12 novembre sono esattamente 140 anni dalla sciagura della miniera Gessolungo, la più grave nella storia mineraria nissena che gettò nel lutto e nello sconforto la nostra città e la nostra provincia, scrivendo una pagina purtroppo indimenticabile nella tormentata epopea dello zolfo in Sicilia.
Quella mattina, per uno scoppio di grisou, il micidiale gas, nella miniera in contrada Juncio morirono all’istante 49 operai, mentre altri 16 si spensero nei giorni seguenti per le gravi ferite riportate, portando così a 65 il bilancio delle vite umane immolate a quell’ennesima sciagura mineraria.
Numerosi gli operai rimasti feriti e scampati fortunosamente alla morte. Parecchi dei minatori deceduti sul colpo, ed estratti dalle viscere della miniera dopo giorni di ricerche, non poterono nemmeno essere riconosciuti dato lo scempio che l’esplosione del gas aveva causato del loro corpo.
I morti, per decisione dell’autorità prefettizia dell’epoca, e non potendo essere trasportati al cimitero cittadino, trovarono sepoltura in un piccolo camposanto appositamente realizzato su uno spezzone di terra di proprietà Calafato, vicino la miniera: ed è proprio quel fazzoletto di terra dove, grazie all’impegno dell’associazione “Amici della Miniera” di Caltanissetta, per anni presieduta dall’indimenticato Mario Zurli, in tempi recenti è stato realizzato, con l’intervento del Comune, l’attuale Memoriale dei “carusi”.
“Abbiamo voluto accendere i riflettori su una delle pagine più vergognose della storia siciliana contemporanea – ha detto il presidente della Regione Nello Musumeci – quella dello sfruttamento di tanti essere umani, giovani e meno giovani. Una pagina sulla quale abbiamo tutti il dovere di promuovere la conoscenza, soprattutto fra i ragazzi della scuola, una pagina che ci insegna ad avere rispetto per gli altri, soprattutto per i più deboli, per gli emarginati, quelli che erano diventati pegno umano nelle mani di pochi, a fronte dell’indifferenza di tutti i governi che si sono alternati e hanno preferito volgere lo sguardo da un’altra parte”.
Questa la cronaca di quel tragico 12 novembre 1881. Sono le 6 e un quarto del mattino, quando si verifica l’esplosione nelle viscere della zolfara, gestita dai fratelli Carmelo e Riccardo Tortorici: poco prima sono scesi in miniera gli operai del turno mattutino. Ci si rende subito conto della gravità del disastro e ci si prodiga al meglio per portare aiuti alla zolfara.
Il consigliere delegato facente funzione di prefetto, Pietro Franco, telegrafa subito al Governo per informarlo dell’accaduto ed invocare soccorsi, e lo stesso giorno della disgrazia istituisce un comitato di soccorso: tale organismo già all’indomani si attiva lanciando un appello a tutti i presidenti delle deputazioni provinciali della Sicilia, ai sindaci dei Comuni della provincia e delle maggiori città dell’Isola, ai proprietari di miniere e soprattutto alle più importanti congregazioni di carità del Regno.
Il comitato annovera alcune delle autorità e dei notabili dell’epoca: oltre al prefetto Franco, ne fanno parte il notaio Michele Leonardi, facente funzione di sindaco, il preposto cav. Giuseppe Cosentino, il presidente della Congregazione della Carità avv. Salvatore Scarlata, il cav. Giuseppe Gaetani con funzioni di cassiere, il cav. Luigi Giordano e il non ancora conte Ignazio Testasecca; ne è segretario il giornalista e scrittore Giovanni Mulè Bertòlo.
Vengono subito costituiti anche quattro sottocomitati (uno per ognuno dei principali quartieri della città) allo scopo di raccogliere somme e relazionare sulle condizioni delle famiglie colpite dalla disgrazia. Anche la stampa nazionale rilancia l’eco dell’appello del comitato nisseno e i giornali romani “Gazzetta Nazionale” e “Il Messaggero” offrono il loro contributo in tal senso.
