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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

Sempre connessi: uso ed abuso dei social network negli adolescenti pandemici

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Sempre connessi.
Durante questo periodo di Pandemia da COVID-19, le abitudini degli adolescenti sono cambiati in termini di relazioni reali e relazioni virtuali,
L’accesso alla rete Internet è diventata un’abitudine ben consolidata tra il pubblico giovanile, la cui straordinaria partecipazione al fenomeno dei social network e la dimestichezza con la quale gestiscono le nuove tecnologie digitali ne sono una semplice testimonianza. In Italia, l’indagine Istat «Cittadini e nuove tecnologie» del 2013 ha rilevato che i maggiori utilizzatori del personal computer e di Internet restano i giovani tra i 15 – 19 anni, mentre il report su Mobile internet access and use among European Children (www.netchildrengomobile.eu, 2013) che analizza dove, da quali piattaforme, a che età i ragazzi usano internet e cosa fanno online, ha rimarcato come il 42% dei ragazzi che usano Internet accede alla rete quotidianamente dallo smartphone o da un cellulare abilitato.
Questi dispositivi sono considerati gli strumenti prediletti dal pubblico giovanile in questo periodo pandemico, e, secondo alcune previsioni, in tempi brevi, diventeranno i protagonisti del mercato vendite a danno dei personal computer. La diffusione dei dispositivi mobili ha determinato conseguentemente una crescita dell’utilizzo dei social media, i quali, sono diventati un’estensione della vita quotidiana per moltissime persone. La diffusione dei social media è in continuo aumento, sia a livello di accesso alle piattaforme, sia a livello di tempo speso.
L’espressione “sempre connessi”, descrive in maniera sintetica uno dei tratti distintivi della società globalizzata in cui siamo inseriti (Regalia et al., 2013). Le tecnologie digitali, assieme ad internet, sembrano dominare in maniera incontrastata il budget time dei ragazzi, i cui comportamenti comunicativi hanno cominciato a caratterizzarsi per una prevalenza di interattività e mobilità, tipici della “generazione 2.0” (Cavagnero et al., 2011).
Sulla base della mia esperienza di docente e di psicologo durante lo sportello di ascolto presso il Liceo G, D, Cassini in Sanremo, e di fronte allo scenario pervasivo della tecnologia nella nostra società, ho deciso di rivolgere la mia attenzione verso gli adolescenti, in modo da comprendere il loro rapporto con le tecnologie comunicative, in particolare le modalità di accesso alla rete Internet e ai siti di social network.2. L’intervista semi-strutturata
L’adolescenza rappresenta una fase dell’età particolarmente complessa e intensa, ma soprattutto quella maggiormente attiva ed esposta ai rischi e pericoli che si celano in rete. A tale scopo, ho compiuto un’indagine di ricerca, somministrando delle interviste semi-strutturate, a dodici adolescenti di età compresa tra i 13-18 anni, tra cui 180 femmine e 196 maschi. Le interviste sono state interamente registrate e fedelmente trascritte. La traccia di intervista era incentrata sugli argomenti che ritengo particolarmente significativi per la comprensione dell’uso che gli adolescenti intervistati fanno dei social network. In particolare l’intervista si proponeva:
– osservare e stabilire il grado di familiarità degli adolescenti con i dispositivi tecnologici;
– verificare la frequenza d’uso e le principali modalità di accesso a Internet;
– analizzare l’uso quotidiano dei dispositivi tecnologici; le motivazioni che spingono gli adolescenti a svolgere attività in rete (soprattutto con riferimento ai siti di social network).
La scelta degli adolescenti intervistati è avvenuta tramite una selezione, non eccessivamente scrupolosa, basata sulla mia rete amicale di Facebook. Quale posto migliore per avviare una ricerca relativa gli adolescenti e l’utilizzo dei social network? Poiché i siti di social network rappresentano uno spazio molto frequentato dagli adolescenti, ho ritenuto potesse essere un buon punto di partenza per cercare potenziali intervistati. Per selezionare il gruppo intervistato mi sono basato sull’osservazione di molti profili, sulla valutazione delle attività, quali la pubblicazione di contenuti, lo stringere nuove amicizie e gli aggiornamenti di stato, in modo da scegliere i profili di mio interesse. Più specificatamente, mi sono basato sulla gestione del profilo personale, osservando i contenuti pubblicati (foto, video, post, ecc.) e le azioni svolte in questo spazio.
