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Le ‘Nuvole dell’anima’ di Scalabrino e il premio ‘Giuseppe Blanco’

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Al Museo civico di Niscemi è avvenuta la presentazione del saggio “Nuvole nell’anima” del trapanese Marco Scalabrino. Un testo su Mario Gori che scandaglia, come un pendolo che oscilla tra fiotti di sofferenza e zampilli di ottimismo, la vita di Mario Gori attraverso la lente critica di un non niscemese. C’ erano il sindaco Conti , l’ assessore alla cultura David D’ Erba.

“Un’esistenza, quella del Gori, che Marco Scalabrino tratta dal suo punto di vista di privilegiato regista – ha detto il prof Gartano Vicari – di responsabile delle scelte degli stralci degli autori che hanno preso in esame il perimetro poetico-umano del Gori e di coordinatore delle tematiche goriane, con una palese e consolidata focalizzazione esterna dell’opera.

Le riletture successive mi sono servite per arrivare a un discorso plurale degli esiti linguistici e critici, e cioè che ogni esame interpretativo, ogni singola esegesi è individuale, e molteplici sono i punti di vista. Il mio è uno di questi.

Ho cercato di raccogliere i “chicchi di grano critici”, quelli necessari per dare un contributo attendibile all’analisi dello scritto di Marco Scalabrino, cioè ho cercato di evidenziare uno dei diversi modi di “leggere” e di interpretare un testo.

Tuttavia il mio compito, stasera, non è quello di tratteggiare la figura di Mario Gori. Nel testo l’esponente del Trinacrismo è scandagliato umanamente e poeticamente in modo ammirevole dalle sequenze critiche di chi ha scritto sul Gori, inquadrate e incolonnate con sagacia, con acume, dall’autore trapanese.

Molteplici e appassionanti sono le sensazioni che si percepiscono leggendo il saggio Mario Gori – Nuvole nell’anima: sono “aghi silenziosi” che pizzicano l’animo;

sono precisi e opportuni tasselli che si incastonano alla perfezione nel corpo saggistico; sono fasci luminosi della mente che filtrano le nuvole della vita del Gori.

Il libro, infatti nasce da un arroccamento profondo dell’Io dello studioso di Trapani nel ricordo del Gori, da uno spazio interiore di riflessione del prof. Scalabrino sul passato poetico del poeta niscemese e da un finissimo e certosino lavoro di sincrasi.

È il bello “sottile” che genera gioia, brio, letizia. La veste del libro rappresenta lo stile di un pensiero.

lo studio critico ha il sapore della libertà, di una libertà che assomiglia a parametri rigorosi di strutturazione del testo e che possiede una precisa strategia argomentativa: il richiamo di testi e testimonianze in Mario Gori.

Il saggio di Marco Scalabrino nasce tra gli spazi delle parole, nel loro reciproco contatto lessicale, con una interpretazione olistica dell’accezione, nel senso che il tutto è più delle singole parti.

Il testo è strategicamente costruito su dissertazioni critiche, scelte in modo consapevole, perché il tempo del raccontare Mario Gori è sostanzialmente cronologico e fortemente incisivo e contribuisce, con valide argomentazioni guidate da un parametro di presupposizione linguistica, a dilatare il tempo del vivere.

Ed ecco comparire le riflessioni e le considerazioni critiche di Giuseppe Blanco (che sarà ricordato anche stasera) e Gaetano Quinci, di Angelo Marsiano e Giuseppe Giugno, di Giuseppe e Salvatore Buscemi (quest’ultimo è stato ricordato l’altro ieri), di Luigi Benintende e Nino Rizzo, che si invorticano, si inalveano e si decussano, attraverso una competenza proiettiva e in modo facondo, nella definizione di un quadro poetico armonioso e veritiero.

Quelle citate sono tutte persone che hanno conosciuto e stimato Mario Gori. Nel testo, altresì, compaiono altre personalità del mondo della cultura che l’hanno apprezzato e ammirato.

