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La parola della domenica

Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe

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Domenica 2 Ottobre 2022
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Lc 17,5-10

Questa settimana siamo invitati a riflettere sulla Fede. Lo stesso Gesù ci sfida “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.” Tante volte abbiamo sentito parlare di avere Fede. Avere Fede significa per me Fidarsi. Fidarsi è avere fiducia di chi ti ha fatto una promessa e sai che questa promessa sarà mantenuta. Fidarsi è sapere che quello che ci indica Dio è la strada giusta, la strada per la nostra felicità e realizzazione. Fidarsi è dire si, a Lui, a Gesù, sempre, nonostante tutto. Nonostante la malattia, il tumore, le sofferenze, le cadute perché sappiamo e siamo certi di una sola cosa: Dio ci ama. Fidarsi è avere un braccio dove attaccarti e avere fiducia che quella mano non ti lascerà mai, che ti terra forte, che non ti mollerà, anche se diventeremo più pesanti, anche, se a volte ci viene la voglia di mollare tutto di lasciare tutto e non vediamo vie di uscita, soluzioni  e  allora l’unica strada possibile ci pare quella della macchina sul mare, anche se a volte questa fiducia crolla, e tutto attorno fallisce, e nostra moglie o marito ci tradisce, i figli non ubbidiscono e gli amici si lasciano e li troviamo solo su Wattsapp a mandarci gli ipocriti“ Buongiorno”, ma non ci sono mai per darti una pacca sulle spalle e dirti “ io ci sono”. Troppo impegnati a correre a vuoto. Fidarsi è sapere che quella via è quella giusta e anche se arrivano giorni bui, tristi in cui tutto e nero e triste, sapere che quella via diventerà luminosa anzi diventerà più visibile,  più bella, più chiara. Fidarsi è svuotarsi, abbandonare i nostri pensieri, il nostro orgoglio, le nostre paure, i nostri schemi mentali, le nostre sicurezze e lasciale a Lui, solo a Lui, riempirci di Lui e  dirgli “Eccoti Signore ti dono tutto di me, ho fatto vuoto dentro il mio cuore, e mi accorgo di essere un servo inutile. Non riesco a fare nulla senza di te. Corro ogni giorno e la sera mi ritrovo stanco e solo. Cerco di riempire le giornate con gli impegni, con la televisione, impegnandomi sempre di più nella società, ma, quando sono solo, o Gesù, trovo solo Te ad accarezzarmi dolcemente e a dirmi “Io ci sono “. Fidarsi è fare la sua Volontà. Ci costa fatica sudore. Ma se riusciamo a stare nella sua Parola, il giogo diventa facile e il preso leggero. Sta nell’ascoltarLo ogni giorno. Ritagliarsi nell’arco della giornata una mezz’oretta, e parlare con Lui. Guardarlo negli occhi e confessare i nostri bisogni, le nostre preoccupazioni e dirgli Grazie per quello che nella nostra vita compie. E’ chiaro che la nostra non è la fede dei meriti, delle medaglie, delle processioni, dei Rosari detti in manera mnemonica che non toccano il cuore. Come non possiamo porre una sbarra alla porta della Chiesa facendo entrare solo coloro che se lo meritano. Non siamo noi a dare giudizi. Noi che siamo i primi peccatori. Siamo tutti servi che fanno il proprio dovere, non esistono, agli occhi di Dio, migliori o peggiori. Dio dona a ciascuno, secondo la propria necessità, non secondo il proprio merito. Siamo solo dei servi della Parola. Cioè il mondo è già salvo, non dobbiamo salvarlo noi. A noi è chiesto di vivere da salvati, a guardare oltre, al di là e al di dentro. A noi Gesù chiede di vivere come uomini di fede. Siamo servi inutili che Dio rende preziosi. Ed annunciare il Regno è talmente bello che ci dimentichiamo delle nostre necessità. Per il resto lasciamo a Dio fare il suo mestiere.

Una preghierina per la mia salute

Buona Domenica

Totò Sauna

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La parola della domenica

Erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose

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Rubrica di ispirazione cattolica

“In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.” (Mc.6,30-34)

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La risposta di Gesù alla folla che lo assedia non sono miracoli o guarigioni, sono gli apostoli, inviati a prendersi cura; sono io, siamo noi, se impariamo il cuore di Dio.

Da quel pellegrinaggio fatto a due a due, i dodici sono tornati. E il successo è evidente: così tanta gente che non avevano neppure il tempo di mangiare. E Gesù li vede stanchi.

Annunciare stanca. Farlo con cuore e senza mezzi stanca anche di più.