La selezione ed il contatto con gli adolescenti non è avvenuto in un unico momento, bensì ad interviste già avviate, in modo da non accavallare gli impegni e per varie esigenze. Ho provveduto a contattare personalmente i ragazzi tramite il servizio chat di Facebook, spiegando loro l’oggetto dell’intervista e mostrando disponibilità ad intervistarli secondo i loro impegni. In un paio d’occasioni mi è stato chiesto dai giovani contattati di svolgere l’intervista in coppia, accompagnati dal fidanzato e dalla fidanzata. Sebbene l’unità di analisi della ricerca fosse l’individuo, ho deciso di assecondare ugualmente tale richiesta pur sapendo che l’intervista avrebbe subito un’impostazione diversa.
I ragazzi e le ragazze si sono mostrati molto incuriositi e molto disponibili nell’offrirmi il loro contributo, finanche quando, in un paio di occasioni, si è presentata la necessità di interrompere le interviste per poi riprenderle in un secondo momento. Tutto questo, probabilmente, è stato facilitato dal fatto che agli occhi dei ragazzi non rappresentavo un estraneo, ma bensì, un volto conosciuto che faceva parte della loro rete di “amici” su Facebook.
Prima di cominciare ogni intervista ho comunicato nuovamente ai ragazzi gli obiettivi che intendevo perseguire, domandando il permesso di registrare la conversazione garantendone, in ogni caso, l’anonimato. Durante lo svolgimento del lavoro, ho cercato di seguire uno schema preimpostato in precedenza, prestando attenzione agli elementi che emergevano durante la conversazione, pronto ad approfondire ogni tipo di questione che poteva rivelarsi utile al perseguimento degli obiettivi.
Una volta concluse le interviste ho provveduto ad una loro trascrizione puntuale, procedendo successivamente all’analisi cercando di individuare i concetti chiave, stabilendo eventuali elementi comuni, cercando di offrire un quadro esaustivo dell’argomento.

3. Lo smartphone sul gradino più alto del podio
Al fine di inquadrare i dispositivi tecnologici maggiormente utilizzati dai ragazzi, ho avviato ogni intervista chiedendo loro una lista di quelli di cui disponessero e quale fosse quello da loro preferito.
Strumenti come il Computer, il tablet Pc, l’i-Pod, le console per videogiochi e la televisione sono tutti dispositivi comuni nella quotidianità degli adolescenti intervistati, ma il cellulare smartphone risulta essere all’unanimità l’oggetto preferito e maggiormente utilizzato.
Va precisato che tutti i ragazzi intervistati hanno ricevuto il primo telefono cellulare ad un’età molto giovane (10-12 anni), cambiando fino ad oggi almeno cinque modelli, quindi, circa uno all’anno. La spesa è ricaduta sempre sui genitori. Un importante fattore che spinge i ragazzi a volere un nuovo telefono cellulare è dato dalla considerazione che il modello in loro possesso non sia più di moda. La possibilità di connettersi alla rete internet e di usufruire delle applicazioni e tecnologie più avanzate sono importanti caratteristiche che motivano il loro desiderio di cambiare. Inoltre, la spinta all’omologazione, ad avere ciò che hanno gli altri gioca un ruolo non indifferente:
Il primo cellulare l’ho ricevuto in prima media (…) Secondo me si dovrebbe cambiare quando è troppo vecchio rispetto ai nuovi modelli [Mirco, 18 anni].
Per me andrebbero cambiati se si rompono o se diventano obsoleti [Luca, 17 anni].
Se il cellulare non ha internet mi sento indietro (…) se manca internet non vale il cellulare” [Luisa, 16 anni].
