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La parola della domenica

“Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”

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Rubrica ad ispirazione cattolica a cura di Totò Sauna


“Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cèdigli il posto! Allora dovrai, con vergogna, occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va a metterti allultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: Amico, vieni più avanti! Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che laveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anchessi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». Lc 14,1.7-14
 
 
Continua il Signore a  starci vicino. A prenderci per mano, per condurci ad una vita vera. Vissuta. Una vita da protagonisti e non da comparse. Una vita dove, tu e io, caro lettore, apprezziamo ogni attimo. In questo brano del vangelo ci invita a riflettere  su alcuni comportamenti umani. Su alcune nostre abitudini. Ci invita a stare attenti. Perché spesso queste mode, questi comportamenti possono diventare i veri padroni della nostra vita. Ci invita allessenzialità. Alla pienezza della vita. Siamo circondanti da sorrisi suadenti, Da gente impegnatissima in tutto.  Per natura diffido dai sorrisi stampati sulle labbra. Diffido dai sorrisi stereotipati. Diffido dagli abbracci vuoti. Di chi ti accoglie con un sorriso suadente o con, la cosa peggiore, unumiltà ostentata, falsa.  Sepolcri imbiancati. Gesù ci invita ad essere UMILI. Ma come facciamo ad essere umili se non ci conosciamo? Se non sappiamo quali sono le nostre priorità? E a che cosa siamo disposti a fare per raggiungerle? Spesso questa umiltà viene confusa con atteggiamento pauroso. Mi metto da parte perchè ho paura di una reazione. Faccio lumile per convenienza, per uno stupido servilismo. Disposti a calpestare la nostra persona per apparire buonini, per non offendere il Potente, per accattivarci simpatie futili. La persona che sostiene di non valere niente, di essere ignobile e disprezzabile, commette un grave peccato di fronte a Dio, non è umile, ma depresso. La persona che nasconde le proprie fragilità dietro lipocrisia di unimmagine di sé eccessiva e distorta, costruisce la sua autostima su fragilissime basi..  Questo accumulare serve delusione e non poter esprimere la propria opinione fa nascere la depressione e tanti danni. Fino a quando non si esplode con casi di violenza inaudita di cui i giornali sono pieni. Ma come si volevano bene. Non parlavano mai. Diffido di chi non parla mai. Di chi non esprime il proprio parere. Da chi dallalto dei pulpiti grida umiltà ,ma, poi, sceso, non mi saluta, non mi stringe la mano, non mi abbraccia, crea distanze. Mi è successo. Allora cosa è per me lumiltà? Abbracciare totalmente la Croce. Abbracciare, senza se e senza ma, Gesù Cristo. Fare la sua volontà.  Diventiamo umili se abbiamo chiaro che i padroni della nostra vita non siamo noi. Ci affanniamo, corriamo a destra e a manca, pensando che siamo noi che risolviamo i problemi di Gela, del mondo ,delluniverso, invece dobbiamo riuscire a cambiare il cuore. Poi, basta un piccolo raffreddore e ci salta lappuntamento. Arriva un terremoto improvviso e distrugge tutto. Quando capiremo che la vita non ci appartiene.  Lho detto in tante mie riflessioni e lo ripeto. Il problema è il cuore, il problema sono gli occhi, il problema è la mente. Come faccio ad essere umile se corro come gli  altri al potere, allapparire, alla corsa allavere. Allora dobbiamo essere tutti poveri? Si, ma non materialmente. Nessuno qua sta dicendo che dobbiamo fare i pezzenti e domandare lelemosina,. ma lumiltà sta nellavere chiaro:questa  è la strada che devo percorrere. Cristo è la Via. Quali sono gli obbiettivi della vita. Perché viviamo? Viviamo per essere ai primi posti nei convegni ed essere pronti a baciare la mano al politico di turno? Viviamo perché ci piacciono gli applausi? Viviamo per avere lultimo vestito alla moda e non ci interessa se nostro marito ha dovuto stare al lavoro 2 giorni in più per poterlo comprare e poi ci lamentiamo con le amiche perché non cè mai?  Perché cosa viviamo? Viviamo per essere sempre visibili e per essere rispettati temuti voluti bene ammirati?  Il dramma è che qualcuno ci crede, che pensa che sia quella la strada, che lorigine della propria insoddisfazione consista nella propria invisibilità. Peggio: il mondo senza Dio si scopre esigente, moralista, spietato nei giudizi, intransigente (con gli altri). Ma, grazie a Dio, Gesù ci dona un messaggio opposto: non abbiamo bisogno di mostrarci, di apparire,  valiamo per quello che siamo. Con i nostri limiti e difetti. Bassi, alti con le gobbe o meno, grassi e magri.. Lautostima che nasce nel nostro cuore non è misurata dalle nostre abilità, no, ma dal fatto che siamo pensati, voluti e amati dal nostro Dio. Noi valiamo, siamo importanti questo è il messaggio della Scrittura, siamo  preziosi agli occhi di Dio. Non hanno importanza i nostri limiti  né la misura della nostra paura. Non importa cosa gli altri pensano di noi: noi  valiamo, siamo preziosi agli occhi di Dio. Perciò non abbiamo la  necessità di ostentare, di cercare ossessivamente una visibilità che il mondo ci nega o riserva a pochissimi eletti. Noi  valiamo, anche se non vinceremo mai nessuna medaglia doro.
Buona Domenica
Totò Sauna

