Seguici su:

La parola della domenica

“Lazzaro, vieni fuori!” Il morto uscì

Pubblicato

il

Rubrica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 11,1-45

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Della resurrezione di Lazzaro la cosa che colpisce di più è il suo silenzio. Non prega, non chiede, non supplica, non ringrazia.

Eppure Gesù lo tira fuori da quel sepolcro, demolendo in un attimo tutta la logica matematica che a volte ci guida nella fede. La resurrezione di Lazzaro è un atto di pura gratuità di Gesù. Dio non ama solo chi se lo merita, chi lo prega, chi è grato.

Dio ama tutti, anche quelli che non fanno niente di tutto ciò, perché chi è nella condizione di Lazzaro sembra impossibilitato, incapace a fare qualunque cosa. Un morto non prende iniziativa.

“Lazzaro, vieni fuori!” (v. 43). Lazzaro è la forma greca del nome ebraico Eleazar, che significa aiuto di Dio. Lazzaro diventa il preludio di ciò che è annunciato da Gesù: “è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno” (Gv 5, 25). Gesù ha potere sulla morte perché lo ha anche sul peccato, che ne è la causa. Per questo, in qualche modo, le bende che legano e avvolgono Lazzaro rappresentano non soltanto i legami dello sheol, ma anche quelli del peccato.

Papa Francesco dava questa spiegazione: “Il gesto di Gesù che risuscita Lazzaro mostra fin dove può arrivare la forza della Grazia di Dio, e dunque fin dove può arrivare la nostra conversione, il nostro cambiamento […]. Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti! […] Il Signore è sempre pronto a sollevare la pietra tombale dei nostri peccati, che ci separa da Lui, la luce dei viventi”. Fissiamo la nostra attenzione su un particolare: Gesù non interviene direttamente su Lazzaro, ma si avvale della mediazione di altri perché lo sleghino. In questi collaboratori possiamo vedere simbolizzati anche i ministri che nella Chiesa assolvono dai peccati.

clicca per commentare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

La parola della domenica

«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini»

Pubblicato

il

 Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Vangelo secondo LucaLc 5,1-11

 In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Le letture di oggi propongono uno dei temi più affascinanti dell’esperienza religiosa: quello del Dio trascendente e glorioso, tremendum et fascinansTremendum, perché dice santità e inaccessibilità. Dio non lo si può possedere. Al suo cospetto gli uomini avvertono un timore “numinoso”, come di fronte a qualcosa che si è indegni di avvicinare perché troppo piccoli e inadeguati. E tuttavia fascinans, perché il mistero attira e rapisce: la creatura sente, nonostante tutto, il bisogno di avvicinarsi. Questa esperienza “religiosa – sommariamente descritta – non è l’esperienza dell’uomo biblico, perché il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio di Gesù, non se ne sta racchiuso nella sua onnipotenza maestosa, incutendo paura e tremore, ma discende per entrare in relazione con l’essere umano. È Dio stesso che si china per abbracciare il limite umano in un amplesso di intimità salvifica. Di fronte al Santo l’uomo avverte rispetto, ma non paura, perché, come dice il cantico, Dio scende per «visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,79)

Prima lettura: Is 6,1-2a-3-8

La visione di Isaia si apre con uno sguardo sulla corte celeste e sulla celebrazione della trascendenza e della santità divina. Dio appare attorniato dai serafini che cantano la sua santità, mentre il tempio si riempie di fumo. Gloria, santità, nube, fumo… sono tutte espressioni della trascendenza di Dio, dell’insondabile mistero che lo avvolge. Bisogna stare però attenti a non confondere il “mistero” divino con l’umiliazione della ragione umana, come se Dio, con la sua “lontananza”, volesse tenere l’uomo a distanza. No, Dio non mortifica l’uomo per ergersi su di lui. La Bibbia non parla mai della paura di Dio, ma del timore di Dio, che è altra cosa. Temere Dio significa “prenderlo sul serio”! Il mistero divino dice alterità e libertà, gratuità e grazia. Il mistero di Dio dice che quanto di lui sappiamo è un dono, una promessa e che noi non siamo in grado di comprendere tutto, perché non siamo neppure capaci di comprendere noi stessi. Dio va preso sul serio e amato anche se rimane il nostro «immenso enigma, il nostro grande amore, l’infinito dolore della nostra vita» (Lippert). Lo sappiamo tutti: il più grande dei misteri non è la persona più lontana, ma la più prossima, la più vicina.