Frattanto il ministro dell’Interno De Pretis dispone l’erogazione di un primo contributo di 500 lire a favore del comitato nisseno, seguito da un successivo di 3.000 lire.
In tale circostanza il Mulè Bertòlo, convinto dell’efficacia e dell’utilità della presenza della stampa come immediato mezzo di informazione e anche come punto di riferimento in occasioni siffatte, pubblica il giornale “Gessolungo”, una specie di bollettino nel quale viene riportata nel dettaglio l’attività del comitato e viene seguito l’evolversi della situazione in città nei giorni successivi al disastro. Il primo numero esce il 20 novembre 1881, gratuitamente stampato – come i successivi – nella tipografia dell’Ospizio di Beneficenza.
Le offerte arrivano da ogni parte d’Italia e finanche da Bruxelles: la somma a disposizione del comitato di soccorso ammonta esattamente a lire 34.915 e 69 centesimi «…delle quali si danno come sussidi – annota il meticoloso Mulè Bertòlo – lire 20.419,69 alle famiglie degli operai morti, L. 2.664 alle famiglie degli operai ammalati. L. 897 rappresentano compenso di medici a prezzo della compra di medicinali ed altro, e L. 10.500 si destinano a vantaggio dell’istituto Maddalena Calafato, che si obbliga di ricoverare 28 fanciulle colpite dalla sventura del 12 novembre…».
A proposito dell’Istituto “Calafato”, proprio il disastro di Gessolungo farà anticipare l’apertura dell’orfanotrofio, la cui solenne inaugurazione avverrà il 12 marzo 1882.
Sono questi alcuni dei dati contenuti nella “Relazione del comitato di soccorso” sulla sciagura di Gessolungo redatta dallo stesso scrittore e nella quale sono riportati, oltre all’elenco nominale di tutti i morti, le famiglie di appartenenza e il loro domicilio, l’elenco dei feriti e il lunghissimo elenco delle offerte ricevute.
Ritornando alle vittime, da un rapporto dell’ingegnere Conti, responsabile del Distretto minerario di Caltanissetta nel 1881, ne ricaviamo alcuni nomi. Dei 49 minatori deceduti sul colpo fu possibile riconoscerne solo 35, gli altri furono sfigurati dall’esplosione e dalla lunga permanenza nelle viscere dalla zolfara che fu subito chiusa dopo l’incidente che innescò un incendio durato diversi giorni.
I primi cadaveri furono estratti solo 11 giorni dopo lo scoppio del grisou: molti erano di “carusi”, cioè i ragazzini adibiti al trasporto del minerale. Walter Guttadauria
Due licatesi di 20 e 33 anni, sono stati arrestati dai Carabinieri della Stazione di Licata, supportati dalla Sezione Radiomobile della Compagnia, in esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Agrigento, su richiesta della locale Procura della Repubblica.
