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Ipse Dixit

Parla il Questore: “Impegno costante contro la criminalità. A Gela, poca collaborazione sul fronte antiracket”

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Schietto, diretto; assolutamente poco incline al contorto. E all’artificioso. Il suo ragionamento è limpido. Con stile e garbo. Parlare col Questore di Caltanissetta, è un vero piacere. Perché quando ti trovi a conversare con un servitore dello Stato, analizzi in fondo quello che dice, frutto di innumerevoli interventi sul campo a combattere l’illegalità, purtroppo ampiamente diffusa dalle nostre parti. E non solo. Emanuele Ricifari scatta una foto limpida delle sue esperienze, entrando nel particolare, attraverso un’accurata esposizione di fatti, numeri, nomi e circostanze.

Partiamo proprio dalle radici. Lei catanese doc, finalmente è ritornato in Sicilia, dopo avere attraversato l’Italia in lungo e in largo. Possiamo definirlo il coronamento di un sogno?

“Per me, siciliano, oltre che una soddisfazione è una “restituzione” che dovevo alla mia gente e alla mia terra. Misurarmi con i problemi e le emergenze e farlo dove sono nato e cresciuto era dovuto”

Penultima tappa, è stata la Questura di Cuneo

“L’esperienza a Cuneo è stata la prima da Questore “titolare”. Si tratta di una provincia molto estesa – più della Liguria – con 247 comuni con un contesto socio economico tra i più ricchi e ben amministrati d’Italia. La disoccupazione in tempi di crisi supera di poco il 3%. Gode di un territorio molto bello. Le Alpi marittime gestite con cura dall’ente Parco, le colline delle Langhe e del Roero… terre di vini – i piemontesi – tra i più celebrati. Paesi con rocche medioevali custoditi come bomboniere. Clima temperato dalla poca distanza dal mare. Un’industria meccanica e robotica di livello internazionale e soprattutto un settore agroalimentare d’eccellenza. Il dolciario (Ferrero, Balocco, Maina, Venchi, tanto per citarne alcuni) e la produzione casearia; l’allevamento della razza fassone, la coltura e la cultura del tartufo bianco di Alba. 

Insomma, un contesto ritrovatosi poverissimo e devastato nel dopoguerra e che grazie a generazioni illuminate votate alla fatica e all’impresa familiare e di comunità hanno fatto un vero miracolo per la propria terra, rendendola una delle aree più floride del mondo. Ed in questo quadro vi è una profonda coscienza civile e senso del bene comune che di per se concorrono a realizzare sicurezza. Eppure ci sono dati che ci dicono che questo benessere attrae il malaffare. Furti in ville o aziende, truffe e tentativi di infiltrazione di consorterie criminali (soprattutto calabresi, di etnie nomadi o di origini dell’est Europa)”

Ha lavorato anche a Roma alla Direzione Centrale Anticrimine. Se non sbaglio, è un posto a cui tutti ambiscono…

“In effetti il primo incarico da dirigente superiore (è il grado per fare il Questore in una provincia) è stato di fondare il servizio anticrimine della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. Un servizio che da un lato svolge analisi sui vari fenomeni criminali in ambito nazionale e provinciale in ausilio e indirizzo delle questure e dall’altro sviluppa un’attività di indirizzo e impulso per le misure di prevenzione personali e patrimoniali e di contrasto e prevenzione della violenza di genere e domestica.  Il tutto all’interno della Direzione Centrale che, tramite il Servizio Centrale Operativo, coordina le squadre mobili e le attività investigative più rilevanti a livello interprovinciale e nazionale e il servizio controllo del territorio che fa da impulso e coordinamento agli uffici di prevenzione generale e soccorso pubblico: in una parola, alle volanti”.

E’ stato anche a capo della squadra mobile di Piacenza, la città più lombarda dell’Emilia Romagna così come viene definita dagli stessi piacentini. Cosa porta in sé di quel periodo?

“Ho trascorso a Piacenza ed in Emilia Romagna, tra gli anni ‘90 e i primi anni 2000, uno dei periodi più emozionanti ed impegnativi della mia carriera. Indagini su consorterie albanesi che gestivano la tratta e il racket della prostituzione, indagini su infiltrazioni e traffico di stupefacenti sui cutresi e sul gruppo di Grande Aracri (broker internazionali degli stupefacenti) oggi in carcere e da me arrestato la prima volta a Piacenza nel 1996. Poi ricordo le diverse indagini su omicidi, sempre coronate con l’arresto dei responsabili ed un primato della quasi totalità delle rapine in banche e uffici postali, che in quell’epoca erano molto frequenti. Infine e con grande partecipazione, rievoco le indagini sui casi di violenza sessuale anche di gruppo e su quelli di gravi violenze domestiche nei quali, tra i primi, rivolgemmo un’attenzione mirata e di sostegno personale alle vittime che, considerati i successi ottenuti, furono determinanti per le successive modifiche legislative e la logica di rete di sostegno che si è affermata negli ultimi anni con la normativa sul codice rosso”.

Dicevamo che ha girato lo Stivale, da Nord a Sud. Tappe importanti sono state anche Catania e Reggio Calabria, zone caldissime in ambito criminale….

“Catania in realtà è stata un’esperienza brevissima e legata al X reparto mobile (ex celere) dove fui assegnato appena terminato il corso di formazione dopo il concorso nel giugno del 1989.

Fui infatti subito mandato in missione a Reggio Calabria, che era nell’occhio del ciclone per la triste stagione dei sequestri di persona e per la guerra di ‘ndrangheta che in un bagno di sangue vide consumarsi centinaia di omicidi in pochi anni. Lavorai alle volanti e non smettevo mai. Il mio entusiasmo e quello di diversi giovani colleghi, ci portava a staccare dalla direzione del turno e a continuare mettendoci a disposizione della Squadra Mobile per ogni attività operativa che ci consentisse di fare esperienza e acquisire sul campo le competenze. Fu un’esperienza ricchissima e determinante”.

A Brescia, per 9 anni consecutivi, ha ricoperto l’incarico di vice questore. Le cronache raccontano di momenti di tensione e violenza, nel 2010, a seguito della protesta di alcuni extracomunitari che avevano occupato una gru in piazzale Battisti, spalleggiati dai centri sociali della sinistra antagonista. Lei fu minacciato e diffamato e per oltre dieci mesi (assieme alla sua famiglia) fu scortato dai suoi colleghi.

“Brescia è anche la città dove poi mi sono stabilito e ho preso casa. Segno che tra la gente del capoluogo lombardo mi sono trovato bene. Paradossalmente proprio gli eventi cui conseguirono le minacce da parte della galassia anarco autonoma e dei centri sociali e delle frange più violente e pericolose dell’anarco insurrezionalismo, rese pubbliche sui social, determinarono la reazione di tutto il mondo politico democratico e liberale, di centinaia di cittadini, studenti, stranieri, dei sindacati solidali con me e i miei familiari. Questo mi ha dato la sensazione di avere la gente e le istituzioni vicine e che la campagna di fake anche violenta contro di me era un boomerang”.

Facciamo un ulteriore passo indietro: nel 94/95 ha fatto parte del gruppo di lavoro sui delitti della Uno bianca, presieduta dal Prefetto Achille Serra. Avere poi scoperto che gli esecutori dei numerosi delitti, erano dei poliziotti, cosa le ha provocato? 

“Quella di Bologna fu un’esperienza molto formativa e triste allo stesso tempo. Io arrivai subito dopo gli arresti per integrare la commissione d’inchiesta interna presieduta dal Prefetto Serra e lavoravamo in parallelo al gruppo investigativo che svolgeva l’indagine giudiziaria. Capimmo nel tempo e nell’approfondimento dell’inchiesta, che non c’erano misteri o grandi vecchi dietro, solo una personalità – quella di Fabio Savi – molto forte e capace di influenzare quella degli altri, viziata dal mito della “volontà di potenza” e da una spregiudicatezza che li fece sentire invincibili. Erano soggetti con personalità devianti e violente. Purtroppo nelle indagini delle diverse procure romagnole e marchigiane vi furono scarso coordinamento e forti contrasti tra organi inquirenti … L’inchiesta amministrativa le mise in luce chiarendo fatti e contesti. Una sequenza e una somma di inefficienze e di inutili concorrenze”.

Accendiamo i fari sulla nostra provincia. Sono ben quattro i mandamenti presenti. Come si adopera la Polizia per contrastarli?

“L’impegno nel contrasto alla presenza delle organizzazioni malavitose specie di stampo mafioso è sempre intenso. La Direzione distrettuale antimafia della Procura di Caltanissetta segue le nostre attività investigative con attenzione e coordina le indagini dei diversi organismi di polizia, guardia di finanza e carabinieri che non interrompono mai il monitoraggio e l’analisi informativa e investigativa sui diversi gruppi. Non parliamo solo dei quattro storici mandamenti di Cosa nostra (Gela, Vallelunga Pratameno, Riesi e Mussomeli, ndr) ma anche di gruppi di stiddari o di malavitosi appartenenti a gruppi di altre province che operano soprattutto nel traffico e spaccio di stupefacenti e reinvestimento dei capitali illeciti. 

Alta l’attenzione anche sui fenomeni estorsivi o sul tentativo di condizionare i mercati agricoli e la distribuzione delle risorse idriche. Purtroppo anche l’insufficiente organizzazione o talvolta l’inefficienza di alcune pubbliche amministrazioni ed enti pubblici favoriscono deviazioni che alimentano il malaffare”.