Eppure Isaia, di fronte a lui, si sente indegno: «Ohimé, sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono!». Un profeta, chiamato ad annunciare la Parola con le sue labbra contaminate, confessa la sua indegnità proprio nel compito che gli è stato affidato. Non si tratta tanto di una confessione di peccato, quanto di una distanza incolmabile che separa ogni uomo da Dio. «Domine non sum dignus / Signore non sono degno» esclamano tanti uomini di Dio davanti al mistero ineffabile della chiamata: lo esprime Geremia, un altro profeta di Dio, avvertendo l’abisso della propria inadeguatezza davanti al mistero di Dio e lo pronuncia un centurione davanti a Gesù (Mt 8,8).

A questi uomini Dio stesso risponde, non per sottolineare la distanza, ma per far sì che si cambi la prospettiva. Il simbolo del fuoco che purifica o della parola divina che invia nonostante le obiezioni degli inviati dicono sostanzialmente una cosa: non è l’uomo a dover scalare il monte santo, perché non ne è capace; Dio stesso varcherà l’abisso.

Ed ecco il prodigio: alla richiesta di chi debba annunciare a tutti la salvezza e il giudizio, Isaia risponde con prontezza: «Eccomi! Manda me». È la fiducia totale di chi si getta interamente nelle braccia di Dio. Che cosa importano indegnità, paura, fallimento e peccato? Eccomi è la gioiosa certezza che sulla nostra debolezza si riversa la misericordia divina.

Il Vangelo: Lc 5,1-11

Il racconto sobrio e un po’ schematico della chiamata dei primi discepoli nel vangelo di Marco diventa, in Luca, un racconto emozionante e denso che, in analogia al racconto della vocazione di Isaia, insiste sulla percezione che l’uomo ha di se stesso e di Dio, quando le loro strade s’incontrano.

Le figure dominanti sono Gesù e Pietro, con un evidente rimando alla situazione ecclesiale. I discepoli di ogni tempo sono invitati così a rileggere questo racconto come una storia che riguarda la loro identità di chiamati e il fondamento stesso del loro essere chiesa alla sequela di Cristo. La folla «che premeva su di lui per ascoltare la parola di Dio» lungo il lago di Genezareth è un segno evidente della fame della Parola di cui parlava il profeta Amos: «Ecco: giorni stanno arrivando, oracolo del Signore Dio, in cui manderò la fame sulla terra: non fame di pane né sete di acqua, bensì di ascoltare le parole del Signore» (Am 8,11).

Questa Parola si rivolge a Simone intimandogli di gettare le reti, dopo una notte di vana fatica. Un ordine paradossale, contro ogni logica umana. La disponibilità di Pietro non è solo un atto di rispetto e di prontezza di fronte al comando del Signore. «Sulla tua parola calerò le reti» rivela un atteggiamento molto più profondo: è la stessa scommessa di Abramo che, nella notte, «non indugiò a lungo, non discusse con se stesso, né chiese come Adamo nel paradiso terrestre: perché Dio mi ordina di far questo? Non ubbidì alla sua propria carne… che anzi di questa cosa non parlò nemmeno con la sua Sara, né le disse qualcosa; avendo udito l’ordine, non dubitò, ma si affrettò ad eseguirlo» (Von Rad). È la fede che rischia, consapevole che Dio, sia quando parla sia quando tace, lo fa per amore: ci guida con la sua voce, ci educa col suo silenzio.

La pesca viene descritta da Luca con molti dettagli, a sottolineare che Dio non solo risponde alle attese umane, ma le esalta. Di fronte alla potenza divina, tuttavia, Pietro ripercorre la stessa esperienza di Isaia e di ogni uomo religioso: «Allontanati da me Signore, perché sono un peccatore!». Abbiamo qui – ancora una volta – ben più di una semplice qualifica morale; si tratta di una percezione di inadeguatezza: chiedendo a Gesù di allontanarsi, Pietro lo riconosce santo e incomparabile, radicalmente diverso da tutto ciò che egli potesse conoscere o immaginare.

