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La parola della domenica

Sale e luce. Questo deve essere il cristiano nel mondo

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Rubrica ad ispirazione cattolica a cura di Toto’ Sauna

Domenica 05 febbraio 23
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Mt 5,13-1

Sale e luce. Questo deve essere il cristiano nel mondo. Se non ci riusciamo vuol dire che qualcosa non va. Il sale e la luce duemila anni fa erano preziosissimi. Cose per i re per i più ricchi. Importantissimi. Solo loro potevano permettersi il lusso di mangiare le minestre con il sale. Poi, a quei tempi l’Enel non c’era. Dovremo aspettare qualche secolo. Solo i re e i ricchi con le varie lucerne avevano le case illuminate. Il resto aspettava la luce del sole per vedere i volti dei cari. Gesù non utilizza a caso questi elementi Il sale era talmente prezioso nell’antichità da rappresentare, per molte categorie, fra cui i soldati, la paga per il proprio lavoro, il “salario”. Sale e luce. Mi vengono in mente il mio ambiente di lavoro, la mia famiglia, la mia comunità, la mia parrocchia. Sono sale e luce. Riesco a insaporire le giornate di coloro con cui sono vicino? Riesco ad illuminare le persone che mi stanno accanto? Perché Gesù non ha mezzi termini. Lo dice chiaro e tondo. Non gira attorno al discorso. E’ Chiarissimo. Se non riusciamo ad essere luce e sale saremo buttati via. Senza se e senza ma. Si vide che Gesù è diverso da molti politici che a loro insaputa  ricevono case ed assicurazioni ed interrogati cadono dalle nuvole. Gesù è chiaro. Non gira attorno. Siamo sale e luce? Ci salveremo. Non riusciamo ad esserlo. Non ci salveremo. Chiaro. Guardo, allora, alla nostra città. Alla nostra Gela. Macchine e negozi bruciati. In giro c’è poca luce e sale. Sarà il nostro sfrenato individualismo. Il nostro retaggio culturale. Non ci riusciamo. Ma se non siamo sale e luce, chi siamo? Perennemente insoddisfatti. Eternamente in ricerca. Siamo sempre a metà strada. Vediamo che in lontananza c’è un bell’orizzonte, ma non andiamo. Abbiamo sempre qualcosa da fare. La spesa, gli amici, il lavoro, l’articolo per la rubrica. Andiamo ad intermittenza. Due passi avanti e uno indietro. O viceversa. Dipende i casi. A volte ci accendiamo e pensiamo quanto siamo bravi, buoni, belli, caritatevoli, misericordiosi. Perché il Mondo ce la con me che sono cosi buono? Poi, ci arriva un malanno, un raffreddore o qualcosa di più grave o le cose della vita non vanno come vorremmo e cambiamo di colpo.  Non abbiamo avuto la promozione sperata. Il nostro candidato non ce l’ha fatta. La moglie ci tradisce o viceversa. Questo per la par condicio. Patratracche e tutto crolla. La luce si affievolisce e il cibo diventa insipido. Dio- bancomat non ha esaudito i nostri desideri, non ha ci dato quanto richiesto. Controlliamo il PIN. Niente. Il risultato non cambia. Allora, iniziamo la tiritera, Dio non esiste, è malvagio, non è giusto, ah se ci fosse  Dio Lui farebbe, direbbe ecc. Quante volte ho sentito queste frasi. Non so voi amici lettori. Dio ci chiama ad altro. Ci chiama a volare, ad andare avanti a guardare il futuro, a guardare l’orizzonte, a camminare, a correre, ad essere sempre, dovunque noi siamo, dovunque incontriamo, di luce e sale, di essere testimoni, di dire agli altri: io ero disperato, ma ora sono salvo, ero cieco, non sapevo dove andare, ho cercato Cristo nell’alcool, nella droga, nelle scommesse, ma sono rimasto deluso. Cercavo la felicità e sono sempre più disperato.  Dio mi ha salvato e gridiamolo forte forte. Che tutti ci possano sentire. Non vergogniamoci di farlo, se non Dio si vergognerà di noi. Diciamolo ero cosi e ora non più, ero spento, insipido, maledicevo tutti, ora sono sale e luce . Gli altri lo vedranno, chi ci sta attorno capisce che è successo qualcosa di nuovo in noi. Siamo diventati creature nuove, abbiamo lasciato l’uomo vecchio. Ma ci sentiamo incapaci. Impotenti. Non sono in grado, non posso farcela. Troppe ferite, troppi limiti, troppi difetti, troppa paura, troppa poca fede. No, non è così. il discepolo sempre e per sempre resta ferito, sempre e per sempre deve combattere contro le sue paure, le sue ombre. Ma, siamo scelti proprio perché feriti. Diventiamo dei guaritori feriti, peccatori perdonati, non brilliamo di luce propria, non scherziamo, non siamo diversi o migliori. Siamo stati accesi. Non dobbiamo convincere, ma essere. Non dobbiamo vendere un prodotto, ma accogliere e vivere una novità di vita. Non dobbiamo far luce, ma restare accesi attingendo alla fiamma viva della Parola. Non portiamo noi stessi ma un Dio donato. Peccatori perdonati, proprio per avere conosciuto la tenebra e l’ombra, sanno incoraggiare i peccatori, senza giudicarli e senza ingannarli. Come faremo? Frequentando la Parola, costruendo comunità sostenuti dai segni della presenza del Signore che sono i sacramenti, guardando alla luce, insaporendo la nostra vita con la visione che Dio ha sulle cose. La candela non sa di far luce, brucia. E si consuma. Sempre. In silenzio. Senza compromessi, senza pigrizia, senza cedimenti. Coerenti senza diventare fanatici, misericordiosi, non intransigenti. Ed evitare di giudicare e di vivere schiavi del giudizio altrui. Purificare il linguaggio sempre più violento. Aprire il cuore alla compassione verso chi ha fame. A tutti possiamo dare sapore, a tutti possiamo indicare una strada, un percorso. Perché noi per primi lo abbiamo ricevuto. No, certo, non giochiamo a fare i puri, i buoni, i bravi cattolici. Non giochiamo a fare i santi, non vogliamo abbracciare la santa ipocrisia che così tanto male ha fatto al Vangelo. Vogliamo solo appassionatamente, immensamente, fortemente seguire colui che ci ha cambiato la vita. E credere, credere con tutte le nostre forze che la strada da lui indicata ci porta alla verità e alla pienezza.

