto, proprio in occasione della presentazione del nuovo sistema di videosorveglianza cittadina non ha avuto alcuna remora a sottolineare quel paradosso ma ha anche rimarcato l’importanza di guardare oltre e andare avanti per il bene della società pulita della città di Gela. Come autorità di pubblica sicurezza tecnico operativa della provincia, posso aggiungere che si tratta di un sistema di videosorveglianza di alti livelli che consentirà alle forze di polizia e alla magistratura di perfezionare la ricerca e quindi la raccolta di prove oggettive di reati da perseguire”.

Ci sono le condizioni per riavere a Gela un’associazione antiracket dopo la cancellazione di quella precedente?

“Perché no? Siamo pronti a collaborare il Prefetto, nell’ambito della sua specifica competenza, a valutare l’attendibilità delle richieste e l’aderenza ai criteri previsti dalla normativa vigente”.

Inchieste hanno permesso di sgominare a Gela numerosi soggetti dediti alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Nonostante tutto, il flusso della droga è in continuo aumento. Come mai?

“Tutto dipende purtroppo dalla elevata domanda e, come una qualsiasi legge di mercato, l’offerta va di pari passo alla domanda…Ecco perché è importante lavorare a 360 gradi in rete tutti gli attori istituzionali, ognuno per la parte di specifica competenza, al fine di consentire alle giovani generazioni di crescere in un ambiente sano, non degradato, culturalmente alto, con buone occasioni di impiego facendo di tutto per non indurli a entrare nella macchina infernale della dipendenza”.

Perché tanti ragazzini, soprattutto nelle piccole realtà della provincia, abbandonano gli studi?

“In certo qual modo, la risposta che le ho dato prima fornisce una chiave di lettura adeguata a quello che mi sta chiedendo. La povertà culturale di una società si ripercuote soprattutto sui giovani. Le istituzioni preposte ai controlli della frequenza scolastica non possono mollare la presa perché la dispersione scolastica è già la punta di un iceberg che non lascia intravedere nulla di buono”.

Lasciando la scuola e non trovando lavoro, non sono facilmente appetibili dalla malavita?

“Sono sicuramente più a rischio, anche perché la malavita attira con la falsa illusione del facile guadagno che darebbe la possibilità di ostentare una qualità della vita basata soltanto sulle cose materiali, prive di valori e fondamenti etici e morali”.

Troppi femminicidi in Italia, le cronache sono all’ordine del giorno. Nonostante le giornate di sensibilizzazione e di approfondimento sul tema della violenza di genere, si continua ad uccidere. Perché tanta violenza?

“Da qualche tempo, mi sembra di leggere un bollettino di guerra che dovrebbe sconvolgere tutti e che dovrebbe indurre la società sana a reagire con un “no…basta”. Tanto si sta facendo nelle scuole, così come all’interno dei nostri ranghi per una formazione quanto più adeguata ad affrontare situazioni che lasciano intravedere il pericolo della violenza di genere. Tuttavia, bisogna puntare sulla informazione/formazione dei giovani, sin dalle scuole primarie, degli insegnanti e dei genitori. Infatti, tra gli incontri calendarizzati dalla Questura con l’Ufficio provinciale scolastico ne sono previsti alcuni specifici con gli insegnanti e con i genitori. Quello che diciamo sempre ai ragazzi è di non nascondere il disagio e di confidarsi con un genitore, con un/a amico/a, con un insegnante per farsi aiutare ad uscire allo scoperto davanti a qualificate figure professionali (psicologi, avvocati dei centri antiviolenza, poliziotti) per affrontare la delicata situazione in tempo utile”.  

Il Questore Agnello, è entrata nel ruolo dei Commissari della Polizia di Stato nel 1987 dopo aver vinto il concorso per Vice Commissari.  Dall’agosto del 1988 al gennaio del 1990 ha rivestito l’incarico di funzionario addetto presso la Squadra Mobile della Questura di Agrigento, coordinando le Squadre Volanti, mentre da marzo a luglio dello stesso anno, è stata reggente del Commissariato di Palma di Montechiaro, ricoprendo la carica di dirigente dall’agosto del 1990 al luglio del 1992.