Eppure il Signore, inavvicinabile e inenarrabile, sceglie proprio Pietro “il peccatore” per appartenergli. Dio pronuncia davanti a lui il suo  definitivo, il suo Amen, ed è su questo Amen, su questo sì di Dio che riposa la missione della chiesa: «Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Da quel momento l’essere e l’agire di Pietro riposano esclusivamente sull’azione di grazia del Signore. A significare che gli uomini vanno a Dio con la loro debolezza, la loro indegnità e il loro peccato; pensano di non farcela, ma proprio quando «uno si immagina di non essere più in grado di proseguire il cammino con Dio, perché è troppo difficile, ecco che la vicinanza di Dio, la fedeltà di Dio, la forza di Dio diventano la sua consolazione e il suo soccorso. Solo allora sappiamo chi è Dio e qual è il senso della nostra vita» (Bonhoeffer).

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano

Continua a leggere

La parola della domenica

Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore

Pubblicato

il

Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc.2,22-40)

“Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.”

———————————————–

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Luca 2, 29-31).

Questa festa è chiamata con svariati nomi, ciascuno dei quali ricorda un fatto avvenuto in questa giornata in cui la Sacra Famiglia ci diede l’esempio della più perfetta ubbidienza.

Iddio nell’Antico Testamento aveva prescritto che ogni figlio primogenito fosse consacrato a Lui in memoria del beneficio fatto al suo popolo quando tutti i primogeniti degli Egiziani perirono sotto la spada dell’Angelo sterminatore risparmiando invece gli Ebrei.

Un’altra legge poi ordinava che ogni donna ebrea si presentasse al Tempio per purificarsi, quaranta giorni dopo la nascita del bambino, oppure dopo ottanta, se era una figlia, portando alcune vittime da sacrificarsi in ringraziamento ed espiazione.

Siccome le due cerimonie potevano compiersi tutte due assieme, Giuseppe e Maria portarono Gesù alla città santa, quaranta giorni dopo il Natale.

Benché Maria non fosse obbligata alla legge della purificazione, poiché Ella fu sempre vergine e pura, tuttavia per umiltà ed ubbidienza volle andare come le altre.

Ubbidì poi al secondo precetto di presentare ed offrire il Figlio all’Eterno Padre; ma l’offrì in modo diverso dal come le altre madri offrivano i loro figliuoli. Mentre per le altre madri questa era una semplice cerimonia. senza timore di dover offrire i figli alla morte, Maria offrì realmente Gesù in sacrificio alla morte, poiché Ella era certa che l’offerta che allora faceva doveva un giorno consumarsi sull’altare della croce.

Giunti nel recinto del tempio venne loro incontro un vecchio venerando di nome Simeone, uomo giusto e pio, a cui lo Spirito Santo aveva promesso che non sarebbe morto prima d’aver mirato il Salvatore del mondo. Illuminato dal cielo aveva riconosciuto che il figlio di Maria era appunto l’aspettato delle genti. Presolo fra le braccia nell’entusiasmo della riconoscenza esclamò: «Or lascia, o Signore, che il tuo servo, secondo la tua parola, se ne vada in pace…»: poi benedisse i genitori del Bambino dicendo a Maria: «Ecco Egli è posto a rovina e resurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; ed anche a te una spada trapasserà l’anima».

Maria istruita nella Sacra Scrittura aveva già intravvisto tutte le pene che doveva patire il suo Figlio. e nelle parole di Simeone ne ebbe la dolorosa conferma.

Maria a tutto acconsente. e con mirabile fortezza, offre Gesù all’Eterno Padre, ma la sua anima fu in quel momento attraversata da una spada.

Fatta l’offerta come prescritto dalla legge del Signore, Maria e Giuseppe ritornarono nella Galilea, alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva e si fortificava pieno di sapienza, e la grazia di Dio era con Lui.