A Gela, Cosa Nostra e Stidda si sono fatte la guerra per anni (con tantissimi morti ammazzati e numerosi tentati omicidi) per poi siglare una pax mafiosa che tuttora regge. Non si spara più (fortunatamente) come una volta, ma gli episodi criminosi non mancano, purtroppo. Come e dove bisogna intervenire?

“I tempi ed il contesto della guerra dei bambini dell’assalto della Stidda a Cosa Nostra sono mutati.

Innanzitutto per la risposta forte e determinata dello Stato. Per la meritoria reazione di forze di polizia e magistratura che hanno segnato un percorso poi seguito da altre generazioni di uomini di legge.

Purtroppo i segnali degli ultimi anni, danno l’impressione di parte consistente della società civile che talvolta sembra rinunciare a produrre gli anticorpi alla illegalità e al modo “settario e familista” di gestire ciò che è comune.

Bisogna insistere nella formazione e informazione dei cittadini e dei bambini. Da piccoli si maturano valori e comportamenti fondamentali. Vedere un mondo adulto che cerca prevaricazioni o scorciatoie illecite o comunque pratiche scorrette, non educa ai valori costituzionali”.

Gela è stata definita la capitale degli incendi dolosi di auto. In tante occasioni, è stato detto che si tratta (nella maggior parte dei casi) di diatribe sfociate nel fuoco. E’ solo questo o c’è dell’altro?

“Quella degli incendi dolosi su auto, moto, porte di casa ed altro ancora, è una piaga nota e tanto datata da potere essere definita “tradizione locale”. Non è una battuta e neanche una provocazione: si tratta di un fatto che osservo con amarezza. Purtroppo, nonostante vengano individuati e condannati gli autori, il buon esito delle indagini e le condanne non sono un deterrente sufficiente.  Nella maggior parte dei casi si tratta di dispute e contrasti di vicinato, passionali, gelosie e diatribe sul lavoro … Solo occasionalmente i fini sono estorsivi.  Questo ci dice di un malinteso bisogno di farsi giustizia da se, della mancanza assoluta di senso della legalità e anche, duole osservarlo, di assenza di tolleranza per questioni private.  L’impegno dello Stato, magistratura e forze dell’ordine è grande anche in questo caso  e lo testimonia il fatto che sono alte le percentuali di responsabili individuati, ma non è sufficiente. Ci vuole un risveglio del senso civico, del bene comune e del rispetto delle leggi anche di fronte a pretesi o presunti torti. Questo spiega anche il perché non c’è collaborazione alcuna nelle indagini da parte dei testimoni e spesso neanche delle vittime.  Insomma non vediamo file di cittadini di buona volontà davanti agli uffici di polizia e carabinieri e alla procura per denunciare o testimoniare circa questi fatti. E quando riusciamo a ricostruirli, scopriamo che in diversi hanno visto o che la vittima era ben consapevole di chi poteva essere l’autore, ma non ne ha fatto alcun cenno formale o informale agli inquirenti”.

In città è presente un fiorente spaccio di droga e sono stante tante le operazioni di polizia giudiziaria per contrastare il fenomeno. Però se ancora se ne parla, vuol dire che c’è ancora tanto da fare….

“La vitalità del settore dello spaccio e del consumo di stupefacenti è purtroppo uno dei fenomeni che più risalta agli occhi. Esso è spesso esercitato da appartenenti a organizzazioni mafiose e talvolta anche in modo diretto. Vale ciò che ho detto prima per l’impegno nel contrasto al fenomeno mafioso”.

Ci sono commercianti ed imprenditori che fanno nomi e cognomi degli estorsori, altri invece no. Cosa si deve fare per portarli sulla strada della denuncia?

“Come evidenziato per gli incendi, anche per altre forme delittuose come le estorsioni o anche i reati di violenza domestica o di genere non registriamo forme di collaborazione spontanee e spesso asserite vittime di fatti reato diventano favoreggiatori, attese le coperture omertose che offrono ai colpevoli. Addirittura durante indagini su fenomeni estorsivi, si assiste a dichiarati estorti che invece chiedevano spontaneamente loro protezione o copertura per azioni di concorrenza più o meno sleale a soggetti appartenenti a gruppi criminali.  Vero è tuttavia che a Gela è operante e attiva con entusiasmo, pur nelle difficoltà di indurre alla collaborazione, la Fai Antiracket ed in particolare l’associazione Antiracket “Gaetano Giordano” che conducono una battaglia sia di sostegno alle vittime che di animazione sociale ed educativa molto importante. Spero che nella costante collaborazione con la Polizia, l’associazione riesca non solo a promuovere la legalità ma a tornare ad indurre le vittime di estorsioni, usura e reati connessi alle attività delle cosche, a denunciare. Da qualche tempo, infatti, registriamo minori o quasi nulli casi di collaborazione nonostante la stessa Associazione si sia meglio organizzata e abbia costituito, anche grazie a finanziamenti Pon, una struttura di assistenza legale, fiscale, aziendale e psicologica. Per indurre più persone alla denuncia, credo dobbiamo insistere nell’opera informativa ed educativa a sostegno delle vittime e rendere ancora più efficiente la rete di sostegno pubblica. Nonostante a Gela i processi vengano celebrati con celerità, poi le funzioni di sostegno alle vittime subiscono talvolta rallentamenti. Per fortuna oggi possiamo dire che se c’è collaborazione, la macchina dello Stato dà forza, sostegno e copertura”.

A Gela si chiede più presenza dello Stato. C’è chi invoca anche l’Esercito. Cosa ci dice in merito?

“L’Esercito – molti fanno finta di dimenticarlo – è stato costantemente presente nei servizi coordinati dall’Autorità di Pubblica Sicurezza sia nelle funzioni di controllo e vigilanza sul territorio che nell’ultimo biennio per i servizi di prevenzione alla diffusione epidemica. Poi bisogna ricordare che nelle funzioni di pubblica sicurezza, i militari dell’Esercito non possono operare senza avere accanto o essere comunque coadiuvati e coperti da poliziotti, carabinieri o finanzieri. In realtà sarebbe opportuno tornare a ricostituire corpi di polizia municipale con numeri congrui di operatori e con formazione adeguata. A Gela ciò sarebbe determinante per consentire a Polizia di Stato, Arma e Guardia di Finanza di essere liberate da funzioni di supplenza delle polizie municipali, nel controllo amministrativo, nella rilevazione di sinistri ed altro; funzioni che la Polizia Municipale gelese, per il numero esiguo degli operatori, non riesce a svolgere da sola.

Poi si pone anche un problema di consapevolezza del ruolo da parte delle polizie locali che spesso in altri territori travalicano le proprie funzioni e dalle nostre parti, invece, dimenticano di avere funzioni di polizia amministrativa, di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria”.

Sono tanti i ragazzi che vengono attratti e ammaliati dal crimine e dal guadagno facile. Come bisogna intervenire?

“Sui giovani bisogna poter contare ma per farlo si pone un’emergenza nazionale che a Gela è ancora più evidente: quella educativa.  Le scuole e la società civile devono essere più attive laddove si registra un’assenza, quando non anche una complicità delle famiglie nella trasmissione di valori negativi: facile guadagno, potere dimostrativo, uso della forza e della prepotenza per affermarsi … Oggi anche le donne invece di essere valorizzate per le loro qualità di persone vengono indotte a fondare la propria immagine su aspetto e facilità di approccio. Credo che il riscatto di questa terra passi per un riscatto del “femminile”. Quando le donne troveranno forza e modo di svolgere appieno il proprio ruolo pubblico ed educativo, secondo i valori costituzionali, sarà stato fatto un passo decisivo. Ogni deviante, ogni delinquente, ogni mafioso, ogni violento, ogni oppressore dei più deboli, in famiglia o nella vita sociale ha ricevuto un “imprinting” materno”.

Cosa si sente di dire ai giovani gelesi?

“I giovani gelesi li ho incontrati in diverse occasioni e devono sentirsi ciò che sono: il presente della nostra società. Dobbiamo essere accanto a loro per sostenerli e condurre per loro e con loro la battaglia per la bellezza di questa terra che non può prescindere dal rispetto delle regole, degli altri e dell’ambiente. Il valore fondante deve essere quello di declinare ogni proprio comportamento nel rispetto del bene comune”.

Il prossimo 19 luglio ricorrerà il trentesimo anniversario della strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti di scorta, tra cui la poliziotta Emanuela Loi alla cui memoria è dedicata la sala conferenze della Questura di Caltanissetta. Cosa ha lasciato in lei quel tragico episodio, avvenuto 53 giorni dopo la strage di Capaci?

“I morti delle stragi, le vittime della stagione stragista mafiosa e prima terroristica, poi della mafia che ha usato metodi terroristici, sono uno sprone. I colleghi, i magistrati, tutti coloro che sono stati vittime di mafia con il loro sangue e sacrificio, ci hanno lasciato un esempio straordinario: non sono eroi e non aspiravano ad esserlo. Sono persone per bene che hanno deciso di fare il proprio dovere con onore e disciplina, così come recita l’articolo 54 della costituzione. La strage di via D’Amelio è innanzitutto un impegno investigativo ancora in corso. Molto è stato chiarito nonostante i depistaggi, ma altro deve ancora essere accertato e posto al giudizio dei cittadini”.