È questo il senso della letteratura, cioè è un patrimonio di conoscenze letterarie che consentono a chi le possiede di alzare una difesa contro ciò che C. Pavese chiamava gli insulti della vita.

L’inizio e la fine del libro di Marco Scalabrino sono accomunati da una  medesima azione: il movimento ciclico.

Ecco l’incipit del libro: “La Sicilia è un cimitero di dimenticati” (Antonino Cremona), come riporta Scalabrino nel Preambolo.

La conclusione è affidata a Gaetano Amato, che richiamato da Marisa Sedita, sostiene che “il popolo racchiude nella sua solitudine la volontà di vivere in un alone di mistero su cui, oscuro, incombe il ghigno della morte”.

Ma la morte non può prevalere sul ricordo, ed ecco creato uno Zirkelschluβ compiuto.

Tra la volontà di operare e la morte, vi è la vicenda che ci fa comprendere quanto importante sia la libertà, l’autodeterminazione, il pensiero, l’autonomia di uno scrittore.

Il libro di Scalabrino è l’espressione del piacere della lettura che nutre la mente.

Conta ciò che dico – sembra precisare il suo testo –, ma conta anche come lo dico e come lo predispongo. Nel suo saggio si rileva altresì che l’essenziale è ciò che non è stato detto, ma che appare oltre il testo: il suo messaggio simbolico, la sua carica figurativa, la sua dimensione metaforica.

Un saggista, e Marco Scalabrino certamente lo è, è un uomo che conosce l’uomo:

è una persona che discerne, che ricerca;

è chi vince la resistenza della pagina bianca, con la parola che è felice nelle sue mani;

è chi sa trasferire sensazioni ai lettori, ricostruendo, attraverso una sincrasi, la vita umana e versificativa di un poeta;

è una persona che scrive anche per bisogno,

è chi si pone delle domande critiche alle quali affianca risposte logiche.

La ragione per cui si scrive è, congiuntamente, la forza della passione e la potenza del linguaggio.

Il suo scritto ritma il respiro delle pagine, dà ossigeno ai concetti, e la sua parola è capace di dare l’impressione che la nostra lettura può essere migliore se è guidata dalla ragione del critico nella misura in cui è anche alimentata dal suo cuore.

Marco Scalabrino ci suggerisce, perché provato da lui, che è “necessario leggere ogni parola dentro di noi”, poiché la lettura richiede al lettore una partecipazione interessata, una disposizione alla comprensione, utile a metabolizzare le pagine, costruite con specifici riferimenti e allusioni che si decussano con la condizione dell’uomo contemporaneo.

Il suo libro rappresenta uno studio sull’uomo attraverso il filtro di chi lo ha studiato, il filtro di persone che parlano dell’uomo.

È questo un altro senso della letteratura, è, cioè, per dirla con Sartre, la presa di coscienza dell’uomo sull’uomo e sul mondo che lo circonda, per arrivare alla conclusione di essere irrimediabilmente e orgogliosamente prigionieri delle radici, la cui conoscenza ci deve inondare di gioia, perché ci permettono di evitare gli errori del passato, aprendoci un presente ricolmo di futuro.

Se il futuro è una porta, il passato ne è la sua chiave, diceva Victor Hugo.

È uno studio dell’uomo essere mortale, ma duraturo grazie al potere del ricordo, che è capace di fissare il movimento e l’emozione.

Noi possiamo provare gli stessi moti dell’animo di uno scrittore, ma siamo incapaci di fissarli, non siamo all’altezza di modellarli, non siamo in grado di trasferire l’aroma dei fremiti del cuore come è stato in grado di fare Marco Scalabrino con le sue pertinenti, appropriate sequenze critiche che sono delle perle di conoscenza.

Nelle sue pagine troveremo la vita del poeta Mario Gori, che è vissuto con una vena di sincera umanità, sgorgata da un cuore caldo, e fatta di atti di vita quotidiana che racchiudono essenziali atomi di sapere.