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La parola della domenica

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Giovanni.

Gv 13,31-33a.34-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Il Vangelo di oggi ci conduce nel Cenacolo per farci ascoltare alcune delle parole che Gesù rivolse ai discepoli nel “discorso di addio” prima della sua passione. Dopo aver lavato i piedi ai Dodici, Egli dice loro: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Ma in che senso Gesù chiama “nuovo” questo comandamento? Perché sappiamo che già nell’Antico Testamento Dio aveva comandato ai membri del suo popolo di amare il prossimo come sé stessi (cfr Lv 19,18). Gesù stesso, a chi gli chiedeva quale fosse il più grande comandamento della Legge, rispondeva che il primo è amare Dio con tutto il cuore e il secondo amare il prossimo come sé stessi (cfr Mt 22,38-39).Allora, quale è la novità di questo comandamento che Gesù affida ai suoi discepoli? Perché lo chiama “comandamento nuovo”? L’antico comandamento dell’amore è diventato nuovo perché è stato completato con questa aggiunta: «come io ho amato voi», «amatevi voi come io vi ho amato». La novità sta tutta nell’amore di Gesù Cristo, quello con cui Lui ha dato la vita per noi. Si tratta dell’amore di Dio, universale, senza condizioni e senza limiti, che trova l’apice sulla croce. In quel momento di estremo abbassamento, in quel momento di abbandono al Padre, il Figlio di Dio ha mostrato e donato al mondo la pienezza dell’amore. Ripensando alla passione e all’agonia di Cristo, i discepoli compresero il significato di quelle sue parole: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». (Papa Francesco)

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La parola della domenica

“Io sono il buon pastore..”

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola”

