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Giudiziaria

Senza nome non c’è offesa: assolta una giovane social

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Il post di internet non indicava un nome preciso quindi l’estensore non può essere condannato.

Sentenza di assoluzione è stata emessa dalla dott.ssa Nicastro del Tribunale di Gela in favore di una giovane donna niscemese accusata a seguito di querela della persona offesa, di avere perpetrato una diffamazione sul canale Facebooj. La vicenda fa riferimento ad un paio di anni fa quando la ragazza ha scritto un post in un blog a cui potevano accedere 11.000 persone nel quale raccontava vicende personali in campo lavorativo. Entrava nei particolari riferendo danneggiamenti subiti da lei e dalla sua famiglia indicando in forma generica persone con le quali aveva avuto rapporti di lavoro che hanno portato al licenziamento che, a suo parere , potevano essere gli autori del danneggiamento. La titolare di una attività commerciale, riconoscendosi in quella descrizione presentò querela di diffamazione a mezzo internet ritenendo che la sua attività commerciale veniva lesa nell’immagine pubblica. A seguito di giudizio abbreviato scelto dalla difesa rappresentata dall’avv. Salvo Macrì e dopo la costituzione in giudizio della commerciante tramite l’avv. Arcerito, ieri è stata pronunciata la sentenza. Il Pubblico Ministero aveva chiesto la condanna della giovane, gravata da una esosa somma di denaro. Il difensore Macrì con un’arringa di 40 minuti, a emesso sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. Ha dato ragione alla difesa che non ha misconosciuto il post ma quello che manca è l’elemento di identificazione della parte offesa, mancando il nome e i riferimenti precisi fa mancare la possibilità alla platea di internet di individuare la persona che invece si è riconosciuta. Il difensore ha citato sentenza della V sezione della Suprema corte che richiamando precedenti in materia civilistica confermano che la indeterminatezza della persona offesa fa venire meno gli elementi minimi del reato.

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Giudiziaria

Don Rugolo condannato anche in Appello

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Tre anni di reclusione: è la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Caltanissetta che ha condannato don Giuseppe Rugolo, il sacerdote ennese accusato di violenza sessuale su minorenni. I giudici hanno applicato l’attenuante della tenuità del fatto per due delle vittime individuate, rideterminando la sentenza di primo grado che era stata di quattro anni e sei mesi.

L’impianto dell’accusa ha retto anche in appello, come la credibilità del giovane archeologo Antonio Messina, sulla cui denuncia è stato incardinato il processo. La Corte d’appello ha estromesso la diocesi di Piazza Armerina dalla responsabilità civile

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Giudiziaria

Sentenza amianto killer: difesa condannata

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Roma – Amianto killer nelle navi della Marina: la Difesa condannata in via definitiva a risarcire 400mila euro la famiglia di Michele Cannavò morto di mesotelioma.

La vittima è stata esposta senza protezione per 34 anni nei cantieri e sulle navi .

Una nuova, pesante condanna, appena passata in giudicato, quindi definitiva, per il Ministero della Difesa: il Tribunale Civile di Roma ha stabilito un risarcimento di circa 400mila euro in favore dei familiari di Michele Cannavò, motorista navale della Marina Militare, deceduto a causa di un mesotelioma pleurico provocato dall’esposizione prolungata all’amianto.

Cannavò, originario della provincia di Catania, e residente a Siracusa, ha servito per 34 anni lo Stato tra il servizio militare e civile, operando in ambienti contaminati e privi di adeguate protezioni. Imbarcato su diverse unità navali – tra cui la Nave Albatros e il MOC 1201 – e impiegato nell’Arsenale Militare di Augusta, è stato quotidianamente a contatto con fibre di amianto: nei motori, nei corridoi, nei rivestimenti delle condotte, fino agli stessi ambienti di vita delle navi.

Un’esposizione continua, intensa e silenziosa, che gli è costata la vita. La diagnosi è arrivata nel 2019. La morte, appena due mesi dopo.L’INAIL ha riconosciuto il nesso causale tra l’infermità e le mansioni svolte in Marina, nel periodo del servizio civile. Una conferma ulteriore della gravità della negligenza istituzionale.

“Finalmente giustizia per la famiglia Cannavò” – commenta Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale dei familiari – “Questo risarcimento non potrà restituire Michele ai suoi cari, ma rappresenta un passo in avanti verso la tutela delle vittime e la bonifica definitiva dell’amianto da navi e arsenali militari.”

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Giudiziaria

Inchiesta Camaleonte: assolti gli imprenditori Luca e il dirigente di polizia Giudice

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Cade in primo grado l’impianto dell’inchiesta Camaleonte che ha coinvolto gli imprenditori Luca accusati di rapporti con clan mafiosi.

Il presidente del collegio penale Miriam D’Amore ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Sono stati assolti il fondatore del gruppo Salvatore Luca, il figlio Rocco, il fratello Francesco, il genero Francesco Gallo, la moglie Concetta Lo Nigro, la figlia Maria Assunta Luca e la cognata Emanuela Lo Nigro. Tutti gli imputati hanno  respinto sempre l’accusa di legami con la mafia. I Luca si sono dichiarati, invece, vittime e hanno sostenuto che il loro patrimonio era frutto del lavoro. Lacrime,commozione e abbracci tra i componenti della famiglia Luca alla lettura del dispositivo di sentenza.

E’ stato assolto anche il dirigente di polizia Giovanni Giudice, che ha rinunciato alla prescrizione maturata. Era accusato di aver favorito i Luca, tesi sempre respinta.

La prescrizione, con esclusione dell’unica aggravante, è stata decisa per l’ altro poliziotto coinvolto Giovanni Arrogante. 

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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