Maria per ubbidienza volle adempiere quanto prescriveva la legge, quantunque non vi fosse obbligata. Impariamo anche noi ad ubbidire a tutte le leggi, perché, come dice la Sacra Scrittura, l’uomo ubbidiente riporterà vittoria.

Dio onnipotente ed eterno, supplichiamo umilmente la tua maestà, che come l’Unigenito Figlio tuo quest’oggi fu presentato al Tempio nella sostanza di nostra carne, così tu faccia che noi siamo presentati a te con animo purificato.

MARTIROLOGIO ROMANO

Continua a leggere

La parola della domenica

“Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode”

Pubblicato

il

Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo LucaLc 1,1-4;4,14-21 

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:«Lo Spirito del Signore è sopra di me;per questo mi ha consacrato con l’unzionee mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,a proclamare ai prigionieri la liberazionee ai ciechi la vista;a rimettere in libertà gli oppressi,a proclamare l’anno di grazia del Signore».Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”

————————————————-

Gesù nella sinagoga apre il rotolo di Isaia, apre la parola dei profeti e le dà voce, la spezza e la distribuisce, esattamente come in altri casi ha fatto con il pane.Perché la Parola è pane, e nutre, e rinfresca, e rimette in piedi.

Gesù legge il rotolo che gli è stato consegnato, che non è semplicemente qualcosa di importante, non è solo una parola scritta, non è solo memoria e promessa. Gesù legge, è in sinagoga come ogni sabato, e a dircelo è Luca che, no, non è un testimone oculare degli eventi. Non ha vissuto né visto. Lui ascolta, studia, raccoglie memorie, autorevoli, certo, ma memorie, esperienze che altri hanno vissuto. Ma lui che, come noi, vive di quella fede tramandata, raccontata, lui dà senso e profondità agli eventi e, a sua volta, racconta

Lo fa per me, per te, per ogni amico di Dio, per ogni teofilo appunto.Lo fa perché da quel giorno a Nazaret noi possiamo accogliere la parola di Dio per ciò che realmente è, possiamo comprenderne quale grande potenza la attraversa, potenza che continua a essere realtà, e di cui forse ci siamo un po’ dimenticati.Nella nostra esperienza di fede siamo abituati a celebrare l’Eucaristia, perché giustamente sappiamo essere il corpo e il sangue di Gesù. Ma quanto spazio diamo alla Parola? A quella con la P maiuscola. A quella che ha tratto dal nulla la creazione, l’ha posta in essere e continua a darle vita. Forse questa III domenica del Tempo Ordinario, chiuso il sipario dei grandi eventi, ci porta lì ai piedi della Parola, chiedendoci tempo e spazio.È straordinario quello che accade davanti alla Legge quando Esdra la porta davanti al popolo, apre il libro e lo legge.Provate a leggere la prima lettura e a immaginarvi in quella folla, a sentirvi parte di quel popolo ritornato dall’esilio che sta ricostruendo sé stesso, la sua relazione con Dio, la sua città, il suo tempio.Provate e provare la gioia della libertà dopo la schiavitù.Provate lasciarvi attraversare dalla gratitudine per quel Dio che aveva riportato il suo popolo a casa, e ora poteva essere nuovamente lodato, pregato, adorato.È intenso, quello che possiamo leggere nel libro di Neemia. Eppure, nonostante la sua forza, è ancora lontano dall’annuncio a Nazaret: «Oggi», dice Gesù, «questa Scrittura che avete ascoltato si è compiuta». Ed è proprio questa la grande rivoluzione che può ancora stravolgere la nostra vita: la Parola accade, è viva. Accade nella storia e, pronunciata, si fa evento. La Parola quando può raggiungerci ci tocca e ci trasforma, perché è potenza che attraversa anima e materia.Ha creato, e continua a farlo.Ha sollevato, e continua a farlo.Ha fatto fiorire i deserti, e continua a farlo.Che questa Parola viva, liberante, che è Gesù Cristo, ci trovi pronti a esserne casa, discepoli, ministri, testimoni.

Suor Mariangela

Continua a leggere

Più letti

Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
Publiedit di Mangione & C. Sas - P.iva: 01492930852
Pubblicità