Perché ha scelto di intraprendere questa professione?

“Ho scelto di fare il poliziotto per via della mia formazione negli anni dell’adolescenza e giovanili. Studiavo giurisprudenza e facevo volontariato ed ero molto attivo, a Catania, nella comunità parrocchiale e tra i gruppi giovanili cattolici e non. L’uccisione prima del Generale Dalla Chiesa e poi di Montana e Cassarà e di Pippo Fava ci colpirono molto e cominciammo a rivolgere l’attenzione all’azione di contrasto civile alla mafia e all’illegalità.  Quindi appena laureato feci il concorso da commissario di Polizia e lo vinsi subito. Ero già in servizio a 26 anni”.

Ritorniamo alle origini. Adesso che è ritornato in Sicilia, può nuovamente parlare in dialetto…

“Tornare a sentirmi immerso nel dialetto siciliano è una sensazione bellissima. Per trent’anni, avendo lavorato soprattutto al Nord, era occasionale trovare con chi usarlo ed era quasi un divertimento osservare chi non lo conosce, guardarci con occhi interrogativi. Il siciliano è una lingua considerata tale e non per nulla viene valutato siciliano quello in uso anche in gran parte della Calabria e nelle province di Taranto e Lecce che poi si divide in forme locali di dialetto. È stato il siciliano volgare (grazie a Federico II e ai poeti di corte) a far nascere e diffondere il volgare toscano da cui scaturì l’Italiano immortalato da Dante. Amo la Sicilia e la sua storia, in particolare la figura di Federico II cui credo si debba il primo vero concetto di amministrazione moderna e di Regno attento alle esigenze popolari e non solo delle aristocrazie”.

Ipse Dixit

“Sacrifici quotidiani per garantire sicurezza e legalità nel territorio”

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Nato a Torino cinquant’anni fa, il comandante provinciale dei Carabinieri di Caltanissetta, colonnello Alessandro Mucci, laureato in “Giurisprudenza” con specialistica in “Scienze della Sicurezza Interna ed Esterna”, ha una carriera alle spalle di tutto rispetto. Ha operato soprattutto nel Sud Italia, con diverse tappe nel Lazio dove dal 1999 al 2004 ha guidato (ed insegnato) nel tempo, alla scuola Allievi Marescialli e Brigadieri di Velletri, alle porte di Roma; il Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Latina e dello stesso comando provinciale e la Compagnia di Aprilia. Successivamente, il suo cammino lo ha portato nelle città ad alta densità criminale: Pozzuoli, Locri, Reggio Calabria, Bari. In Puglia, è stato comandante del Ros, il Raggruppamento Operativo Speciale. Ha messo piede in Sicilia nel settembre del 2004, guidando la Compagnia di Santo Stefano di Camastra, nel Messinese, fino al 2007, per poi ritornare nella nostra isola nel 2022, con l’incarico di Capo Centro Dia di Palermo.

Colonnello, partiamo proprio da qui. Nei diversi incarichi professionali, ha combattuto la ‘Ndrangheta, la Sacra Corona Unita, la camorra e la mafia. Organizzazioni simili e spavalde nel compiere reati crudeli ma differenti tra loro. E’ proprio così?

“I caratteri costitutivi – quindi la forza d’intimidazione, l’assoggettamento, l’omertà – e le finalità – di illecito arricchimento, di infiltrazione dell’economia – sono comuni a tutte le organizzazioni di tipo mafioso, che agiscono in diversi ambiti territoriali di operatività e di influenza, e secondo criteri organizzativi interni in parte differenti”.

Abbiamo accennato della sua permanenza in Calabria. Che ricordi ha e cosa di quella terra ricorda piacevolmente?

“Una straordinaria esperienza professionale per intensità e complessità”.

Tra i risultati conseguiti dal colonnello Mucci, sono state numerose le operazioni di servizio che hanno portato alla disarticolazione di importanti sodalizi criminali, al sequestro di ingenti patrimoni, all’identificazione degli autori di efferati fatti di sangue e la cattura di numerosi irreperibili, di cui due compresi nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità inseriti nel “Programma Speciale di Ricerca”. Basti ricordare Ernesto Fazzalari di Taurianova, nel Reggino, considerato all’epoca della cattura il secondo in Italia dopo Matteo Messina Denaro e inserito nell’elenco stilato da Europol dei “Most Wanted Fugitives”, e Giuseppe Giorgi, di San Luca, e altri 6 inseriti nell’elenco dei “latitanti pericolosi”.

Dallo scorso 16 settembre, lei è al comando del Provinciale di Caltanissetta. Massima attenzione, è chiaro, è dedicata a Gela. Se da un lato, nella nostra città, c’è una sensibile riduzione degli incendi dolosi, grazie ad un sofisticato sistema di videosorveglianza, dall’altro proliferano l’uso di armi e lo spaccio di droga. Come legge lo spaccato che si delinea?

“Nel territorio di Gela è giudizialmente accertata l’esistenza e operatività di organizzazioni criminali, anche di tipo mafioso, tra le cui fonti di arricchimento e sostentamento economico, lo spaccio di sostanze stupefacenti occupa certamente un ruolo preminente. Quanto alla disponibilità di armi, anche in questo caso il dato rinviene dalle indagini e dalla quotidiana attività di prevenzione e contrasto svolto dalla Magistratura e dalle Forze di Polizia, come evidenziato anche in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario del 25 gennaio scorso. Sulla sensibile riduzione degli incendi dolosi, ritengo possano essere fatte due considerazioni di carattere generale: la prima riguarda la costante attenzione rivolta alla specifica fenomenologia delittuosa – di particolare allarme sociale – da parte di tutte le Autorità e le Istituzioni deputate all’ordine e alla sicurezza pubblica, in primis il Prefetto di Caltanissetta che ha svolto importante azione di impulso proprio in tema di controllo del territorio finalizzato alla prevenzione dei reati, accompagnato da qualificate attività investigative svolte sotto la direzione dell’Autorità Giudiziaria; la seconda considerazione in tema di riduzione del dato numerico consegue ad una più approfondita analisi del fenomeno, con particolare riferimento alla matrice entro cui “inquadrare” i singoli eventi: accanto, infatti, ad episodi la cui origine appare contestualizzabile in contesti di criminalità organizzata, si pensi ai danneggiamenti con finalità estorsiva, esiste in apprezzabile misura una fenomenologia connessa e dinamiche di natura quasi “privatistica” potremmo definirla: episodi connessi a vicende interpersonali, la cui valutazione dell’andamento nel tempo è quindi maggiormente “sfuggente” rispetto alle attività di analisi dei fenomeni criminali più strutturati”.

Perché, soprattutto dalle nostre parti, la maggior parte delle persone guarda solo al proprio interesse?

“Non ritengo di avere specifiche competenze per un approfondimento, sotto il profilo psicologico e dello studio dei comportamenti, sul tema dell’egoismo”.

Allarghiamo l’orizzonte: in tutta Italia, sono numerosi gli incontri che le forze dell’ordine hanno con gli studenti al fine di diffondere la cultura della legalità, però se leggiamo i dati dell’ultimo sondaggio, c’è da rabbrividire. Per la maggioranza degli alunni italiani, la mafia è più forte dello Stato e non può essere sconfitta. Solo il 20% (uno su cinque) crede che possa essere annientata. Si tratta, sicuramente, di un dato shock. Non crede?

“Crediamo molto nella diffusione della cultura della legalità tra i giovani e nelle scuole, e lavoriamo ogni giorno perché le parole di Giovanni Falcone, nella celebre intervista a Rai3 il 30 agosto 1991, sulla fine della mafia e sul come si possa vincere la mafia, possano trovare piena credibilità anche tra i giovani di oggi”.

Nel contrasto al crimine, la tecnologia – indubbiamente – vi offre un contributo importante. Come rende il vostro lavoro e le vostre operazioni all’avanguardia?

“Viviamo un’era di profonde trasformazioni e di rapidi cambiamenti, che influenzano il nostro modo di vivere e di interagire. Le tecnologie di uso generale sono in grado di trasformare radicalmente i processi decisionali, operativi ed esecutivi in diversi campi, le continue innovazioni tecnologiche ridefiniscono anche i parametri della sicurezza mondiale: tutto ciò rende le nostre sfide sempre più complesse, per cui l’Arma è impegnata nei programmi di ricerca e di sviluppo al fine di offrire strumenti adeguati per far fronte ad una minaccia in continua evoluzione”.

Parallelamente, della stessa tecnologia ne fa uso anche la malavita. E’ risaputo che il crimine è sbarcato sui social per condurre affari illegali. Come e dove bisogna intervenire per frenare tutto ciò di cui le associazioni mafiose traggono vantaggio?

“Ritengo si debba intervenire lavorando sulla capacità anzitutto di interpretare i mutamenti che stiamo vivendo, propri dell’era digitale, e quindi sviluppando una conseguente capacità di garantire risposte adeguate alle nuove sfide di cui dicevo prima, al passo con i tempi, accanto alle tradizionali strategie di prevenzione e di repressione”.

Qual è la sua definizione di mafia?

“Ritengo che la definizione di “associazione di tipo mafioso” nel nostro codice penale riassuma efficacemente tutti i caratteri del fenomeno mafioso”.

Perché in alcune aree d’Italia, non si è mai sradicata la contiguità tra mafia e politica?