Buona Domenica

Totò Sauna

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La parola della domenica

“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”

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Rubrica di ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 16,15-20

“In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura»: l’ordine stupendo impresso da Dio nel creato è stato sconvolto dalla scelta di Adamo ed Eva di volere stabilire loro stessi ciò che è bene e ciò che è male. Tutta la creazione è stata sconvolta: violentata dall’uomo è diventata violenta contro l’uomo. Cristo, nuova creatura, ha dato origine a un nuovo rapporto con la creazione. Proponendo Cristo all’uomo, anche la creazione riscopre il suo nuovo modo di essere per l’uomo. L’uomo deve scegliere: accettare Cristo e salvare se stesso e l’universo; o rifiutare Cristo e perdere se stesso e l’universo. 
Dopo avere parlato fu assunto al cielo (letteralmente: “preso su da Dio”, cioè fu ricongiunto al Padre di cui è l’Unigenito). Egli, risorto, è con i suoi che lo annunciano e mostrano in se stessi il cambiamento che la Parola, che è vita, produce. 

Quaranta giorni dopo Pasqua celebriamo l’Ascensione di Gesù in attesa della Pentecoste.
Fino al V secolo vi era un’unica festa perché fu un unico evento. Gesù è morto e risorto, è istantaneamente salito al cielo e rimane in mezzo a noi con lo Spirito Santo. Queste tre feste sono sfaccettature dell’unico evento della Risurrezione.