“Io sono il buon pastore, conosco le mie pecorelle, le conosco e loro conoscono me». Domenica scorsa, se vi ricordate, nel Vangelo abbiamo sentito il dialogo di Gesù con Pietro: «Mi ami? Pasci le mie pecorelle». Oggi, nel Vangelo, il Risorto si presenta ancora, si presenta e assume tutta la responsabilità del Pastore. Ci sarà Pietro, ci saranno altri pastori, ma è Lui che le guida alle sorgenti della vita: loro appartengono a Lui, perché Lui dà a loro la vita, le salva. La quarta domenica del Tempo Pasquale spesso viene chiamata domenica del Buon Pastore, perché così si chiama Lui stesso nel brano odierno. È il buon pastore che ha dato tutto per il suo gregge. Ha dato la vita per l’umanità, è il modello, l’esempio di come ogni persona, ogni uomo, deve crescere, crescere nella santità, nella consacrazione a Dio. Ma oggi, questa domenica del Buon Pastore, da anni viene anche celebrata come domenica di preghiera per le vocazioni. La parola “vocazione” vuol dire chiamata. Noi tutti siamo chiamati, abbiamo ricevuto diverse vocazioni. Siamo stati chiamati alla vita per mezzo dei nostri genitori, da nulla siamo stati chiamati all’esistenza, a vivere. E la nostra vita non finirà mai più. Ciascuno di noi, poi, ha una propria vocazione, vocazione specifica, la vocazione che lo porta, che lo guida verso la santità: la vocazione alla vita religiosa, alla vita matrimoniale, al celibato, vedovile… Ma in ogni stato di vita noi siamo l’unico gregge, il Suo gregge, il gregge che Egli guida. La nostra vita è una risposta concreta alla Sua chiamata, che in questo tempo di Pasqua risuona ancora più squillante, più forte, più bella… Tante volte, in questi giorni di Pasqua, abbiamo visto il Signore, lo abbiamo visto con la Maddalena, con i discepoli, con gli Apostoli, sempre più forti, sempre più missionari. Ed anche oggi ci si presenta il Signore Risorto, Lui, Pastore, il Pastore che ha offerto la vita per le proprie pecorelle. Nella prima lettura abbiamo sentito san Paolo, Bàrnaba, i loro sforzi missionari per la fede della Chiesa, che non può rimanere nascosta: si manifesta sempre più, va, annunzia, proclama, spiega quella luce… Ma il cuore degli ebrei, dei farisei, continua ad essere duro. Continuano a rifiutare la Buona Novella, come hanno fatto con Gesù. Sono gelosi della fede che loro stessi proclamano, sono gelosi di Dio nel quale loro stessi credono. Ma il Signore, anche dai nostri peccati, sa fare cose buone. Dal loro rifiuto, san Paolo deduce che il messaggio cristiano è rivolto ai pagani, è rivolto a noi. «Era necessario – dice Paolo – che ci rivolgessimo prima a voi, ma voi vi siete rivelati indegni della Buona Novella, e allora ci rivolgiamo ai pagani». Un progetto divino, una profezia che già san Giovanni, nell’Apocalisse, ha visto, ha predetto. Da quel messaggio, da quella intuizione di Paolo nasce una moltitudine immensa, di ogni nazione, di ogni razza, di ogni popolo e lingua, in mezzo alla quale c’è quella figura che san Giovanni chiama l’Agnello, ma in cui noi riconosciamo il Pastore grande, e conosciamo e sappiamo che quell’Agnello senza macchia è Cristo, Cristo – Re dei re e Signore dei signori. A Lui, che è, che era e che sarà, lode, gloria e potenza nei secoli eterni.

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La parola della domenica

Gesù si manifesta ai discepoli, dopo la Resurrezione

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

“In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».” (Gv 21,1-19)

” Venite a mangiare”, ripete Gesù a te e a me. Il cibo che ci offre Gesù non è inquinato. Esso è un cibo puro che fa bene allo spirito e anche al corpo. Il cibo che offre il mondo si presenta piacevole al palato, ma è immondizia e causa un cancro allo spirito e anche al corpo. Il cibo che ci offre Gesù attraverso la Chiesa è fatto di ingredienti che sono: VERITÀ E AMORE. Gesù dice a te e a me: “Vieni e siediti alla mensa della mia Parola”. La parola di Dio è VERITÀ. Chi mangia la Parola di Dio chiude la bocca al cibo che viene offerto dal diavolo. Certo, quando si comincia a masticare la Parola di Dio si ha l’impressione che essa ha un gusto amaro, ma mentre la si ingoia diventa dolce.Gli insegnamenti del mondo vanno giù nel cuore senza difficoltà. Sono piacevoli. Ma una volta ingoiati si trasformano in veleno. Chi ingoia immondizia gli verrà sicuramente il cancro. Questa generazione è affetta da tante malattie mentali e psicologiche. Il peccato non fa bene né allo spirito né al fisico. Il mondo dice ai giovani: “Fate sesso perché è cosa buona”. Quanti aborti si commettono al di fuori della vita coniugale! Cosa procura l’aborto? Una ferita che sanguina per tutta la vita. Molte donne sono diventate nevrotice a causa degli aborti commessi prima del matrimonio o durante il matrimonio.Il mondo dice: “Prova il piacere dell’adulterio. Fa bene alla tua vita coniugale!” Cosa genera l’adulterio? La tiepidezza d’amore nel matrimonio e la disgregazione della famiglia.”Vieni a mangiare”, dice Gesù. La mensa eucaristica ci offre il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Dice Gesù: “Chi mangia il mio Corpo e beve il mio Sangue vive di me e non morirà in eterno”. Noi siamo quello che mangiamo. Ricevendo l’Eucarestia con fede, diventiamo sani nello spirito e nel corpo. La nostra personalità, attraverso l’Eucarestia, s’impregna dell’amore, tenerezza, sapienza, fortezza e determinazione di Gesù.Non stare lontano dalla mensa della Parola e dell’Eucarestia se vuoi vivere nella gioia che niente e nessuno ti può rubare. Il piacere passa, ma la gioia rimane.

(P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti)

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