“Al di là del riferimento territoriale, reputo che i legami politico – mafiosi siano, e la storia giudiziaria ne offre piena conferma, strettamente connessi al fenomeno mafioso: al punto da rendere necessaria una specifica previsione normativa, all’articolo 416-ter, in tema di scambio elettorale politico mafioso appunto”.

Quali sono le attività silenti, poco conosciute, che i Carabinieri portano avanti al servizio della comunità?

“Come ricordato in occasione della celebrazione del 211° anniversario della fondazione dell’Arma, ogni giorno di “vita operativa” restituisce storie di rassicurazione sociale, di piccoli gesti di vicinanza, di presenza sempre competente e generosa grazie a quell’attitudine all’ascolto e al dialogo con la gente, che da sempre caratterizzano la “cultura della sicurezza” del Carabiniere: tanti cittadini si rivolgono al Carabiniere per un semplice consiglio, un suggerimento, a volte una parola di conforto”.

Nella nostra provincia, in altrettante caserme, sono presenti cinque stanze dedicate all’ascolto delle vittime di violenza domestica e di genere. Lei, in più occasioni, ne ha sottolineato il ruolo fondamentale ed ha invitato le vittime a denunciare. Il messaggio è stato accolto?

“I Carabinieri sono quotidianamente in prima linea non solo nelle attività di contrasto delle diverse fattispecie di reato in tema di violenza domestica e di genere, ma anche nella prevenzione attraverso la diffusione di materiale informativo, di locandine, mediante la pubblicazione di video sui propri canali social, la realizzazione di spot, come quello che qualche tempo fa ha visto la partecipazione del presentatore Carlo Conti, per invitare le donne a “fare il primo passo” informandole sull’esistenza di misure di natura legale, ma anche di supporto psicologico, lavorativo ed economico a sostegno delle vittime. E ancora le tante occasioni di incontro con le scuole e le comunità, e la sezione dedicata al “codice rosso” sul sito istituzionale www.carabinieri.it. I dati relativi alle attivazioni del “codice rosso” in provincia evidenziano un importante ricorso alla denuncia da parte delle vittime della violenza di genere: e mi ricollego al concetto di “prossimità” e di vicinanza ai cittadini, e ancora al ruolo fondamentale svolo dalle Stazioni Carabinieri, primo sportello di ascolto per le vittime”.

In occasione della cerimonia per i 211 anni della fondazione dei Carabinieri, lei ha ricordato le vittime del dovere e i militari della provincia nissena caduti in servizio, scandendo i loro nomi. Quale esempio hanno lasciato a tutti voi che indossate la divisa?

“L’esempio dei nostri caduti dev’essere per tutti noi Carabinieri costante e immutabile modello di riferimento: un esempio di dedizione, di senso del dovere, di fedeltà al giuramento prestato”.

Quali sono i consigli per evitare di cadere nella trappola delle truffe commesse ai danni di persone anziane?

“L’Arma ha messo in campo numerose iniziative in tema di truffe agli anziani: da ultimo, tra le “buone pratiche” individuate per accrescere l’incidenza dei servizi di prossimità alla popolazione anziana e per sensibilizzarla sul delicato tema, è stata avviata una capillare campagna di informazione, finalizzata ad accrescere i livelli di prevenzione e la funzione di “rassicurazione sociale” in favore degli anziani, coinvolgendo anche “Federfarma Caltanissetta” e l’“Ordine Provinciale dei Farmacisti” in una collaborazione che prevede la distribuzione di un opuscolo informativo sulla specifica tematica, consegnato in ciascuna delle 85 farmacie delle provincia in occasione dell’acquisto di farmaci. Il consiglio principale resta sicuramente quello di contattare sempre il Numero Unico di Emergenza 112 in caso di dubbio”.

Cosa vuole dire ai suoi carabinieri che operano nel Nisseno?

“Come recentemente espresso in occasione della Festa dell’Arma, il mio apprezzamento per l’impegno quotidianamente profuso, ma anche un ringraziamento per lo spirito di servizio, per la competenza e il rigore morale, per quel contributo quotidiano e “silente” di cui si faceva cenno prima, per i sacrifici che spesso il nostro servizio comporta per tutti noi e per le nostre famiglie”.

Ha mai temuto per la sua incolumità?

“La paura è un’emozione umana, la professionalità comporta il saperla gestire, il non farsene condizionare, ma soprattutto il cercare in ogni ambito di prevedere ogni possibile fattore di rischio e adottare le procedure operative corrette per ridurre al minimo l’esposizione al pericolo per l’incolumità propria e del personale”.

Se non avesse fatto il carabiniere, cosa avrebbe fatto?

“Sono appassionato di tecnologia, probabilmente avrei orientato i miei studi in quel settore”.

L’errore da cui ha imparato di più?

“Ogni singolo errore deve far maturare una riflessione sul “cosa si sarebbe potuto fare di più o meglio”.

Le fa paura il tempo che passa?

“No!”

Si pente di qualcosa?

“Assolutamente no”.

Lei è torinese: bianconero o granata?

“Juve tutta la vita”

Qual è il piatto della nostra provincia che le piace di più?

“Adoro tutta la cucina siciliana. Buonissima!”

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Ipse Dixit

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La sua storia potrebbe ispirare un regista cinematografico (non è escluso che ciò accada) perché evidenzia, in un vortice perenne di pesanti e vigorose emozioni, l’iniziale sottomissione al crimine; la susseguente ribellione; il forzato allontanamento dalla sua terra e la testimonianza contro i suoi carnefici, condannati nei tre gradi di giudizio, a 450 anni di carcere.Poco meno che quarantacinquenne, in quel periodo, Nino Miceli dirigeva la concessionaria Lancia-Autobianchi in via Venezia. Lui, agrigentino di Realmonte, era felice di operare a Gela. La città piaceva anche alla moglie e ai suoi due figli. L’attività andava benissimo e anche i dipendenti erano soddisfatti del lavoro. Si era trovata l’alchimia perfetta. Quando un giorno, un maledetto giorno, tutto crolla. E’ l’aprile del 1990. Siamo in piena guerra di mafia. Accompagnato da un ex dipendente di Miceli, in concessionaria si presenta un boss di Cosa Nostra (un capo mandamento) che chiede lo sconto sul prezzo di una Lancia Thema in esposizione e una detrazione di parte della somma pattuita di 10 milioni di lire, in cambio di un’Alfa Romeo da rottamare. Miceli non ci sta. L’affare non può essere concluso. A quel punto, il capomafia lo fissa negli occhi: “ma tu lo sai chi sono io?”. Non una vera e propria richiesta di denaro (avverrà dopo) ma l’immagine evidente della protervia, dell’imposizione, dell’intimidazione e del disprezzo per chi aveva osato non sottostare alla pretesa. E’ l’inizio della fine. Da quel momento cominciano i guai. Il negozio viene dato alle fiamme alla fine dello stesso mese di aprile. Un danno enorme di 200 milioni di lire. Poi altre avvisaglie, con un ulteriore tentativo di incendio tre mesi dopo. Il biglietto da visita della malavita locale, era stato fatto recapitare. Da quel momento, Miceli comincia a pagare 500 mila lire a Cosa Nostra. Il 28 febbraio dell’anno successivo, un altro rogo. Un inferno di fuoco. Un ulteriore messaggio, eloquente: tra i beneficiari del pizzo, si aggiunge anche la Stidda che pretende la stessa somma elargita ai “rivali”. Miceli è ostaggio, umiliato, sia come uomo che come commerciante, privato della propria libertà, stretto a tenaglia. Dal secondo “contatto”, Miceli comincia a registrare le conversazioni con i mafiosi, mette nero su bianco dinnanzi agli investigatori, facendo nomi e cognomi, raccontando ogni dettaglio, con particolare dovizia. E’ l’inizio della fine ma a parti invertite. Purtroppo però è solo in fase di denuncia e in pochi lo seguono.

Miceli, ha creduto e sperato che in quel periodo la muraglia di silenzio che cinturava Gela perdesse pezzi e che la facciata si sgretolasse?

“L’ho sperato, in particolare quando l’allora capitano dei Carabinieri, Mario Mettifogo ci esortò che uniti nella denuncia, tutti noi commercianti avremmo potuto liberare la città dal cancro mafioso. Purtroppo, è andata diversamente e la muraglia di silenzio ha perso qualche pezzo ma è rimasta in piedi…”

Nel suo trascorso, si staglia lo sfondo di una Gela da girone infernale. Sono stati anni difficilissimi…

“Purtroppo si: sono stati anni difficilissimi, da girone infernale per me e la mia famiglia in particolare, ma Gela, fortunatamente, non è solo mafia. E’ una città dove, per esperienza diretta, ho conosciuto tantissima gente perbene che, in modo seppur diverso, ha vissuto quel girone infernale”.

Da più parti, la sua è stata definita una lotta trentennale non solo contro le cosche mafiose ma anche con alcune frange del movimento antimafia e alcuni esponenti delle istituzioni statali. Perché?

“La mia è stata una lotta, fatta in compagnia di Tano Grasso e con il supporto fondamentale del mio amico Angelo Lo Scalzo, funzionario di Polizia, per me stesso ma anche per chi dopo di me avrebbe fatto scelte coraggiose. Quelle che definiamo Istituzioni allora non avevano piena coscienza del problema racket che soffocava i commercianti. Ricordo a me stesso come l’allora ministro degli Interni, Roberto Maroni, chiese ed ottenne dalla Rai una trasmissione riparatoria dopo la denuncia di Roberto Saviano che affermava come la mafia spadroneggiasse anche nel nord Italia”.