Lei ha rivestito diversi ruoli che hanno impreziosito il suo bagaglio personale per le parecchie esperienze professionali in diverse comunità in cui ha operato. Quale città le ha lasciato un ricordo indelebile e perché?

“La città che mi ha lasciato più ricordi indelebili sia da un punto di vista professionale che personale è stata senz’altro Palma di Montechiaro. Da giovanissima Commissario Capo, ho diretto il Commissariato in un periodo terribile per la guerra apertasi tra Cosa Nostra e Stidda che mieteva ogni anno decine di vittime. Avevo un gruppo di poliziotti giovani come me con i quali facemmo squadra, compatti, uniti, forti della responsabilità che avevamo di perseguire i criminali ma allo stesso tempo di restituire alla cittadinanza sana una adeguata percezione della sicurezza. Sono stati due anni e mezzo di sacrifici, sotto tanti punti di vista ma alla fine, collaborando anche la Squadra Mobile di Agrigento, arrivammo a concludere una operazione di polizia (denominata Gattopardo) che è rimasta tra gli annali della polizia giudiziaria di quella provincia e non solo, ma, soprattutto, avevamo riportato la gente di Palma ad avere fiducia nelle istituzioni e a riprendersi spazi cittadini, come il centro storico e le piazze, che per anni avevano visto il coprifuoco a partire dalle prime ore del pomeriggio. Personalmente, mi ha arricchito il rapporto che instaurammo con i ragazzi del locale liceo, con un coraggioso Comitato spontaneo di cittadini che chiedevano sicurezza dicendo basta alla mafia e soprattutto il riconoscimento della gente comune che ci fermava anche per strada per chiederci qualunque tipo di informazioni. Ricordo che davanti alle perplessità dei miei agenti a tale ultimo proposito, dicevo che mai avrebbero dovuto rispondere di non esserne competenti ma di attivarsi comunque per indirizzare chiunque ne avesse avuto bisogno”.

Nel luglio del 1992, mese terribile per la strage di via D’Amelio a Palermo, è entrata a far parte della Direzione Investigativa Antimafia di Roma dove ha ricoperto l’incarico di funzionario addetto del Reparto Relazioni Internazionali, con compiti di coordinamento di unità organiche anche all’estero.

Come giudica quell’esperienza che l’ha portata a lavorare anche fuori dall’Italia?

“Straordinaria. Avevo partecipato a quel concorso interno forte dell’esperienza maturata tra Squadra Mobile di Agrigento prima e Commissariato di Polizia di Palma Montechiaro dopo e perché determinata a contribuire alla causa, secondo i criteri condivisi dal Dipartimento della Ps con il giudice Giovanni Falcone. Fui chiamata a Roma subito dopo le stragi del 1992 e ancora di più capii che quella era la mia strada, almeno per qualche anno. Rifarei tutto, anche se per parecchi anni mi allontanai dalla mia famiglia (che ha sempre condiviso e rispettato le mie scelte) e dai sentimenti; tuttavia, ero troppo entusiasta di condividere quel nuovo modo di fare investigazioni, a fianco di qualificati funzionari e ufficiali provenienti da tutti i reparti del territorio nazionale”.

Nel suo vasto curriculum, la dottoressa Agnello ha diretto la Sezione Operativa della Dia di Agrigento. Portano la sua firma, svariate e delicate operazioni di Polizia Giudiziaria eseguite sia sul territorio agrigentino che all’estero. Ha lasciato la sua impronta anche alla Questura di Catania e in quella di Ragusa. E non solo.