Chiudo qui il mio intervento, percependo, nel mio intimo, di avere di sicuro omesso di trattare altre argomentazioni rilevanti, per cui sarò indubbiamente incorso nella frase:

Ciò di cui non si parla, di regola, è la cosa più importante“.

Il tutto inframezzato dagli interventi poetici di Giovanni Parisi Avogaro e Salvatore Parisi che ha declamato le poesie di Mario Gori.

“Marco Scalabrino è un poeta che si esprime in lingua e in dialetto, studioso del dialetto siciliano. Ha pubblicato anche testi in prosa e le sue poesie sono state tradotte in varie lingue straniere da Barkan, Carolyn e Mary Kleefeld; mentre Scalabrino ha tradotto in italiano opere di Nelson Hofmann, Inês Hoffmann, Airo Zamoner – ha detto bella sua relazione il prof. Salvatore Rizzo –

È stato anche componente della equipe regionale del progetto L.I.R.e.S. promosso dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca – Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, per lo studio del Dialetto Siciliano nella Scuola.

 Mi ero chiesto cosa avesse spinto Marco Scalabrino a scrivere questo bel saggio su un poeta deceduto 50 anni fa.

E la risposta Scalabrino la dà subito, all’inizio del suo Preambolo. Una risposta che viene da lontano.

<< La Sicilia è un cimitero di dimenticati’, ebbe sconsolatamente a osservare Antonino Cremona quanto a Mario Gori in una sua lettera del 21 aprile 1997 a Salvatore Di Marco. Questa asserzione mi frullava molesta per il capo da anni. Davvero è così? Ed è normale, giusto, scontato che sia così? Affinché non ne abbia a trascorrere disatteso il cinquantenario della scomparsa e per arginare un po’ l’amarezza di quella immagine di abbandono il proposito di approntare questo studio-tributo sul poeta niscemese>>.

Al termine della lettura di questo “studio-tributo” si apprezza moltissimo il lavoro e la professionalità dell’Autore nella ricerca delle opere di Mario Gori, studi, saggi, libri di altri studiosi, tesi di laurea, riviste culturali, l’immenso lavoro di operatore culturale, direttore e fondatore di tre riviste culturali, “La Soffitta”, “Banditore Sud” e “Sciara”, citazioni e qualche polemica. Ma soprattutto le citazioni dei suoi estimatori: da Rosso di San Secondo, a Salvatore Quasimodo, da Giuseppe Ungaretti a Renata Giambene, da Sebastiano Addamo, a Gaetano Vicari, a Gaetano Quinci.

E il rituffarci in questo straordinario e prezioso pezzo di memoria letteraria è veramente salutare.

Il Centro di promozione culturale “Mario Gori” di Niscemi ha dato le giuste indicazioni bio-bibliografiche e ne è venuto fuori veramente un bel libro.

Non so quanti lettori ricordano la polemica dell’unico incontro tra Mario Gori e Leonardo Sciascia, venuto a Niscemi, appositamente invitato dall’allora sindaco Emanuele Di Bennardo, almeno così mi ha riferito in una discussione di qualche decennio fa, per incontrare Mario Gori.

L’incontro non ebbe l’esito sperato. E creò non pochi malumori quando Sciascia pubblicò “questa memoria” su “L’Ora” di Palermo nel gennaio del 1959

Ma ci penserà Marco Scalabrino, una sessantina d’anni dopo, a mettere le cose a posto.

Infatti, riprende un bell’articolo di Giuseppe Ravegnani, pubblicato sul periodico “Epoca”, il 23 dicembre 1956, quindi tre anni prima del giudizio poco lusinghiero di Sciascia, e sancisce che Mario Gori “… è poeta autentico, di ricco sangue, di personale forza espressiva ed emotiva. Anche nei risultati formali, nell’uso dell’endecasillabo (e ricordo in special modo ‘Notturno Pisano’ poesia del tutto compiuta e risolta sul piano di un’accesa e irrompente umanità), appaiono notevoli e rilevatori di un loro deciso carattere“.