In tutti questi anni di lotte continue per la legalità, lei ha conosciuto anche il magistrato più scortato d’Italia, Nino Di Matteo. Chi è stato per lei?

“Di Nino Di Matteo il ricordo che ho è di un allora giovanissimo magistrato molto preparato che seppe tutelarmi durante la mia lunga testimonianza dai pretestuosi, anche se comprensibili, attacchi da parte degli avvocati difensori dei mafiosi. E’ anche a sua firma la risposta che la procura di Caltanissetta invia al Servizio centrale di Protezione quando quest’ultima chiede un parere su una elargizione che mi avrebbe consentito di rientrare tra i vivi. Quella lettera la definisco nel mio libro “La mia unica medaglia ricevuta”. L’avermi citato nel suo libro “Assedio alla toga” come esempio da seguire è stata una carezza che conforta”.

Perché in quegli anni, in sede di denuncia, le fu consigliato di recarsi dai Carabinieri e non al Commissariato di Polizia?

“Avevo perplessità e sfiducia nei confronti di tutte le forze dell’ordine per alcuni avvenimenti che riporto nel libro. Un mio carissimo amico, che aveva la possibilità di valutare, ritenne di consigliarmi in quel particolare contesto di rivolgermi ai carabinieri”.

Lo abbiamo accennato in precedenza: il comandante Mario Mettifogo…

“Mario Mettifogo è la persona a cui ho affidato la mia vita. Il suo approccio nei miei confronti non è quello dell’Autorità che si rivolge dall’alto in basso al cittadino ma quello di una Autorità che chiede al cittadino di essere aiutato per il raggiungimento di un obiettivo condiviso da ambo le parti. E’ anche l’uomo che mi pone davanti i pericoli che sono insiti in quella denuncia a Gela in quel contesto e si adopera per la mia salvaguardia. Poi con il tempo diventa l’amico con il quale ti intrattieni tra ricordi e attualità”.

Il 10 novembre del 1992, la mafia alza il tiro ed uccide il profumiere Gaetano Giordano. Lo conosceva?

“Non ho un ricordo personale perché non lo conoscevo. Quel barbaro omicidio, accompagnato dal ferimento del figlio Massimo, mi ha messo di fronte ad una realtà per me inimmaginabile. A Gela per una denuncia, si poteva morire”.

“Io, protetto: una vita da incubo. Con l’antimafia dell’Ulivo, io mi sarei anche potuto impiccare”. Cosa l’ha spinta a pronunciare quella frase nel luglio del 1998?

“Leggere che il sottosegretario agli interni, Giannicola Sinisi, nel corso di una audizione alla Commissione antimafia affermava di avere liquidato con 20 o 30 milioni di lire alcuni testimoni, francamente mi ha fatto male e da qui lo sfogo con la giornalista de La Repubblica, Liana Milella”.

Quanti sacrifici ha fatto, assieme ad altri “coraggiosi”, per fare emanare il decreto-legge per l’istituzione di un fondo di sostegno per le vittime delle richieste estorsive?

“Non si è trattato di sacrifici, quanto di legittime richieste per noi e per chi dopo di noi avrebbe fatto la civile scelta della denuncia, di non subire oltre che il danno la beffa economica. E’ tutto merito di Tano Grasso che con il supporto di un manipolo di testimoni riuscì a porre all’attenzione del Paese il problema racket. Il forum organizzato dal Corriere della Sera con la nostra presenza, fu la miccia che avviò la fiammata che fece riscoprire la legge rimasta insabbiata in Senato. A seguire arrivò la convocazione di Walter Veltroni con la promessa, mantenuta, che la legge sarebbe stata approvata al più presto”.

Per quale motivo, c’è voluto così tanto tempo per fare capire allo Stato che il “testimone di giustizia” (come nel suo caso) fosse un soggetto completamente diverso rispetto ad un “collaboratore di giustizia”?

“Voglio ricordare che il fenomeno del pentitismo si sviluppa negli anni 80 per merito di Giovanni Falcone e del pool antimafia e si amplia negli anni 90 con centinaia di pentiti. I testimoni di giustizia non hanno mai superato le 60\70 unità. L’apparato statale abituato a gestire pentiti, ha inizialmente accorpato i testimoni nella stessa struttura che gestiva i pentiti. E’ grazie ad Alfredo Mantovano e a Tano Grasso che anche questa anomalia è stata risolta con la creazione ad hoc di una struttura che gestiva solo i testimoni. E’ gratificante sentire la risposta al telefono, quando chiamo i Nuclei Operativi di Protezione: Antonino, come possiamo aiutarla?”

In quegli anni terribili, chi le è stato realmente vicino?

“Inizialmente Mario Mettifogo che ha condotto l’operazione Bronx 2 con il ritrovamento del libro mastro delle estorsioni; poi l’allora Maggiore Domenico Tucci che mi ha seguito e consigliato in relazione alla mia sicurezza. Il generale Umberto Pinotti che, dopo gli screzi avuti in caserma a Gela, ho rincontrato a Roma consigliandomi una soluzione di uscita dal Servizio centrale di protezione. Tano Grasso che mi ha coinvolto in questa battaglia ideale a favore dei testimoni standomi vicino e trovando soluzioni inizialmente impensabili a favore dei testimoni. Senza dimenticare Antonio Manganelli, allora Direttore del Servizio centrale di protezione che diede parere favorevole alla formulazione che ho proposto per la mia uscita dal Servizio. Alfredo Mantovano, il prefetto Rino Monaco, il maresciallo dei carabinieri di Appignano di Macerata, Giovanni Cardoni. In questo lungo e accidentato cammino, l’uomo a cui devo veramente tutto è Angelo Lo Scalzo, il funzionario di Polizia, amico d’infanzia, che mi è stato sempre vicino nel quotidiano di questo accidentato percorso. il vero mio Angelo Custode in tutta questa vicenda”.

Quanto è stato difficile per lei e per i suoi familiari, assumere una nuova identità, cambiare radicalmente residenza e attività lavorative?

“Inizialmente le difficoltà principali le hanno subito mia moglie e i miei figli. Invito ad immaginare una madre e due ragazzi sradicati dal loro ambiente e trasferiti in una località sconosciuta alla quale dovevano adeguarsi. Per loro, il senso di solitudine ma anche di abbandono vissuto, deve essere stato alienante. In merito alla nuova identità, è come mentire ma con il tempo prendi atto che le nuove generalità ti accompagneranno fino alla fine dei tuoi giorni e quindi convivi con questo dualismo identitario e prendi atto di una interruzione della catena genealogica. Questa interruzione mi fa stare male sotto l’aspetto psicologico”.

Si è sentito un esiliato?

“Si, mi sono sentito esiliato! La città che mi era stata vicina dopo gli incendi, si è allontanata quando divento accusatore e mi costringe ad andare via. Con la cittadinanza onoraria ho creduto nella riconcilazione e il dono dell’opera del maestro Leonardo Cumbo, “Attrazione repulsiva” posta allora sul lungomare, era per me il segno e la volontà rappacificatrice sia mia che della città di Gela. L’asportazione dell’opera (per restauro?) da due anni e il fatto che non sia più tornata al suo o altro posto, cosa significa? Possibile che l’opera dia fastidio? E se si, a chi? Sono domande che non cercano risposta”.

Se tornasse indietro a quegli anni, rifarebbe le stesse identiche cose?

“E’ una domanda che mi sono fatto e mi è stata fatta mille volte e la risposta è sempre la stessa. Rifarei tutto, anche se questa azione di denuncia, che in un paese civile dovrebbe essere un gesto normale, nel mio caso ha sconvolto l’esistenza normale di una normale famiglia. La libertà è un valore che non ha un prezzo”.

Perché ritiene che ci sia una vera e propria oligarchia dell’antimafia?

“Nel momento in cui il problema racket ha interessato seriamente il nostro Paese, mafiosi, politici e soggetti istituzionali vari e non, hanno valutato questo fenomeno come terreno su cui lucrare sia economicamente che come gestione del potere a spese di chi in questa guerra contro la mafia c’è morto o si è sconvolto la vita come me”

Ha avuto timore di essere ucciso?

“Si, è stato un timore ricorrente, quello di subire una ritorsione anche estrema, ma riesco razionalmente a tenere questo timore in cassaforte della quale ho dimenticato la combinazione”.

Ha paura della morte?

“Ho paura della sofferenza che può portare alla morte ed ho coscienza che essa si avvicina”.

Si è sentito solo in quegli anni a Gela?

“Per nulla, ho avuto sempre vicino persone che mi hanno voluto bene e non sono sicuro di averli ringraziati abbastanza. Sono una persona che ha difficoltà a tradurre in parole i suoi sentimenti verso chi vuole bene”.

Attualmente di cosa si occupa?