Se tutti hanno un altro telefono, più moderno, piacerebbe anche a me avercelo [Andrea,15].
Il dispositivo smartphone è ormai parte integrante delle attività quotidiane dei ragazzi, in quanto lo portano con sé ovunque vadano e lo utilizzano, o possono utilizzare, in qualsiasi momento durante la giornata: al momento del risveglio, mentre si fa colazione, sull’autobus, a scuola, dopo pranzo, all’allenamento, mentre si studia, prima di addormentarsi, quando si è fuori in compagnia. Lo smartphone è costantemente utilizzato e rimane a portata di vista, tatto e udito. Solo la notte questo strumento trova riposo, lasciato sotto carica sul comodino di fianco al letto, in modo da essere operativo la giornata successiva.
Tale dispositivo viene utilizzato come forma di intrattenimento ludico e musicale, ma soprattutto è lo strumento preferito per restare in contatto con gli amici. Lo spazio domestico mantiene ancora la sua importanza e il suo peso nella fruizione dei contenuti mediali attraverso questo dispositivo, dove anche televisione e computer, seppur in maniera ridotta rispetto a qualche anno fa, mantengono tutt’ora un certo potere sull’attenzione dei ragazzi.
Le dichiarazioni degli adolescenti intervistati confermano quanto lo smartphone faccia saldamente parte della loro routine quotidiana, tant’è che il separarsi per qualche ora o, addirittura, un giorno può essere vissuto con molto disagio, quasi come subire una sorta di “trauma”:
Se si rompe il cellulare non so cosa fare [Luciano, 16 anni].
Un giorno o due riuscirei a stare, ma al terzo piuttosto vado a prenderlo a 20 euro, mi va bene anche uno scaccione, anche uno con i tastoni va bene, basta messaggiare (…) anche se mi sento un po’ indietro e mi viene voglia di cambiarlo [Liam,16 anni].
Un giorno senza sarebbe già critico [Mirco, 18 anni].
Se il cellulare si rompe chiedo subito a mia mamma e mi faccio dare il suo [Sofia, 14].
Sebbene gli intervistati non riescano ad immaginarsi privi di questo strumento, i ragazzi hanno confessato di poter resistere anche per lunghe ore senza telefono. Per esempio, in alcuni momenti come le lezioni a scuola, lo studio a casa o mentre stanno praticando sport, riescono a concentrarsi e a dedicarsi alle attività senza problemi, senza dover interagire assiduamente col proprio dispositivo mobile.
L’essere a stretto contatto col proprio dispositivo smartphone viene, in qualche modo, favorito anche dalle esigenze di alcuni genitori che vogliono avere la possibilità di contattare e monitorare gli spostamenti dei propri figli quando non sono a casa, motivo per cui, ai ragazzi viene sollecitato di portare sempre con sé il proprio cellulare. Esso rappresenta, soprattutto, lo strumento ideale per restare in contatto con la propria rete amicale e questo motivo spiega la pervasività e lo stretto legame tra ragazzo e cellulare. Sia in ambiente domestico da una stanza all’altra, sia all’esterno quando si esce per andare a scuola, all’allenamento o tra amici lo smartphone è sempre presente. Si genera, quindi, un ambiente di interazione continua, in cui la rete di relazioni è attivabile in ogni istante e in ogni luogo, motivo per cui i giovani percepiscono come una buona norma tenere il cellulare acceso in ogni momento e sempre a portata di mano (Mascheroni, 2010).

4. WhatsApp e il bisogno di “messaggiare”
L’importanza e le attenzioni che i ragazzi attribuiscono e dedicano agli smartphone di ultima generazione derivano da alcune caratteristiche tecniche insite a questi dispositivi e dalle opportunità che essi offrono: prima fra tutte la possibilità di connettersi alla rete, soprattutto in mobilità, permettendo così di usufruire di certi servizi che aiutano a mantenere il contatto con la propria rete di amici. Difatti, la connessione internet favorisce e stimola le attività comunicative dei ragazzi, permettendo loro di sfruttare le applicazioni di messaggistica istantanea e d’accesso diretto ai social network.