 Il libro contiene una scansione cronologica, fedele e rigorosa, della vita di Mario Gori.

La sua situazione famigliare, descritta a Scalabrino da Luigi Benintende, amico fraterno e d’infanzia di Mario: “Il padre era un uomo tranquillo, riservato, laborioso che esercitava il mestiere di falegname. Era magro asciutto, di alta statura, con lo sguardo un po’ strabico e un’espressione vagamente trasognata. […] La madre, donna Maricchia, aveva una tempra differente, tenace, risoluta, all’occasione anche aggressiva. Di statura non alta, con l’età si era appesantita, mantenendo nel volto i segni di una mediterranea bellezza e nei modi le tracce di una fierezza, quasi primitiva, quasi selvaggia“.

I suoi studi, le sue passioni, le sue emozioni, le sue sofferenze sono affidate alla scelta delle poesie presenti in questo libro, intercalate con giudizi di quanti si sono occupati delle sue poesie e dei suoi testi in prosa.

Un lavoro intenso, una rincorsa a quanti potevano fornire notizie su avvenimenti, sulla vita, sulle opere di questo nostro Poeta.

Un lavoro veramente interessante, e rigoroso,  molto rigoroso che, per certi versi, ci presenta un Mario Gori rivisitato con gli occhi di una modernità che sicuramente, era sfuggita a molti di noi”.

L’ occasione è stata giusta per assegnare i premi per la prima edizione del premio “Giuseppe Blanco ” istituto dall’ Inner Wheel di Niscemi presieduto da Tiziana Alecci. I premi sono andati ad Ezia Di Diego e Gaetano Nigito.

“E’ un quadro quello che dipinge la giovane Ezia. – si legge nella motivazione- La particolarità è che lo dipinge con le parole. Nel leggere l’elaborato, si ha la sensazione chiara, quasi una visione, di vedere Mario e Pino passeggiare nel viale che porta al Belvedere, affacciarsi sulla piana di Gela e parlare di poesia. E’ così che la candidata tratteggia non solo l’immagine di un vissuto realmente accaduto fra gli anni ‘30 e ’60, ma di un rapporto intenso di amicizia e di affinità elettive che sconfina con la cultura, con le lettere e la poesia. E poi i paesaggi che fanno da cornice all’immagine di un legame forte che dalla vita di quel tempo arriva fino al 2022. Una  “forma di comunicazione che abbatte ogni barriera che dice tutto, senza svelarne l’incanto” – per usare le sue stesse parole. La studentessa ha centrato l’obiettivo della traccia proposta dalla commissione del Premio Letterario ‘Giuseppe Blanco’. Fa di più:  eterna un sentimento fra i due amici che, con la cultura, si trasforma in connubio letterario senza tempo”.

“L’amaro parallelo fra la società liquida attuale e quella pregna di contenuti solidi di un tempo è il concetto portante da cui si dipana l’elaborato di Gaetano Nigito che mette a paragone la solida amicizia di Gori e Blanco con l’individualismo sfrenato del nostro tempo. – scrive la commissione esaminatrice nella motivazione – E’ per questo che Giuseppe Blanco a cui è intitolata la prima edizione del Premio letterario che celebriamo oggi, ha sentito il dovere – piacere di eternare l’opera dell’amico Gori, mancato anzitempo. Un senso del dovere dettato dall’ammirazione letteraria oggettiva ma anche dal sentimento amicale che lo ha indotto a lasciare ‘nero su bianco’ una traccia scritta della produzione dell’amico; e una realtà come quella del viale intitolato al poeta, che induce i niscemesi a ripetere continuamente il suo nome. Il ricordo. Quello che mantiene vivo chi non c’è più. “…di me non resteranno che parole” , il candidato ricorda con queste parole Gori. E sono quelle parole e tante altre che ci hanno portato oggi qui, a ricordare………

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