Abbiamo una malattia tutta cattolica che è quella di essere eroici, di non mostrare mai cedimenti, mai crepe, di essere sempre sul pezzo. Il vangelo di oggi dice altro: c’è tanto da fare in Israele, malati, lebbrosi, vedove, ciechi, eppure Gesù, invece di buttare i discepoli dentro il vortice del dolore cosa fa? Li porta via con sè, per insegnar loro qualcosa.

Questo meraviglioso vangelo rivela la prima delle tre cose che Dio vuole per noi: lui vuole persone felici, non cerca eroi.

Andiamo a riposarci un po’.

Non dice ai dodici: andiamo a pregare o a ripassare la lezione. No, andiamo in vacanza! Andiamo a fare semplicemente le creature, senza uno scopo, e la vita si prenderà cura di noi.

Sbarcano e subito sono circondati da più gente di prima. Addio silenzio, finita la pace, tutti i programmi saltati.

Il progetto era sacrosanto. Andiamo a tirare il fiato, e Dio non glielo lascia fare. C’è di che innervosirsi.

Ed ecco che Gesù anziché dare la priorità al programma dà la priorità alle persone: sappi che tu vali più dei programmi, perfino di quelli di Dio.

Il motivo è detto in queste due parole: Gesù prova compassione.

Il termine indica un morso, un crampo, uno spasmo dentro, un male allo stomaco.

La prima sua reazione è provare dolore per il dolore del mondo. Tutto quello che segue deriva da questo. Gesù chiama i dodici e affida loro questo suo sentimento che dovranno preservare, custodire, salvare.

Devono imparare le viscere di Dio, ed è la seconda cosa che Lui vuole per noi. Se c’è, fra noi, gente che sa ancora provare compassione davanti al dolore dell’uomo e della donna, allora c’è ancora speranza per il mondo.

Terzo atto della sinfonia della vita. Gesù vede, prova compassione e parla: si mise a insegnare molte cose.

Forse abbiamo dimenticato che c’è una vita profonda in noi, e

Gesù la raggiunge, e allora è come una manciata di luce gettata nel cuore di ciascuno, a illuminare la via.

La risposta di Gesù alla folla dolente che lo assedia non sono miracoli o guarigioni, sono gli apostoli, inviati a prendersi cura; sono io, siamo noi, se abbiamo imparato il cuore di Dio.

Dio vide ciò che aveva fatto: bello! Lo amò, e poté riposarsi. Amare riposa! Andiamo in vacanza con Dio! Proviamo a riposare con lui: una preghiera al mattino, un piccolo brano, un silenzio breve ma intensamente cercato. Cerchiamo un luogo in cui posare la testa sulla spalla di Dio.

È il grande insegnamento di quel giorno: impariamo uno sguardo che abbia commozione e tenerezza, e poi le parole di cura nasceranno.
Padre Ermes Ronchi

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La parola della domenica

E i Dodici vanno, più piccoli dei piccoli…

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,7-13

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

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Vangelo della Domenica
p. Ermes Ronchi

Vangelo che mette con le spalle al muro.
Mi proteggo da questo vangelo, pensandolo rivolto agli altri, invece siamo tutti inviati, tutti sulla strada, come i Dodici, per essere un dito puntato su Gesù, un evidenziatore, un faro su di lui.
E ci viene istintiva la scusa di Mosè: ma come Signore, mandi me balbuziente a parlare alla corte, si metteranno a ridere! O di Geremia: sono troppo giovane; di Amos che protesta: sono solo un mandriano, sto dietro alle mucche.
Ma “l’annunciatore deve essere infinitamente piccolo, solo così l’annuncio sarà infinitamente grande” (G. Vannucci).
Allora vado bene anch’io.
Perché il sacerdote Amasia non si lascia aiutare dal piccolo profeta? Forse perché Dio brucia, e se l’accogli ti cambia la vita.
Io non ero profeta; ero un bovaro, un contadino, mi occupavo della vita. Ma il Signore mi ha “preso”. Confessa una chiamata che è quasi una violazione da parte di Dio. Il vangelo di oggi ci aiuta a farci “prendere”.
Per le strade di Galilea (ogni strada del mondo è Galilea) la gente vede arrivare, sotto il sole, due tipi strani, a piedi, più poveri di un povero, senza bisaccia e con solo un bastone.
​Li vede venire a due a due, che non è la somma di uno più uno, ma è l’inizio della comunione, la prima cellula della comunità.
Ma così arriva il vangelo?
Così è venuto Cristo, senza denaro, senza borsa, nudo sulla croce.
Aveva solo un bastone, il legno della croce, piantato a sorreggere.
Più che sui contenuti da trasmettere, Gesù con i Dodici insiste sulle modalità di come si passa nel mondo: liberi e leggeri. Il come si vive, è la vita. Prima si è visti, poi si è ascoltati.
In tre anni di strade, olivi, lago, pane che non finisce, malati toccati e guariti, hanno appreso l’essenziale, hanno imparato Gesù.
Lui porteranno in giro per le strade.
Riassumo in due linee questo vangelo: l’economia della piccolezza e quella della strada.
La piccolezza attraversa l’intera Bibbia e ne rappresenta l’anima profonda. Quella di Abele, delle donne sterili e madri, di Giuseppe venduto dai fratelli, di Amos e Geremia, della stalla di Betlemme, dei “beati i poveri”, del granello di senape, dei 12 che vanno senza niente fra le cose.
L’economia della piccolezza ci fa trovare profeti là dove la grandezza vede solo piccoli contadini.
E poi l’economia della strada: che è libera ed è di tutti, che non domanda tessere, che ti apre orizzonti ed è sempre nuova. Mettersi per strada è un inno alla libertà e alla fiducia. Un salmo cantato agli incontri che farai.