WhatsApp Messenger risulta essere l’applicazione di messaggistica istantanea, per smartphone, maggiormente utilizzata dai ragazzi intervistati, in quanto, una volta scaricata e installata sul proprio dispositivo, permette tramite il supporto della rete Internet di inviare in maniera immediata messaggi di testo e audio, rimanere in collegamento con la propria rete di contatti. Inoltre, questa applicazione di messaggistica mobile multi-piattaforma consente di scambiarsi messaggi coi propri contatti senza dover pagare SMS (www.whatsapp.com). Gli utenti possono, così, creare gruppi chiusi, scambiarsi messaggi illimitati, video, e messaggi audio multimediali. WhatsApp ha praticamente spodestato l’uso di chiamate e dei classici sms (short message service), rilegati oramai, solo a particolari situazioni:
Utilizzo gli sms solo con chi non ha WahtsApp [Luca, 17 anni].
Utilizzo lo smartphone principalmente per messaggiare con gli amici con i nuovi social network come WhatsApp, di chiamate ne faccio poche, solo con mio papà [Jari, 14 anni].
Le chiamate solo con mia mamma e il mio ragazzo [Denise, 17 anni].
WhatsApp mi è utile anche per la scuola, dato che è gratis, se mi serve qualcosa, chiedo a un amico, senza star lì a telefonare [Giulia, 16 anni]
Lo scavalcamento delle funzioni “classiche” del cellulare lo dimostra anche il fatto che quotidianamente i ragazzi inviano, in media tramite WhatsApp Messenger, circa un centinaio di messaggi (tramite Sms richiederebbe un costo troppo elevato) anche se in certi casi la quantità di messaggi inviati in una sola giornata ha raggiunto le mille unità.
Questa modalità di comunicazione è sostenuta soprattutto dal carattere immediato del servizio, dalla comodità di non dover attendere a lungo per una risposta e dalla consapevolezza di esser connesso/a con i propri contatti, perciò, sempre reperibile:
Se si blocca WhatsApp sono finita, mi sento fuori dal mondo [Emily, 16 anni].
Ben insediata nella quotidianità dei ragazzi, la pratica di inviare messaggi senza limiti, tramite WhatsApp, ha reso gli adolescenti sempre reattivi alla risposta. Non è un caso, a parer mio, che i ragazzi intervistati proprio durante lo svolgimento dell’intervista avessero sempre a portata di mano il proprio dispositivo mobile: gli smartphone venivano appoggiati sul tavolo in modo da avere sotto controllo il display o addirittura venivano tenuti in mano per tutta la durata dell’intervista, incuranti della mia presenza nel caso ci fosse bisogno di rispondere ad una chiamata o di inviare un messaggio testuale.
Questa applicazione si è diffusa ormai a macchia d’olio contando ormai circa cinquecento milioni di utenti attivi nel mondo (blog.whatsapp.com). Essa caratterizza un altro “spazio abitato della rete” in cui gli adolescenti trascorrono molto del loro tempo quotidiano.

5. Dimensione espressiva e popolarità
L’utilizzo dello smartphone avviene prevalentemente attraverso delle applicazioni che vengono scaricate e abilitate grazie alla connessione internet. Se WhatsApp risulta essere una delle applicazioni di messaggistica istantanea più usufruite dal pubblico giovanile, la meta internet privilegiata è quella dei siti di social network. La totalità degli adolescenti intervistati ha affermato che la modalità d’accesso ai siti di social network avviene tramite smartphone, anche se vi sono alcuni che accedono anche tramite il personal computer, considerato la prima alternativa in caso di mancanza o impossibilità d’utilizzo del telefono cellulare. Tramite smartphone l’accessibilità ai siti di social network può essere immediata, grazie alle applicazioni di riferimento, le quali, risparmiano all’utente la noia di dover inserire le credenziali e la password ogni qual volta si desidera accedere al sito. Questa operazione permette di risultare sempre connessi col proprio profilo, alimentando così il legame tra lo spazio reale e quello in rete. Tramite Facebook, per esempio, attivando le notifiche push (www.facebook.com) è possibile ricevere un avviso sul display dello smartphone, ogni qualvolta ci sia una notifica da visualizzare sul sito, così da rimanere sempre aggiornati.