“Nel 2014 ho vissuto un momento difficile sotto l’aspetto sentimentale ed è in questo momento buio interiore che ricevo la telefonata di Massimo Giordano, il figlio del compianto Gaetano, che mi invita a venire a Roma: ho bisogno di persone di cui mi fido. Massimo è stato nominato Coamministratore Giudiziario, dalla Procura di Roma, di una importante procedura di sequestro preventivo e ritiene di affidarmi l’amministrazione di diverse società facente parte della stessa procedura, che successivamente diventa confisca definitiva e ancora oggi sono qui ad assolvere a questo compito di amministratore che a breve dovrebbe concludersi con l’assegnazione e\o vendita dei beni e definitiva chiusura della procedura. E poi, se ci sarà un poi, la pensione. A Massimo devo dieci meravigliosi anni romani”.

Qual è il suo senso della vita?

“Non credo che la vita non abbia di per sé un senso, ma si è costretti a darglielo. In alternativa, il suicidio”.

A Gela è stato fatto tutto (e bene) sul fronte dell’antiracket?

“La mia visione sul fronte dell’antiracket a Gela è per lo più una visione frammentata, considerata la mia lontananza da Gela. E’ indubbio l’attivismo del presidente della disciolta associazione. Ho partecipato al 25’ anniversario dell’uccisione di Gaetano Giordano e mi sono rimaste impresse due cose: l’autoreferenzialità di un filmato che contrastava con le parole dell’allora procuratore di Gela, Fernando Asaro, che affermava: i commercianti gelesi in dibattimento balbettano. Le ultime vicende sanno di sconcerto e la Prefettura di Caltanissetta ha ritenuto di dovere sospendere l’associazione dall’elenco prefettizio”.

Ai tanti imprenditori, commercianti, artigiani, cosa si sente di dire?

“Abbiamo avuto la fortuna di essere nati in un continente, dove successivamente alle due guerre mondiali, i politici di queste Nazioni, hanno intrapreso un percorso di pace e unione assicurando ai cittadini il bene più prezioso che è la libertà, di espressione, impresa, religiosa ed altro ancora. Si può permettere che una merdaccia di un mafioso venga a toglierci questa libertà? Non si può permettere. Continuare a ripetere “ ma chi te lo fa fare”, è vigliaccheria allo stato puro”.

Nino Miceli, porterà la sua testimonianza diretta in Sicilia, in occasione della presentazione della sua ultima fatica letteraria. “Questo libro non è un romanzo, è un libro confessione – dice – E’ un libro verità su di me e sugli altri. Mi sono messo a nudo, mi sono svelato. Non scrivere i cognomi dei mafiosi, sarebbe stata finzione”. Previsti, durante questo mese, appuntamenti nell’Agrigentino, nel Palermitano e a Gela.

Miceli, più volte ha sostenuto che le piacerebbe passeggiare liberamente lungo il corso principale di Gela. Senza scorta

“Si, è un desiderio ricorrente. Vorrei ma non oggi alla luce di quanto avvenuto. Ma come allora, anonimo a tanti e salutando amici che incontri”.

Trova complicato che tutto ciò possa verificarsi?

“Molto complicato anzi impossibile”.

Cosa dice al boss che le ha stravolto la vita?

“Dovessi averlo davanti gli chiederei: qual è il senso che ha dato alla sua vita? E alla luce di quanto avvenuto, ne è valsa la pena? Un’ideologia fondata sulla legalità, invece che sulla sopraffazione, non avrebbe consentito a lei e ai suoi cari di dare un senso migliore alla vita? Semplicemente la vita”.

Le foto di Nino Miceli, pubblicate nell’articolo, sono state volutamente offuscate per ovvi motivi di sicurezza

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Ipse Dixit

“Attenzione massima su Gela. A presto, un nuovo presidio per la Guardia di Finanza”

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Preparatissimo in diritto penale tributario e dell’economia, con un passato come docente all’università Externardo di Bogotà e, in diritto amministrativo, alla scuola della Procura dell’Amministrazione di Panama, il colonnello Stefano Gesuelli, ha sempre sognato di indossare la divisa. Fin da ragazzino.

“Quando frequentavo le scuole medie a Roma desideravo di entrare nell’Accademia dell’Aeronautica e fare il pilota militare come mio nonno. Dato che all’epoca l’unica Accademia militare presente a Roma era quella della Guardia di Finanza, i miei genitori, per assecondare quel mio desiderio, mi portavano a vedere le cerimonie e i giuramenti della Finanza; così, a poco a poco, negli anni del Liceo, il Corpo ha soppiantato a poco a poco l’Aeronautica e ho iniziato a capire meglio i compiti e le responsabilità che avrei potuto assumere. Così che, durante l’ultimo anno di liceo, ho tentato il concorso in Accademia e, due mesi dopo la maturità, ho avuto il privilegio di entrare dal portone di ingresso del massimo Istituto del Corpo che, nel frattempo, si era trasferito a Bergamo. Una scelta di cui non mi sono mai pentito, anzi”.

Il prossimo 31 luglio, compirà quattro anni alla guida del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta. Il suo è un curriculum eccellente. Ha ricoperto, tra l’altro, i ruoli di esperto della Guardia di Finanza presso l’Ambasciata d’Italia in Panama e la Segreteria Esecutiva del Centro Interamericano delle Amministrazioni Tributarie con accreditamento secondario in Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana e Isole Cayman e di capo della Sezione Fiscalità e dell’Ufficio Cooperazione Internazionale del Comando Generale del Corpo. Portano il suo nome anche gli incarichi in varie attività di analisi e intelligence e in quelle operative in campo amministrativo e penale.

Colonnello, soffermiamoci sulla nostra provincia. Com’è organizzata la Guardia di Finanza sul territorio?

“La Guardia di Finanza presidia le tre principali zone geografiche ed economiche della provincia di Caltanissetta attraverso i propri Reparti Territoriali: i due Gruppi di Caltanissetta e Gela, che hanno responsabilità sulle aree del Capoluogo e della piana di Gela e dei territori di Niscemi e Mazzarino, e la Tenenza di Mussomeli che ha la propria area di competenza nel Vallone. A questi Reparti, si aggiunge il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria che ha competenza su tutta la provincia per quei servizi di polizia economico-finanziaria di maggiore complessità e interdisciplinarità e, con la sua componente specialistica di Polizia Giudiziaria (il Gico), ha la responsabilità in tema di indagini sulla criminalità organizzata in tutto il Distretto della Corte d’Appello di Caltanissetta che include anche la provincia di Enna. Il Corpo si è quindi dato un’organizzazione capace di rispondere alle esigenze del territorio anche se concentrata al fine di massimizzare l’efficienza con il personale a disposizione. Si sta comunque valutando l’istituzione di nuovi reparti, con particolare riferimento all’area di Mazzarino e Riesi, al fine di dare una risposta ancora più efficace alla richiesta di legalità economico-finanziaria di quel territorio”.

Su quale versante specifico concentrate maggiormente le vostre indagini?

“La Guardia di Finanza è la Polizia economico-finanziaria del nostro Paese. Conseguentemente, l’attività di indagine si concentra maggiormente su tutte quelle fattispecie di violazioni amministrative e penali che provocano danno alla Finanza Pubblica, sia sul versante entrate che spese dello Stato, e su quelle che alterano i mercati e la concorrenza. Per rendere più semplice il concetto che potrebbe sembrare astruso: anche quando svolgiamo indagini su un’organizzazione che traffica droga, cerchiamo sempre di contrastare non solo l’acquisto e la vendita dello stupefacente, ma anche i flussi di denaro che ne derivano, le aziende nelle quali vengono reinvestiti i proventi, i canali finanziari utilizzati, ed altro ancora. Questo rende la Guardia di Finanza unica a livello mondiale per la capacità di affrontare complessivamente tutti i fenomeni illeciti di natura economico-finanziaria, potendo contare su un insieme di poteri assolutamente peculiari, che conciliano le esigenze di carattere amministrativo con le indagini penali e antiriciclaggio, unitamente a una disponibilità di banche dati unica nel panorama nazionale ed internazionale”.

Che idea si è fatto in questi anni della provincia di Caltanissetta?

“La prima cosa che ho notato di questa provincia è il territorio meraviglioso che caratterizza l’interno della Sicilia. Un territorio di una bellezza incredibile che andrebbe ancora di più valorizzato e fatto conoscere al di fuori della Regione. Poi esistono luoghi veramente molto belli anche dal punto di vista storico e architettonico, come il centro storico di Caltanissetta, il Castello di Mussomeli e le chiese di Mazzarino, solo per citarne alcuni. Credo fermamente che anche dal punto di vista economico la provincia abbia tante potenzialità, in particolare per quanto riguarda la logistica, in virtù della centralità geografica. Forse proprio dalla logistica si potrebbe partire sia per incrementare le attività economiche che per sviluppare ancora di più le opportunità accademiche offerte dal Consorzio universitario e dai tanti progetti che alcuni comuni vogliono realizzare”.

E di Gela?

“Gela è una realtà assolutamente unica che merita un discorso a parte. È indubbio che le opportunità offerte dalla presenza della Raffineria abbiano storicamente caratterizzato lo sviluppo economico della città verso quelle attività e i servizi dell’indotto. Ma Gela, per la sua particolare localizzazione, per il clima e per la vivacità della sua economia non dovrebbe dimenticare la lezione che le viene dalla sua storia. Essere il cuore pulsante della costa meridionale della Sicilia dal punto di vista economico, sociale e culturale. Le potenzialità connesse al turismo e al commercio, ora che la Raffineria sta completando il processo di riconversione, andrebbero maggiormente approfondite e sviluppate per fare di Gela una realtà economicamente ancora più rilevante nella Regione e, perché no, a livello di Italia Meridionale”.

