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Giudiziaria

I dipendenti pubblici assolti nei procedimenti penali hanno diritto al rimborso delle spese

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Il dr. I.T. Dirigente Generale del Dipartimento Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico dell’Assessorato della Salute della Regione Siciliana era stato sottoposto ad un giudizio penale, in concorso con altri, presso il Tribunale di Gela.

All’esito dell’udienza preliminare del 21 febbraio 2020, il Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Gela ha pronunciato sentenza con cui dichiarava non luogo a procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato ascritto, perché il fatto non costituisce reato.

Il dr. I.T., giudicato assolto dai reati contestati, richiedeva all’Amministrazione di appartenenza – Assessorato della Salute della Regione Siciliana – il rimborso delle spese legali sostenute per la difesa in giudizio, ma tuttavia l’amministrazione regionale, in ragione del parere negativo reso dall’Avvocatura Distrettuale di Caltanissetta, negava il rimborso richiesto.

A questo punto il dr. I.T., con il patrocinio degli avv.ti Girolamo Rubino e Daniele Piazza, proponeva un giudizio innanzi al Tribunale di Palermo contro l’Assessorato Regionale della Salute, evidenziando l’erroneità del diniego reso dall’Amministrazione regionale e deducendo di contro la sussistenza di tutti i presupposti di legge per la liquidazione e la corresponsione degli importi richiesti e chiedendo la condanna al pagamento di quanto spettante.

Gli avv.ti Rubino e Piazza contestavano il parere reso dall’Avvocatura dello Stato, la quale, anziché limitarsi ad operare una valutazione sulla congruità della parcella, a fronte di una sentenza di assoluzione piena, sosteneva che le disposizioni in materia di rimborso spese legali sostenute dai pubblici dipendenti andrebbero intese nel senso che, laddove permangano profili di responsabilità (ancorché non penale), il rimborso non potrebbe avere luogo.

In particolare, secondo la prospettazione dell’amministrazione regionale nel caso in esame il rimborso non sarebbe potuto spettare in ragione della presunta illegittimità dei provvedimenti amministrativi adottati anche dal dr. I.T..

Il Tribunale di Palermo – Sez.III Civile – con ordinanza del 26 ottobre 2022, ha integralmente accolto l’azione promossa dagli avv.ti Rubino e Piazza, condannando l’Assessorato regionale della Salute al pagamento di quanto richiesto, oltre le ulteriori spese giudiziali.

In particolare, il Tribunale di Palermo, condividendo integralmente le tesi difensive degli avv.ti Rubino e Piazza, ha affermato che “nel processo penale si potrà avere solo una “dichiarazione” di esenzione da responsabilità penale”, evidenziando l’irrilevanza della legittimità o illegittimità del provvedimento amministrativo e chiarendo che l’idea che, dopo la pronuncia di assoluzione, residui per l’amministrazione un margine per valutare la sussistenza di ulteriori profili di responsabilità di natura diversa da quella contestata in sede penale non trova conferme nelle norme di riferimento.

Anche sul quantum dovuto, il Tribunale di Palermo ha accolto le prospettazioni dei legali Rubino e Piazza affermando che l’oggetto del rimborso copre tutte le spese necessarie entro i limiti massimi previsti dalle tariffe ufficiali e non sui minimi di tariffa come sostenuto dalla difesa erariale.

Pertanto, per effetto dell’accoglimento dell’azione promossa, l’Assessorato regionale della Salute sarà costretto a rimborsare le somme spettanti al dr. I.T. e le ulteriori spese giudiziali

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Giudiziaria

Don Rugolo condannato anche in Appello

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Tre anni di reclusione: è la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Caltanissetta che ha condannato don Giuseppe Rugolo, il sacerdote ennese accusato di violenza sessuale su minorenni. I giudici hanno applicato l’attenuante della tenuità del fatto per due delle vittime individuate, rideterminando la sentenza di primo grado che era stata di quattro anni e sei mesi.

L’impianto dell’accusa ha retto anche in appello, come la credibilità del giovane archeologo Antonio Messina, sulla cui denuncia è stato incardinato il processo. La Corte d’appello ha estromesso la diocesi di Piazza Armerina dalla responsabilità civile

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Sentenza amianto killer: difesa condannata

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Roma – Amianto killer nelle navi della Marina: la Difesa condannata in via definitiva a risarcire 400mila euro la famiglia di Michele Cannavò morto di mesotelioma.

La vittima è stata esposta senza protezione per 34 anni nei cantieri e sulle navi .

Una nuova, pesante condanna, appena passata in giudicato, quindi definitiva, per il Ministero della Difesa: il Tribunale Civile di Roma ha stabilito un risarcimento di circa 400mila euro in favore dei familiari di Michele Cannavò, motorista navale della Marina Militare, deceduto a causa di un mesotelioma pleurico provocato dall’esposizione prolungata all’amianto.

Cannavò, originario della provincia di Catania, e residente a Siracusa, ha servito per 34 anni lo Stato tra il servizio militare e civile, operando in ambienti contaminati e privi di adeguate protezioni. Imbarcato su diverse unità navali – tra cui la Nave Albatros e il MOC 1201 – e impiegato nell’Arsenale Militare di Augusta, è stato quotidianamente a contatto con fibre di amianto: nei motori, nei corridoi, nei rivestimenti delle condotte, fino agli stessi ambienti di vita delle navi.

Un’esposizione continua, intensa e silenziosa, che gli è costata la vita. La diagnosi è arrivata nel 2019. La morte, appena due mesi dopo.L’INAIL ha riconosciuto il nesso causale tra l’infermità e le mansioni svolte in Marina, nel periodo del servizio civile. Una conferma ulteriore della gravità della negligenza istituzionale.

“Finalmente giustizia per la famiglia Cannavò” – commenta Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale dei familiari – “Questo risarcimento non potrà restituire Michele ai suoi cari, ma rappresenta un passo in avanti verso la tutela delle vittime e la bonifica definitiva dell’amianto da navi e arsenali militari.”

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Inchiesta Camaleonte: assolti gli imprenditori Luca e il dirigente di polizia Giudice

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Cade in primo grado l’impianto dell’inchiesta Camaleonte che ha coinvolto gli imprenditori Luca accusati di rapporti con clan mafiosi.

Il presidente del collegio penale Miriam D’Amore ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Sono stati assolti il fondatore del gruppo Salvatore Luca, il figlio Rocco, il fratello Francesco, il genero Francesco Gallo, la moglie Concetta Lo Nigro, la figlia Maria Assunta Luca e la cognata Emanuela Lo Nigro. Tutti gli imputati hanno  respinto sempre l’accusa di legami con la mafia. I Luca si sono dichiarati, invece, vittime e hanno sostenuto che il loro patrimonio era frutto del lavoro. Lacrime,commozione e abbracci tra i componenti della famiglia Luca alla lettura del dispositivo di sentenza.

E’ stato assolto anche il dirigente di polizia Giovanni Giudice, che ha rinunciato alla prescrizione maturata. Era accusato di aver favorito i Luca, tesi sempre respinta.

La prescrizione, con esclusione dell’unica aggravante, è stata decisa per l’ altro poliziotto coinvolto Giovanni Arrogante. 

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Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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