Tutti i soggetti intervistati dispongono di un profilo personale su almeno tre siti di social network (Facebook, Instagram, Twitter, Ask.fm sono quelli più comuni), ma Facebook si distingue, essendo il social network più visitato e vissuto:
Facebook è sicuramente il migliore per comunicare, comprende un po’ tutto, c’è un chat, sulla home compaiono delle notizie e i tieni in contatto con gli amici. Facebook è diciamo quello più completo [Luca, 17 anni].
Tra le motivazioni che hanno spinto i ragazzi a creare un profilo su un social network vi sono la gratuità del servizio e, prevalentemente, perché già utilizzato da amici.
La maggioranza dei ragazzi ha ammesso che sarebbe molto difficile resistere un giorno senza cellulare e per molti di loro significherebbe, di conseguenza, non riuscire a comunicare con amici, conoscenti e non riuscire ad accedere ai siti di social network, rinunciando a svolgere quell’operazione di controllo visivo che svolgono abitudinariamente. Approfondendo questo discorso, ho cercato di comprendere come i ragazzi adolescenti gestiscono il proprio profilo personale sui siti di social network, ponendo molta attenzione alle attività che svolgono e al materiale che condividono online (informazioni private, fotografie e pensieri personali, ecc.).
Tutti gli adolescenti intervistati hanno dichiarato che una delle prime operazioni che hanno svolto quando hanno creato il profilo Facebook, per esempio, è stato quello di scegliere la propria foto profilo in modo da essere riconoscibili alla propria rete sociale online. Il mostrarsi agli altri è un aspetto fondamentale nella creazione e gestione di un profilo personale sui siti di social network, in cui la pratica del condividere contenuti risulta avere un forte significato.
Data la quantità del materiale fotografico pubblicato sui siti di social network dai candidati intervistati, potremmo supporre che l’arte della fotografia rappresenti la modalità espressiva maggiormente utilizzata e condivisa. Per esempio, in media gli adolescenti intervistati dispongono sul proprio profilo di circa duecentocinquanta fotografie in cui sono ritratti da singolarmente o in compagnia. La fotografia rappresenta il messaggio stesso che si vuole comunicare alla propria rete sociale.
La pratica del selfie (autoscatto), alimentata dai dispositivi smartphone, è molto diffusa tra i ragazzi intervistati, soprattutto in compagnia, anche se non mancano gli autoscatti individuali in cui, per esempio, si esibisce il nuovo abito da sera, i nuovi occhiali da sole, il nuovo taglio di capelli o un evento particolare, senza troppa distinzione tra maschi e femmine. Questa moda, lanciata da figure dello spettacolo, è presto diventata oggetto di emulazione per tantissime persone, soprattutto adolescenti, i quali, esibiscono sul proprio profilo molte immagini personali in primo piano o a figura intera. Vorrei far presente, nonostante non interessi direttamente i candidati dell’intervista, come sia molto attuale il rischio per gli adolescenti di eccedere nella pubblicazione di fotografie provocanti che lambiscono lo sfondo sessuale, allo scopo di ottenere apprezzamenti ed aumentare la propria popolarità, imitando gli scatti “proibiti” che modelle e figure dello spettacolo esibiscono sui propri profili Instagram o Facebook (www.socialmedialife.it).
Un aspetto molto interessante, molto comune tra gli adolescenti intervistati, riguarda la selezione del materiale fotografico prima di condividerlo sul proprio profilo social, in quanto, data la consapevolezza di essere visibili alla propria rete di amici, la fotografia deve dare un immagine di sé accettabile, ideale:
Magari se sono venuta male, con le occhiaie, cerco di evitare…magari metto quelle in cui sono più truccata (…) perché non mi piace [Deborah, 14 anni].