A Gela sono tanti i fenomeni criminosi che quotidianamente riempiono le cronache e conseguentemente sono molteplici gli incontri urgenti del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, indetti e presieduti dal Prefetto. Dopo un periodo di calma apparente, però, subito dopo si torna al punto di partenza. Come legge quanto accade?

“Certamente la percezione di sicurezza data dalle notizie pubblicate in questo primo periodo dell’anno potrebbero indurre a vedere la situazione di sicurezza in netto peggioramento. I dati reali, però, ci danno un’indicazione diversa. La maggior parte dei danneggiamenti avvenuti è stata ricondotta a precise responsabilità e non ha alcuna relazione con fenomeni di criminalità organizzata. Gli sforzi delle tre Forze di Polizia nella città sono massimi, anche nel contrastare i traffici di stupefacenti e la presenza di armi, segnalata più volte dalle Procure di Caltanissetta e di Gela. L’attenzione del Comitato per l’ordine e la sicurezza Pubblica, guidato con capacità ed equilibrio dal Prefetto, è sempre massima, proprio per cogliere eventuali segnali di un peggioramento della situazione. Credo fermamente che molto si stia facendo, e bene, sul territorio, con risultati che sono per ora incoraggianti. Ovvio che non si deve perdere di vista la necessità di essere presenti e, proprio a tal fine, la Guardia di Finanza sta recuperando, grazie all’appoggio della Bioraffineria Eni, una caserma non più utilizzata, per permetterci di alloggiare più personale e unità cinofile antidroga, proprio per dare ulteriori risposte a questa necessità di sicurezza avvertita dalla società civile. Si tratta di un progetto in dirittura d’arrivo che mi rende molto fiero e mi auguro possa aiutare a disporre di più finanzieri sul territorio”.

Indagini e successivi procedimenti penali, hanno appurato l’esistenza a Gela di un vasto mercato della droga. Dove e come bisogna intervenire per stroncare il flusso continuo di stupefacenti?

“Il traffico di droga è una delle attività maggiormente lucrative per la criminalità organizzata e comune; per questo, richiama sempre l’attenzione delle nostre indagini anche al fine di eliminare le possibilità di reimpiego delle ingenti somme ottenute nei mercati leciti. Gela si trova al centro di un’area geografica da sempre interessata a questi traffici sia via mare che via terra e, soprattutto, che vanta un numero elevato di abitanti, tra i quali una rilevante popolazione giovane. Purtroppo, il tema degli stupefacenti sta avendo negli ultimi decenni una sempre maggiore accettazione “sociale” che rende il problema rilevante prima di tutto sotto il profilo educativo e di presenza dei servizi. Il solo contrasto ai traffici non rappresenta l’unica risposta possibile perché il solo sequestro delle sostanze e gli arresti connessi, di fatto, rendono solo più scarsa la risorsa, aumentandone il prezzo e, conseguentemente, i profitti per i criminali. Bisogna quindi agire su più fronti, potenziando Sert e Servizi sociali, affinando le politiche educative e, certamente, rendendo più efficaci le attività di controllo del territorio e di contrasto da parte delle Forze di Polizia”.

Ultimamente avete acceso i riflettori sul sistema del servizio idrico integrato nel Nisseno. L’inchiesta riguarda la gestione dell’erogazione, la ricerca di eventuali reati di natura economica, la non potabilità dell’acqua, l’inquinamento ambientale e le eventuali cause e responsabilità. Cosa dobbiamo aspettarci dall’indagine ancora alle fasi preliminari?

“Ogni attività di indagine è sotto la direzione della Procura della Repubblica ed è volta a verificare la sussistenza di eventuali elementi di responsabilità penale idonei a un giudizio prognostico di colpevolezza. Nella fase delle indagini preliminari si cercano tali elementi con totale garanzia degli eventuali indagati e quindi, allo stato, è assolutamente prematuro anticipare qualunque conclusione. Quello che ci si può aspettare in questo momento è lo svolgimento di attività istruttorie caratterizzate dal massimo rigore e garanzie processuali, per pervenire il prima possibile a un convincimento della Procura circa la sussistenza o meno di fattispecie di reato. Il tema della gestione del servizio idrico integrato è della massima importanza per la popolazione della nostra provincia e per questo merita un sereno ed approfondito esame per comprendere le dinamiche e le azioni che hanno portato alla situazione attuale e verificare la loro rispondenza alla normativa vigente, soprattutto per rispetto dei costi pagati dai cittadini e delle risorse immesse a carico dell’Erario pubblico”.

Le verifiche presso sedi di lavoro, a Gela, che gravi irregolarità fanno emergere?

“Il tema delle verifiche presso le sedi di attività commerciali o imprese è alla costante attenzione del Corpo anche in collaborazione con altre amministrazioni dello Stato. Le irregolarità che più spesso si verificano, riguardano la presenza di lavoratori in nero, in particolare nella stagione estiva durante il periodo della Movida o quando le attività connesse all’agricoltura sono più intense, e il mancato versamento delle contribuzioni obbligatorie. In qualche caso, si verificano vere e proprie “estorsioni” in danno dei lavoratori che, in cambio del contratto di lavoro, devono “restituire” una parte del proprio salario al datore di lavoro”.

È un problema culturale, frutto di una mentalità sbagliata, quello che porta ad affrontare la questione degli obblighi fiscali e previdenziali in maniera distorta dalle regole?

“Una volta ho sentito dire da un professore di diritto tributario che le persone vanno cantando a fare la guerra ma mai si sente qualcuno cantare quando deve pagare le proprie imposte. E non era un professore italiano, quindi il problema è evidentemente generalizzato. Si tratta certamente di un problema culturale e di educazione quello per il quale non si comprende come il pagamento delle imposte consenta allo Stato di fornire quei servizi pubblici che rendono una comunità sociale sempre più avanzata e solidale. Pensare che in Italia disponiamo di istruzione e sanità gratuite e date a tutti dallo Stato mentre altri Paesi economicamente avanzati non danno gli stessi servizi dovrebbe far riflettere. Allo stesso tempo, però, è fondamentale che lo Stato dia prova di essere capace di fornire tali servizi perché, altrimenti, qualcuno potrà sentirsi “giustificato” a non dare il proprio contributo nella maniera corretta. Per questo reputo fondamentale la missione della Guardia di Finanza di controllare il corretto adempimento tributario ma anche, allo stesso tempo, la correttezza della spesa pubblica e di come ogni euro di prelievo debba essere destinato ad una corretta finalità di interesse pubblico”

Usura, riciclaggio, truffe e frodi, pratiche commerciali pericolose per i cittadini. Quanto sono diffusi questi reati in provincia?

“Purtroppo, alcuni di questi reati sono molto diffusi e non solo in questa provincia. Mentre per certi reati come le frodi in commercio, è possibile svolgere indagini anche in assenza di denunce che servano da “fonte di innesco”, per altri come l’usura è molto difficile avere elementi utili per iniziare un’investigazione senza input da parte delle vittime. E in questo senso è fondamentale la presenza di associazioni antiracket serie e volenterose che possano rappresentare un primo collettore di eventuali situazioni critiche sia sul versante dell’estorsione che su quello dell’usura. È importante, comunque, che i cittadini sentano vicine le Istituzioni e collaborino denunciando eventuali condotte e anche solo rivolgendosi alle Autorità preposte in ogni caso di dubbio circa attività che potrebbero essere illecite”.

Sono continui i vostri controlli per garantire che i fondi del Pnrr siano utilizzati correttamente. Avete sentore che qualcuno li possa distrarre?

“La Guardia di Finanza è preposta ai controlli in tema di spese pubbliche e, per questa ragione, è tra gli attori riconosciuti dalla normativa in tema di controlli sul Pnrr. Proprio a tal fine, il Comando Provinciale di Caltanissetta ha firmato numerosi protocolli con i principali comuni della provincia, tra i quali Gela e Niscemi, per collaborare ancora più da vicino al fine di individuare eventuali condotte illecite tese a distrarre tali ingenti risorse dalle finalità istituzionali. E tali protocolli prevedono anche una parte di formazione per i funzionari pubblici incaricati della spesa, al fine di creare una collaborazione e una sinergia sempre più efficace e rendere più efficiente e legalmente orientata la gestione di tali progettualità. Anche se la maggior parte dei fondi ancora non è arrivata nella provincia per la “messa a terra” dei progetti, abbiamo già avviato, sia in collaborazione con i Comuni che di iniziativa, una serie di controlli che hanno evidenziato alcune irregolarità. Attendiamo i prossimi mesi per svolgere controlli ancora più penetranti sui progetti che abbiamo iniziato a monitorare”.

D’accordo che per fare crescere un territorio, per incrementare lo sviluppo, un ruolo determinante devono assumerlo le associazioni datoriali e di categoria?