 “Sono stata la vice Dirigente del Compartimento della Polizia Ferroviaria per la Calabria tra il 2006 e parte del 2010. Erano anni in cui col Servizio Polizia Ferroviaria di Roma si studiavano nuovi moduli operativi, sia per evitare la devastazione dei treni che puntualmente avveniva durante le trasferte dei tifosi ultras delle squadre di calcio sia per garantire più sicurezza nelle stazioni ferroviari e sui treni. L’impegno è stato notevole ma anche la soddisfazione di riuscire ad applicare nuovi metodi di approccio con i tifosi e con l’utenza non è stata da meno. Quello è stato un periodo in cui mi sono confrontata spesso con la gestione dell’ordine pubblico in concorso con la Questura di Reggio Calabria ed è stata un’esperienza di certo concreta e utile per il prosieguo del mio percorso di carriera, specialmente quando ho ricoperto l’incarico di Vicario del Questore di Siracusa”.

Cosa porta dentro di sé della permanenza in Sardegna dove ha diretto il Compartimento della Polizia Stradale?

“La Sardegna è una terra magica che ti ammalia e quando la lasci senti che ti manca. E’ stato un periodo intenso di lavoro e di conoscenze su tutto il territorio dell’isola; la competente Direzione Centrale mi aveva affidato il compito di intensificare la presenza della Polizia Stradale su quel territorio, curando anche i rapporti con le Questure e con le Prefetture. Ho trovato dei validissimi collaboratori che mi hanno sostenuta e consentito di raggiungere gli obiettivi prefissati”.

Divaghiamo un attimo: quando ha la possibilità, che musica ascolta?

“Sono un’appassionata di musica lirica (adoro Tosca e la Cavalleria Rusticana) ma ascolto molto volentieri la musica leggera e pop. Continuo ad ascoltare alcuni tra i più grandi cantautori italiani, quali Pino Daniele, Lucio Dalla e Fabrizio De Andrè”.

Qual è il complimento più bello che ha ricevuto in ambito lavorativo?

“Più che di un complimento vero e proprio, si è trattato di un grazie particolarmente sentito da parte di una madre per aver trattato con professionalità e trasporto umano il delicato caso di una figlia vessata dal convivente”.

Cosa vuole dire al personale della polizia che opera in provincia di Caltanissetta?

“Direi loro un grazie senza fine per il lavoro costante e spesso sacrificante che svolgono al servizio dei cittadini, qualche volte in condizioni non del tutto favorevoli. E chiederei loro di ringraziare le proprie famiglie per il sostegno morale e materiale che garantiscono e che consente loro di lavorare più serenamente per portare avanti la nostra importante mission: servire il cittadino e farlo sentire al sicuro”.

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Ipse Dixit

“Negli ultimi 5 anni a Gela non ha funzionato nulla. A breve avremo il candidato sindaco”

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Lo ha rimarcato più volte, lontano dai classici tatticismi, alchimie, giochi di prestigio: entro oggi, tutti i gruppi che hanno un candidato a sindaco devono presentare il nome e da domani un gruppo ristretto composto da un loro rappresentante esaminerà le varie candidature e farà sintesi su chi può garantire governabilità e può fare da bilancia alla coalizione.

L’onorevole Nuccio Di Paola, sta cercando di tessere la tela nell’ambito del progetto politico che vede insieme (attualmente) il Movimento 5 stelle, il Partito Democratico, i movimenti civici, Sud chiama Nord e le forze moderate. E’ stato investito di un ruolo importante al fine di chiudere i giochi in vista delle prossime amministrative a Gela. Un vero e proprio moderatore.

“Siamo a buon punto. Miriamo a trovare la sintesi tra tutti gli attori che hanno preso parte agli incontri”.

Lei ha in mente un candidato che possa ambire a ricoprire il ruolo di sindaco?

“Si, mi sono fatto un’idea e penso che non sia solo mia. Immagino un candidato che sia garante di tutta la coalizione. Prima viene la squadra e naturalmente verrà il nome del candidato. Il noi viene prima dell’io”.

Come mai (almeno fino ad oggi) non ha pensato lei a candidarsi direttamente?