Gesù aveva bisogno di liberarsi del tempo e dello spazio per poter essere definitivamente presente in ogni angolo del mondo contemporaneamente e per sempre.
Questa modalità è la possibilità che ogni essere umano ha di poter dire: posso incontrare il risorto.
Da quel giorno in Dio c’è un uomo: Gesù di Nazareth

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La parola della domenica

“Amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi”

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Rubrica di ispirazione cattolica

dal Vangelo di Gv 15,15

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Oggi celebriamo l’ultima Domenica prima delle feste solenni dell’Assunzione e di Pentecoste, che chiudono il ciclo Pasquale. Se durante queste Domeniche Gesù risuscitato si è manifestato come il Buon Pastore e come la vite alla quale bisogna rimanere uniti come suoi tralci, oggi ci spalanca le porte del suo Cuore.

Naturalmente, nel Suo Cuore troviamo solo amore. Quello che costituisce il mistero più profondo di Dio e che è Amore. Tutto ciò che ha fatto dalla creazione alla redenzione è per amore. Tutto quello che si aspetta da noi come risposta alle sue azioni, è amore. Per questo, oggi risuonano le sue parole «Rimanete nel mio amore » (Gv 15,9). L’amore vuole reciprocità, è come un dialogo che ci fa corrispondere con un crescente amore il suo primo amore.

Frutto dell’amore è l’allegria: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi» (Gv 15,11). Se la nostra vita non riflette l’allegria di credere, se ci lasciamo affogare dalle contrarietà senza vedere che anche lì, il Signore è presente e ci consola, è perché non abbiamo conosciuto abbastanza a Gesù.

Dio ha sempre l’iniziativa. Ce lo dice espressamente affermando che «io ho scelto voi» (Gv 15,16). Noi abbiamo la sensazione di pensare di aver scelto, però non abbiamo fatto altro che rispondere a un invito. Ci ha scelto gratuitamente per essere amici «Non vi chiamo più servi (…); ma vi ho chiamato amici » (Gv 15,15).

Agli inizi Dio parla con Adamo come un amico parla con un suo amico. Cristo, nuovo Adamo, ha recuperato non solo l’antica amicizia, ma l’intimità con Dio, visto che Dio è amore.

Tutto si riassume in questa parola “amore”. Ce lo ricorda Sant’Agostino: «Il buon Maestro ci raccomanda frequentemente la carità come unico comandamento possibile. Senza la carità tutte le altre buone qualità non servono a nulla. La carità, di fatto, porta l’uomo a tutte le altre virtù che lo fanno buono.

Rev Francesc Catarineu

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La parola della domenica

Io sono il buon pastore

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Rubrica di approfondimento religioso

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10,11-18

“In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio.”

Guidati e illuminati dalla liturgia pasquale, continuiamo a penetrare le «insondabili ricchezze» del mistero di Cristo. In questa Domenica ciò che la parabola del buon pastore vuole mettere in luce è la dedizione del pastore e non la docilità delle pecore, docilità che può evocare passività e conformismo. Gesù non ci invita a rinunciare alle nostre responsabilità, né ci chiama ad una confidenza cieca.

«Io sono il buon pastore» — dice Gesù —: colui che merita di esserlo, in opposizione a tutti coloro che solennemente si proclamano guide dei popoli e che cercano invece potere e successo. Cristo non è il capo che agita le folle. Egli propone a ciascuno quell’intimità unica che unisce lui, il Figlio, al Padre. Egli non adula la buona coscienza del piccolo gregge fedele, volentieri sprezzante delle pecore malate, o condiscendente verso quelle che non appartengono allo stesso pascolo: «Ho ancora altre pecore che non sono di questo ovile…». Gesù stesso ci indica il segno da cui possiamo riconoscere il vero pastore: il dono della vita. Ma non nel modo sempre un pò disperato in cui gli uomini migliori danno la loro vita, perché non possono più tornare indietro senza tradirsi. Solo Cristo può dire: «Nessuno può prendersi la mia vita». All’uomo che faticosamente va incontro alla morte, Cristo rivela la totale libertà del Figlio che solo per amore si offre alla morte per vincerla. A noi, che troppo spesso subiamo il nostro destino e non pensiamo che a schivare i colpi della sorte, Gesù vuole insegnare a capire la nostra vita, ad accogliere le nostre piccole morti quotidiane e la nostra morte finale.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
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