Scelgo le foto in cui sono venuta meglio, non è che ti vergogni però in un certo senso mi dà fastidio [Sofia, 14 anni].
Non ne faccio solo una di foto, ne faccio due o tre e scelgo quella più bella [Emily, 16 anni].
Si, tra quelle che ho caricato sul mio profilo ho scelto quelle più belle, quelle che più mi piacevano [Liam, 16 anni].
La consapevolezza di essere visibili su un sito di social network, implica anche la consapevolezza che, inevitabilmente, il contenuto pubblicato sul proprio profilo sarà oggetto di giudizio da parte degli utenti che compongono la rete: il cliccare sul pulsante “mi piace” rappresenta la più semplice espressione di gradimento, accompagnata dal commento positivo e dall’ulteriore condivisione del contenuto. Sebbene i ragazzi, durante le interviste, non abbiano espresso troppa importanza ai commenti o al numero di “mi piace” (like) ricevuti ai contenuti condivisi, hanno comunque confessato che faccia molto piacere ricevere giudizi positivi o vedere che il contenuto pubblicato abbia ottenuto molti “mi piace”:
Per alcuni è fondamentale il mi piace (…) se non lo ricevono ci rimangono male [Mirco, 18 anni].
Fa sempre piacere se a qualcuno piace quello che hai pubblicato perché significa che c’è qualcuno che segue e guarda ciò che metti [Jari, 14 anni].
Guarda, mi è successo una volta che per una foto sono arrivata a cento mi piace, tipo in un’ora…boh…mi sentivo più bella…e basta [Debora, 14 anni].
Nonostante la condivisione di contenuti sul proprio profilo non avvenga in maniera ossessiva da parte degli adolescenti intervistati, il cliccare il pulsante “mi piace” ai contenuti degli amici in rete è una pratica assolutamente consuetudinaria, tant’è che alcuni ragazzi utilizzano il pulsante like anche più di venti volte al giorno. Si potrebbe suppore che questo circolo vizioso tra condivisione del contenuto e relativo gradimento vada ad alimentare l’attività dei ragazzi sui social network. Il legame tra la condivisione di contenuti ed il numero di “mi piace” è un aspetto da non sottovalutare, soprattutto nel periodo adolescenziale, dove conta molto il giudizio altrui. Un aspetto curioso, in questa prospettiva è dato dal fatto che alcuni ragazzi ritengono il numero di “mi piace” ricevuti indice di popolarità. Ciò spiegherebbe o, quantomeno, potrebbe esser considerato il motivo per cui molti adolescenti siano molto attivi nella pubblicazione di contenuti sui siti di social network:
Se ottieni tanti mi piace, puoi magari avere anche la sensazione di essere popolare (…) però ce n’è di gente che ha tanti mi piace e poi in giro non la conosce nessuno” [Luciano, 16 anni].
Se la foto riceve tanti mi piace significa che è piaciuta, conosco una ragazza che continua a pubblicare foto e riceve tantissimi mi piace e questo la rende popolare” [Liam, 16 anni].
Inoltre, alcuni ragazzi sostengono che se si voglia condividere pensieri personali profondi o citazioni di qualche personaggio famoso, bisogna prestare molta attenzione, senza cadere nel banale, in quanto, c’è il rischio che non venga considerato dalla rete di amici e, quindi, si otterrebbero pochi mi piace, generando magari un senso di delusione temporanea.
Un altro aspetto emerso dalle interviste è la credenza più o meno diffusa, tra gli adolescenti, che ci siano delle fasce orarie idonee per ricevere maggior visibilità e, quindi, più probabilità di ricevere “mi piace” ai contenuti condivisi. Questo aspetto è supportato anche dalla presenza di molti blog e siti in rete che alimentano queste credenze, consigliando, sulla base di dati, l’orario perfetto per pubblicare contenuti sui social network. Nonostante ciò, l’essere popolari è considerata una condizione difficile da raggiungere, in quanto, non si basa solamente sui “mi piace” ricevuti, ma, soprattutto, sul numero di amicizie che si hanno. Per questo motivo, alcuni intervistati sono spinti ad accettare o a richiedere molte amicizie, anche da sconosciuti:
Su Facebook ho mille e passa amici, ma io non li aggiungo per comunicarci o parlarci, ma per avere tanti amici che comunque è un modo per essere popolari su Facebook l’avere tanti amici (…) aggiungo spesso anche chi non conosco (…) se non mi fido li blocco [Emily, 16 anni].