“Vicepresidente vicario dell’Ars, coordinatore regionale del Movimento 5 Stelle, referente territoriale per la provincia di Caltanissetta, deputato, papà e marito penso di essere già apposto così. In ogni caso starò sempre accanto a Gela e ai gelesi…”

Anche se fisicamente non sempre presente a Gela, impegnato giornalmente a Palermo e in giro per la Sicilia, lei segue (attraverso i suoi fedelissimi consiglieri) l’evolversi della politica locale. In una sola domanda: cosa non le è piaciuto dei cinque anni di amministrazione Greco?

“Basta camminare per la città e parlare con i cittadini per rendersi conto di tutto quello che non ha funzionato in questi 5 anni”.

Il dissesto finanziario del Comune – dicono gli attuali amministratori della giunta – è figlio di un percorso pregresso. Se andiamo indietro nel tempo, il penultimo sindaco è stato (fino ad un certo punto) uno dei vostri. Dunque e’ colpa (anche) di Domenico Messinese e della sua squadra di governo di cui lei ha fatto parte, se si è arrivati a questo punto?

“No! Sono stato in giunta per 6 mesi, e sono stato buttato fuori perché in contrasto con quell’amministrazione. Il sindaco è andato avanti per altri due anni e mezzo, poi con tutto il consiglio comunale lo abbiamo sfiduciato”.

Ah proposito di Domenico Messinese: come sono i vostri rapporti, dopo l’esclusione dal Movimento 5 stelle?

“Non abbiamo rapporti. Le pochissime volte che ci vediamo le nostre interlocuzioni sono cordiali”.

Lei è componente della commissione regionale bilancio. Analizzando il settore di cui si occupa, nel dettaglio cosa è stato fatto per Gela?

“Da componente della commissione bilancio ad ogni finanziaria Gela e tutta la provincia che rappresento sono al centro dei miei emendamenti. Una delle mie ultime proposte che è stata accolta nella finanziaria 2024 è quella di vedere riconosciuto ai comuni di Gela, Butera e Licata le compensazioni per il progetto Argo-Cassiopea. Parliamo di cifre notevoli, nell’ordine di 20 milioni di euro l’anno garantiti alle casse comunali”.

Lei è vicepresidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, assieme alla collega Luisa Lantieri di Forza Italia. Il presidente Gaetano Galvagno è espressione di Fratelli d’Italia. In tanti (troppi) si chiedono come riuscite a dialogare, considerato che siete agli antipodi su tutto in ambito strettamente politico?

“Politicamente è vero siamo agli antipodi ma prima di qualsiasi ruolo o appartenenza politica siamo siciliani, coetanei innamorati profondamente della nostra terra e per il bene dell’istituzione che rappresentiamo, cerchiamo sempre un punto di incontro nel rispetto delle diversità di ognuno”.

Si profilavano agli orizzonti accordi con Pd e Sud chiama Nord in vista delle Europee. E’ saltato tutto?

“Nessun accordo coi partiti alle prossime elezioni Europee e liste aperte solo a personaggi di spicco della società civile. Il MS5 camminerà sulle proprie gambe, col contributo di ottimi apporti dalla società civile e in questo senso ci stiamo muovendo. A stretto giro comunicheremo anche le modalità per le candidature. Per quanto riguarda le amministrative, il simbolo del Movimento non sarà presente in tutti i Comuni, ma solo dove esiste un gruppo fortemente radicato con un serio e credibile progetto a supporto. Il simbolo va tutelato e non può essere concesso a cuor leggero anche a chi, magari, spera di raccattare qualche consenso confidando esclusivamente sul voto d’opinione”.

Facciamo un passo indietro: lei alle ultime regionali, si è candidato alla presidenza della Regione. I risultati però hanno premiato Renato Schifani, espressione del centro destra. Non ha mai pensato (anche per un attimo) che fosse una partita persa in partenza, considerato che aveva solo il suo movimento ad appoggiarla?