“Sono fermamente convinto che il dialogo con le associazioni datoriali e di categoria sia fondamentale per una moderna Polizia Economico-Finanziaria quale la Guardia di Finanza. Non è possibile seguire le dinamiche economiche di un territorio se si prescinde da una dialettica aperta e trasparente con i soggetti che quel territorio fanno vivere ed evolvere con il proprio lavoro e, spesso, con grandi sacrifici. Già negli scorsi anni abbiamo svolto numerosi eventi con alcuni ordini professionali e associazioni imprenditoriali, finalizzati proprio a costruire questo dialogo apportando esperienze e cercando di creare un ambiente il più possibile sereno tra il Corpo e la società civile della provincia. Una crescita del nostro territorio è possibile solamente se tutti gli attori coinvolti svolgono un ruolo consapevole e trasparente; per quello ritengo che la partecipazione della Guardia di Finanza a iniziative di dialogo sia sempre fondamentale per far conoscere le proprie linee di azione, per depotenziare eventuali conflitti e per garantire un ambiente economico e imprenditoriale sereno che contribuisca alla crescita di Gela e di tutta la provincia”.

Entriamo nel dettaglio dell’ultimo incarico che lei ha portato a compimento, prima di arrivare a Caltanissetta: esperto della Guardia di Finanza presso l’Ambasciata d’Italia in Panama e la Segreteria Esecutiva del Centro Interamericano delle Amministrazioni Tributarie con accreditamento secondario in Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana e Isole Cayman

“I campi principali nei quali sono impiegati gli Esperti della Guardia di Finanza presso le Ambasciate italiane all’estero sono la lotta all’evasione fiscale e alla criminalità economico- finanziaria, il contrasto alla corruzione, alla contraffazione e la tutela del Made in Italy. Un altro settore di stretta cooperazione con le Ambasciate è quello della lotta alla dimensione finanziaria delle organizzazioni terroristiche e dell’applicazione delle sanzioni internazionali. Inoltre, la peculiarità del mio incarico a Panama aveva anche dei riflessi importanti quale corrispondente dell’Amministrazione Tributaria italiana presso un organismo internazionale che riunisce tutte le istituzioni tributarie delle Americhe e molte altre europee, asiatiche e africane. Proprio in questo ambito assumeva quindi grande importanza quello di sviluppare rapporti con le Amministrazioni estere, anche quelle con le quali non esistono strumenti formali di cooperazione, per raccogliere più agevolmente e rapidamente informazioni di interesse e promuovere lo scambio di esperienze e la formazione, per migliorare globalmente il contrasto ai crimini economico-finanziari. “Esportare” e far conoscere le peculiarità e le esperienze maturate dalla Guardia di Finanza nel mondo, anche in contesti molto diversi per cultura giuridica e mentalità, è stata un’esperienza importantissima che mi ha regalato moltissime soddisfazioni e grandi amicizie che personalità estere che mi hanno arricchito sia personalmente che professionalmente”.

Dal 1990 (anno di ingresso nella Guardia di Finanza) ad oggi, ha avuto tantissime esperienze. Qual è quella che ricorda con piacere e perché?

“Devo dire di essere stato fortunato per aver svolto compiti diversi sempre di grande soddisfazione e responsabilità. Ho avuto la possibilità di comandare Reparti del Corpo fin dal termine dell’Accademia, sono stato a più riprese presso lo Stato Maggiore del Corpo e in Amministrazioni esterne, sono stato più volte all’estero. E tutte queste esperienze per quanto differenti e, in alcuni casi, anche difficili ed impegnative, mi hanno lasciato bellissimi ricordi anche e soprattutto per le persone con le quali ho avuto il piacere di lavorare. Forse un’esperienza che ricordo sempre con piacere, e forse un po’ di nostalgia, è l’incarico di Comandante di Tenenza. Si trattava della prima destinazione al termine del corso quinquennale in Accademia e l’emozione era tantissima. Ero al comando di 87 persone tutte anagraficamente più grandi di me che avevo 23 anni. Ricordo con piacere le esperienze fatte, le persone incontrate e gli insegnamenti ricevuti e, alla fine, anche gli errori fatti, perché mi hanno fatto crescere come persona e come professionista. E poi non si possono non ricordare con piacere i propri venti anni…”

Ha mai temuto per la sua vita?

“A Panama, in due occasioni, ci sono stati degli episodi poco “simpatici” dai quali forse sarei potuto non uscire in piena salute. Ma timore devo dire di non averne avuto e non lo dico per dimostrare coraggio. Anzi, probabilmente c’è stata solo un po’ di incoscienza e mancata comprensione, nell’immediato, delle conseguenze di talune azioni. Comunque, mai mi sono trovato a pensare di non andare avanti su una certa strada o perseguire certe situazioni, soprattutto sul piano lavorativo. Le situazioni si affrontano con consapevolezza e si ragiona sulla strategia migliore per arrivare al risultato con i minori rischi o, almeno, una dose accettabile e gestibile di rischio per tutti”.

Se tornasse indietro, rifarebbe tutto quello che ha fatto?

“Sì. Senza dubbio. Ho avuto la possibilità di vivere esperienze e situazioni uniche, conoscere tante persone eccezionali. Quindi tutto quello che ho vissuto e sto vivendo tuttora forma parte di un “viaggio” unico che mi ha portato ad essere la persona che sono. E devo dire che mi piace quello che sono diventato, pur con i tanti difetti che ogni essere umano si porta dietro”.

Ha un rimorso?

“Tito Livio scriveva “Dimentichiamo quello che è già successo, perché ci si può lamentare, ma non tornare indietro”, quindi non ho particolari rimorsi. Certo con l’esperienza e “il senno di poi” di cui siamo fin troppo pieni, avrei cambiato alcune decisioni prese nel tempo, ma sono convinto che si agisca con le carte che si hanno in mano e quindi sia inutile abbandonarsi ai rimorsi successivamente. Ma da tutto si possono trarre esperienze e ammonimenti per il futuro e, forse, l’unico rimorso che potrei avere sarebbe nel caso in cui non fossi riuscito a fare abbastanza tesoro di tutto questo”.

Cosa ammira dei suoi uomini?

“Arrivando in Sicilia da un’esperienza così diversa come quella del Centro America, ho trovato in tutti i miei colleghi una grandissima preparazione professionale che forse non mi aspettavo in questi termini di assoluta eccellenza. Proprio questa capacità ammiro in tutti loro; indipendentemente dal tipo di lavoro che svolgono l’impegno in quello che fanno è sempre massimo e i risultati sono evidenti. Poi ho iniziato ad apprezzare sempre di più le doti umane di ognuno di loro, che mi sembrano il tratto comune di molti siciliani: la disponibilità, la serietà, la coerenza nel portare avanti i propri propositi. Devo dire che per me tutto questo è stato una scoperta e soprattutto un esempio che cerco di onorare ogni giorno mettendo tutti, nei limiti delle mie possibilità, in grado di lavorare al meglio”.

Quale libro sta leggendo ultimamente?

“Da pochissimo ho letto nuovamente, dopo parecchi anni, il libro Uomo di Rispetto di Enzo Russo, autore che ho conosciuto personalmente qui in provincia e che stimo per la cultura, la capacità nello scrivere e l’acume nel descrivere situazioni e personaggi. Devo dire che rileggere questo libro dopo tanti anni e, soprattutto, dopo aver conosciuto i luoghi e le situazioni descritte mi ha fatto parecchio effetto e mi ha aiutato a comprendere meglio tanti aspetti del libro e della storia in esso raccontata. Da pochissimo invece ho iniziato a leggere La isla de la mujer dormida dello scrittore spagnolo Arturo Pérez-Reverte che racconta una storia completamente diversa ambientata negli anni ’30 tra guerra civile spagnola, ideali contrapposti e amori su un’isola greca dell’Egeo che dà il nome al libro (Isola della donna addormentata). Molto appassionante per ora come tutti i romanzi dello stesso autore”.

L’ultimo film che ha visto al cinema?

“Ho appena visto “Eden”, diretto da Ron Howard, che ci porta a un 1929 che vede in Europa la fine di molte democrazie, la nascita di dittature, e i venti di guerra. Il film è tratto da una storia non solo vera, ma documentata e in parte filmata, e ci fa capire che per quanto si cerchi di scappare da certe situazioni, ci si porta sempre dentro una carica di violenza, di sopruso, di manipolazione che possono esplodere da un momento all’altro, come accade ai protagonisti di questa storia che si ritrovano in un’isola nelle Galapagos pensando di essersi lasciati gli sbagli delle loro società alle spalle e ritrovandosi, invece, in una situazione ancora peggiore. Forse non è un film pienamente riuscito, che presenta qualche eccesso di melodramma, ma la storia è interessantissima e le prove degli attori veramente eccezionali. Me lo sono visto davvero volentieri e la colonna sonora di Hans Zimmer è bellissima”.

Segue il calcio?

“Si”

Roma o Lazio?

“Laziale da generazione…”

Qual è il suo giudizio sul campionato dei biancocelesti con Baroni in panchina?

“Roma è una piazza difficilissima per qualunque allenatore al primo anno con una squadra fortemente rinnovata: questo dovrebbe quindi essere un periodo di transizione per comprendere le potenzialità del progetto. Baroni e la squadra hanno fatto una grandissima prima parte della stagione che nessuno si aspettava. Ha avuto un calo da dicembre fino a qualche partita fa, eliminazione dall’Europa League compresa, ma mi auguro che si riesca ancora a dare risalto a quanto di buono è stato fatto e magari porre le premesse per il prossimo anno. Nessuno dava credito a questo progetto e, onestamente, sono rimasto molto sorpreso da alcune ottime prestazioni e da alcuni singoli che hanno avuto un’evoluzione incredibile. Speriamo che prima o poi qualche risultato di rilievo arrivi…incrociamo le dita”.

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