Sui siti di social network, specialmente Instagram e Facebook, più sono le persone con cui si stringe amicizia e maggiore sarà il numero delle persone che potranno visualizzare il profilo. La consapevolezza di avere la visibilità del proprio profilo verso un vasto pubblico può motivare coloro che sono alla ricerca della popolarità ad ampliare le amicizie, anche verso sconosciuti, col fine di ottenere molti mi pace ai contenuti condivisi.
I ragazzi intervistati hanno in media, circa, mille e trecento amici, un numero esageratamente elevato che non rispecchia ovviamente le amicizie nella vita reale, ma che sui siti di social network per alcuni significa popolarità.

6. La pratica del controllo
L’avere il cellulare smartphone sempre con sé, in qualsiasi luogo può comportarne un maggior utilizzo, a volte anche eccessivo, che si realizza in molti casi in una costante operazione di controllo. Si tratta di semplici atti che si traducono in guardare frequentemente il display in attesa di messaggi, nell’accesso continuo ai siti di social network allo scopo di leggere nuove notizie e i continui aggiornamenti di stato degli altri profili che compaiono sulla bacheca principale. A tal proposito ho cercato di valutare la frequenza e l’eventuale livello di dipendenza domandando in quali occasioni e con che costanza svolgono tale pratica:
Continuo a guardare il cellulare per whatsapp [Giulia, 16 anni].
Controllo Facebook ogni mezz’ora [Jari, 14 anni].
Se ho il cellulare in tasca non riesco a non controllare il cellulare [Luciano, 16 anni].
Ogni giorno salgo su Facebook o Instagram, ma anche per poco…leggo un po’ di cose” [Denise, 17].
Durante le interviste, gli adolescenti abbiano ammesso la difficoltà di rimanere senza cellulare o senza accedere a Facebook o alla rete in generale, tant’è che queste pratiche di controllo e di attenzione verso se stessi e quello che compiono gli altri online, sono diventate molto frequenti e comuni per tantissimi ragazzi. Questa pratica viene effettuata fino al momento di andare a dormire, in cui il cellulare, assieme alla televisione, ha preso il posto dei libri per stimolare il sonno dei ragazzi.
Questo utilizzo, quasi compulsivo, può esser paragonato a quello che è stato definito Crackberr ossia quell’ossessiva necessità di controllare lo smartphone per vedere se sono arrivati messaggi, una forma di dipendenza paragonabile allo shopping compulsivo o al gioco d’azzardo.
Oltre alle attività di controllo messe in pratica dagli adolescenti verso i dispositivi smartphone, vi è anche quello esercitato dai genitori sui propri figli, soprattutto per quanto riguarda i contenuti condivisi in rete. La quasi totalità degli adolescenti intervistati ha almeno un genitore iscritto a Facebook con il quale ha un legame d’amicizia, così che le attività ed il profilo possano essere monitorati. Sebbene l’attività di controllo non avvenga in maniera assidua, questa ha una certa influenza su alcuni ragazzi:
Prima di pubblicare una foto chiedo sempre il permesso a mio papà [Jari, 14 anni].
Per creare il profilo Facebook e Instagram ho chiesto il permesso a mia mamma (…) mi controlla ogni tanto il profilo, magari qualche volta mi dice di cambiare foto, ma niente di più [Sofia, 14 anni].
Tuttavia, la presenza dei genitori sui social network non sembra provocare disagio nei ragazzi e non crea troppe preoccupazioni, in quanto, alcuni sono riusciti ad eludere l’attività di supervisione del genitore bloccando la visualizzazione del profilo o del contenuto.