E i Dodici vanno, più piccoli dei piccoli; li ha messi sulla strada che non si ferma, che verrà sempre incontro, che se li porterà con sé verso il cuore della vita.

Vanno, profeti del sogno di Dio: quello di un mondo finalmente guarito; ripulito dai demoni che invecchiano il cuore giovane della vita.

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La parola della domenica

Nessuno è profeta nella sua patria

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Rubrica della domenica di ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,1-6

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

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Siamo Sillabe di Dio

Dio prende da parte il suo profeta Ezechiele e gli parla duro:
“tu vai! Lo so che sono un popolo dal cuore duro, ma tu profetizza, ascoltino o non ascoltino”.
Introduzione forte e diretta al vangelo del ritorno di Gesù a Nazaret, dove si conoscono tutti.
Nazaret è il nostro paese.
Io sono Nazaret: ho detto qualche volta “sì” a Dio e tante volte “no” al vangelo.
“Ma non è il falegname? Ma che cos’ha da mettersi a fare il maestro?
E cosa ha da toccare i malati con quelle mani, che sanno solo riconoscere i nodi del legno?”
E si scandalizzavano di lui. Di lui, andato a vivere come un senza fissa dimora, un vagabondo che non sa neanche mantenersi.
Gesù, rabbi senza titoli e con i calli alle mani, si è messo a raccontare Dio con parabole nuove, che sanno di casa e di terra, dove un grano di senape diventa rivelazione.
Ma che cosa li scandalizza? L’umiltà di Dio. Non può essere questo il nostro Dio. Dov’è la gloria e lo splendore dell’Altissimo che tuonava sul Sinai?
Questo Dio che viene a tavola con noi. Anzi di più, siede in mezzo a malati e peccatori, pubblicani e indemoniate. Lo scandalo della misericordia. E Gesù lo sa: un profeta non è disprezzato che in casa sua.
Non disprezziamo mai quelli di casa!
C’è il cromosoma di Dio, in tutte le nostre case. Ascoltiamoci!
Ascoltare non è sentire, che è un fatto sensoriale, ascoltare è un fatto di cuore.
Si ascolta come bambini o come innamorati. E noi troviamo mille scuse, anziché aprirci all’ascolto.
E Dio invece si stupisce: con Ezechiele, con i paesani, con me.
Siamo circondati da profeti, magari piccoli. E come gli abitanti di Nazaret, sprechiamo i nostri profeti quotidiani, senza ascoltare l’inedito di Dio. Non mancano i profeti, manca l’ascolto!
Siamo tutti sillabe di Dio.
Ma chi ascoltare? Da chi imparare?
C’è un criterio: ascoltiamo chi ci aiuta a crescere in sapienza e grazia, cioè nella capacità di stupore infinito.
E non quelli che ci mettono lacci alla vita, ma quelli che ci daranno ulteriori ali e la visione di nuovi cieli e una terra nuova.
I buoni maestri ci sono!
La risposta di Gesù al rifiuto dei suoi paesani è bellissima: né rancore, né condanna, tanto meno si deprime per un insuccesso, ma apre una meraviglia che rivela il cuore di luce di Dio: “Solo impose le mani a pochi malati e li guarì”.
È rifiutato ma si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L’innamorato respinto continua ad amare, anche senza contraccambio.
Di noi Dio non è stanco: è solo qualche volta meravigliato. P. Ermes Ronchi

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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