“Assolutamente no. Come M5S Sicilia abbiamo fatto il massimo per dare ai siciliani un‘alternativa al governo fallimentare di destra. Peccato solo aver avuto poco tempo per la campagna elettorale per veicolare ai siciliani la nostra visione di Sicilia”.

Ritenterà la corsa alla presidenza della Regione?

“È stata un’esperienza meravigliosa. Se i siciliani lo vorranno, sarò sempre a disposizione”.

C’è un punto (almeno uno), in cui come Movimento 5 stelle siete d’accordo con i lavori portati avanti dal governatore?

“Aspettiamo ancora che agli annunci seguano i fatti. Nessuna riforma è stata portata in aula. Siamo orgogliosamente alternativi a questa destra che sta deludendo in primis i siciliani che l’hanno votata”.

Quando ha saputo che Giancarlo Cancelleri, storico grillino, vi ha lasciati per approdare in Forza Italia, cosa ha provato?

“Ognuno fa le sue scelte e si assume le proprie responsabilità”.

L’asse Palermo – Roma con le interlocuzioni con i senatori gelesi Damante e Lorefice, funziona?

“Assolutamente sì. Si lavora da squadra, facendo il massimo per la nostra Sicilia e la nostra Gela”.

E’ sempre contrario alla realizzazione del ponte sullo stretto?

“Ritengo che ci siano altre priorità. Come si può parlare di ponte se l’acqua delle dighe finisce a mare, se basta la pioggia per rendere le strade impraticabili, se viaggiare in treno è impossibile per molti territori, se la sanità pubblica ha notevoli carenze…”

Gli ultimi sondaggi nazionali, evidenziano un crollo del Movimento. Siete distanti oltre 10 punti da Fratelli d’Italia. Come legge questi dati e da dove bisogna ripartire?

“Io non vedo nessun crollo del M5S, vedo invece tanti italiani prima illusi ed adesso delusi da questa destra di sola propaganda. Meloni e Salvini stanno saccheggiando il Sud e la Sicilia. Noi del M5S siamo orgogliosamente opposizione a questa visione di società divisa per caste. Per fortuna sono tantissimi i cittadini che ci vedono come ultimo baluardo alla malapolitca che a livello nazionale ha azzerato il welfare e che con l’autonomia differenziata, che rischia di affossare definitivamente il Meridione, oggi ha raggiunto l’apice, senza dimenticare altre vergogne dell’agenda Meloni come la legge bavaglio. Non è certo migliore l’agenda Schifani, i cui riflettori sono puntati più che sui bisogni dei cittadini, su norme vergognose come la salva ineleggibili, la sanatoria delle ville abusive o sull’incommentabile spartizione della sanità, mentre ospedali e pronto soccorso esplodono, i medici scappano verso il privato e le liste d’attesa risultano cancellate solo sulla carta”.

Perché ha scelto di fare politica?

“Mi è sempre piaciuto essere parte attiva della società. Ai tempi dell’università mi sono avvicinato alla politica per poi nel 2010 iscrivermi al blog di Beppe Grillo: da lì è cominciato tutto”.

Perché ha deciso di sposare proprio il progetto del Movimento 5 stelle?

“Perché tutte le altre forze politiche si erano staccate dal Paese reale, dai bisogni dei cittadini preferendo le logiche del palazzo. C’era bisogno di una forza politica fatta da cittadini e non professionisti della politica che rimettesse al centro del dibattito battaglie fondamentali come la legalità, la giustizia sociale, la tutela dell’ambiente, della salute e dell’istruzione pubblica e la lotta agli sprechi. Battaglie in cui mi riconosco, portate avanti dal M5S che quindi ha rappresentato la mia scelta naturale”.

Cosa non rifarebbe di tutto ciò che ha fatto in politica?

“Rifarei tutto!”

Il suo sogno?

“Dare una nuova speranza ai siciliani con un governo regionale a 5 stelle”.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
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