I due sono ritenuti gravemente indiziati, a vario titolo, dei reati di furto aggravato, tentato furto aggravato e porto ingiustificato di coltello, in relazione a numerosi episodi avvenuti, in orario notturno, tra dicembre 2024 e gennaio 2025 ai danni di diversi esercizi commerciali del centro cittadino. Le indagini, condotte dai militari della Stazione di Licata sotto il coordinamento della Procura di Agrigento, si sono sviluppate attraverso l’analisi di numerosi sistemi di videosorveglianza e la raccolta di ulteriori elementi a carattere fortemente indiziario, che hanno consentito di ricostruire in modo dettagliato le modalità operative dei presunti autori.All’esito dell’attività investigativa, è stato emesso il provvedimento restrittivo: uno degli indagati è stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico, mentre per l’altro è stato disposto l’obbligo di dimora nel centro urbano del Comune di Licata, con prescrizione di permanere nella propria abitazione nelle ore notturne. Entrambi rimangono a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
Prosegue incessante l’attività di controllo del territorio condotta dai Carabinieri della provincia nissena, sviluppata non solo nelle aree urbane e maggiormente frequentate ma anche attraverso servizi di rastrellamento delle aree rurali e più impervie del comprensorio, grazie al prezioso supporto specialistico dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Sicilia”. In particolare, i militari della Stazione di Mazzarino, assieme a quelli dello Squadrone, hanno individuato un terreno non recintato, in contrada Finocchio , all’interno del quale destava sospetto la presenza di mezzi in stato di abbandono e di vecchie cisterne di acqua in disuso. Procedendo ad accurata ispezione dei luoghi, all’interno di uno dei veicoli e di una cisterna i Carabinieri hanno rinvenute, ben occultate e protette dagli agenti atmosferici, due armi da fuoco con matricole abrase, una carabina calibro 22 LR marca ZOM451 e un fucile sovrapposto calibro 12 e una ventina di cartucce calibro 12 a palla unica e spezzata.Le armi e il munizionamento, in ottimo stato di conservazione e pronto all’uso, sono state poste sotto sequestro, per i successivi accertamenti. L’ipotesi investigativa è che possano essere state utilizzate nell’ambito di attività delittuose, considerando anche il luogo in cui erano nascoste, un’area rurale isolata e difficilmente raggiungibile, ideale per l’occultamento. Le operazioni si inseriscono in una più ampia strategia di controllo, esteso alle vaste aree boschive e di campagna della provincia, con particolare attenzione al circondario di Gela, dove lo Squadrone Eliportato Cacciatori “Sicilia” continua a operare con elevata professionalità al fianco dei reparti territoriali, al fine di contrastare ogni forma di illegalità, con particolare riferimento alla disponibilità illecita di armi.Sono in corso indagini finalizzate a risalire ai responsabili dell’occultamento, ma anche a un possibile utilizzo, in passato, delle armi sequestrate.
Ragusa – I Carabinieri della Sezione Radiomobile e della Stazione di Ragusa Principale sono intervenuti presso un’abitazione al pian terreno di uno dei vicoli del centro storico, su richiesta dei Vigili Urbani del capoluogo ibleo.
I Carabinieri sono accorsi in aiuto dei dipendenti del comparto di servizi sociali cittadini, erano stati aggrediti da K.K., un 42enne togolese assistito dal servizio sociale, il quale versava in uno stato di forte agitazione psicofisica, tale da impedire, con urla e brandeggio di una grossa mannaia, qualunque tentativo di approccio nel tentativo di pacificarlo.
Giunti sul posto unitamente ad un equipaggio della squadra volanti della Polizia di Stato e dei Vigili del Fuoco, anche i Carabinieri sono stati fatti oggetto del tentativo di aggressione con il grosso coltello.
Per scongiurare il pericolo che le minacce del togolese potessero sfociare in comportamenti aggressivi etero od autodiretti, e considerata anche la disponibilità, all’interno del piccolo appartamento, di ben tre bombole di gas che avrebbero potuto rappresentare un grave pericolo per l’incolumità pubblica, in relazione al forte stato di agitazione psicofisica del soggetto, le Forze dell’Ordine, aprendosi contemporaneamente più varchi di accesso all’appartamento e protetti da idoneo equipaggiamento difensivo, sono riuscite a penetrare all’interno dell’alloggio ed a bloccare l’extracomunitario, non senza prima dover parare diversi fendenti di machete, sferzati dal soggetto che andavano però fortunatamente ad impattare sugli scudi e sui caschi degli agenti.
L’immediato intervento di un medico del 118 giunto sul posto ha permesso quindi di accompagnare in piena sicurezza il togolese in ospedale per le cure del caso. Nei suoi confronti è scattato il deferimento all’Autorità Giudiziaria iblea per i reati di violenza e minaccia nei confronti di Pubblici Ufficiali.