Oltre a queste considerazioni, molti genitori non mostrano particolare interesse all’utilizzo che i figli fanno del proprio cellulare smartphone, adottando una politica della fiducia, lasciando ai ragazzi, quindi, piena libertà di agire.

7. Osservazioni conclusive sull’analisi delle interviste
Sulla base dei dati raccolti è possibile notare la grande naturalezza con cui gli adolescenti utilizzano determinati dispositivi tecnologici. La dimestichezza con cui si muovono tra gli spazi online e offline è il risultato di un’abitudine e di un allenamento che inizia fin dalla giovane età, da quando si comincia a utilizzare il computer di casa per motivi scolastici o ludici, a quando si prende confidenza col cellulare di un genitore fino ad averne uno proprio, all’età di dieci anni. Accanto a strumenti quali la televisione, il lettore musicale i-Pod o le console game come la PlayStation4, si erge il cellulare smartphone che domina le modalità comunicative e d’intrattenimento quotidiane degli adolescenti. Infatti, tramite questo strumento i ragazzi vedono aumentare e allo stesso tempo soddisfare la propria sete di comunicazione, il bisogno di “messaggiare”, alimentato dalla rete Internet che rende la trasmissione di messaggi veloce e immediata. L’avere sempre con sé lo smartphone in ogni luogo, persino a scuola e soprattutto nel tempo libero, è caratteristica comune, favorita, come già affermato, dalla connessione Internet. Questo canale (il cellulare) permette di abitare la rete, di essere connessi, di mantenere i contatti, tanto da motivare e stimolare costantemente l’attività dei ragazzi. L’attenzione si sposta sui siti di social network, in cui i ragazzi sono molto attivi, in quanto, accedono ogni giorno per più volte al giorno ed affermano di avere un profilo su più piattaforme social, ma Facebook risulta essere la preferita.
I ragazzi intervistati vivono e gestiscono il profilo sui social network in funzione espressiva, un luogo per la presentazione del sé, una “ribalta” in senso goffmaniano (Goffman, 1997), un luogo che possono adattare ai propri stati d’animo o alle mode del momento. Il modello d’uso prevalente dei profili personali sembra esser rappresentato dal mantenimento e rafforzamento di legami già esistenti. Vero è però che accanto ai legami forti, i contatti online comprendono una varietà di legami deboli che sono i ponti che permettono di uscire dal perimetro dei legami forti, permettendo quindi di ampliare la propria rete, agendo da collegamento verso nuovi soggetti e nuove esperienze (Riva, 2010).
Il vincolo dell’amicizia permette di aumentare il numero dei membri della propria rete sociale, consentendo al proprio profilo di essere visibile a molte persone, ma soprattutto, è un modo per essere e per sentirsi popolari. Questo concetto, emerso durante le interviste, sembra essere uno status a cui molti ragazzi ambiscono, ma che gli adolescenti intervistati non rincorrono. Un altro modo per raggiungere e alimentare la propria popolarità è la pubblicazione/condivisione di contenuti, soprattutto materiale fotografico, una delle attività più praticate dagli adolescenti, incoraggiata dal gradimento che i membri della rete possono esprimere. L’espressione “mi piace” rappresenta la caratteristica più comune e rappresentante di Facebook, attraverso il quale le persone, senza commentare, esprimono il loro apprezzamento ad un contenuto condiviso. Se un contenuto totalizza molti “mi piace” può dare una sensazione positiva, di popolarità; l’opposto, cioè non ottenere gradimento rende l’effetto opposto. Il rischio è attribuire troppo valore a questo apprezzamento, sopravalutare il gradimento, tant’è che la scelta delle fotografie da condividere avviene dopo una selezione da parte dei ragazzi, i quali sono attenti a dare una certa immagine di sé. Questo aspetto può dare alcune indicazioni riguardo all’investimento identitario ed emotivo che gli adolescenti effettuano sui siti di social network.
Infine, la pervasività del controllo sul proprio dispositivo è una caratteristica molto comune tra gli adolescenti, la cui attenzione, sebbene possa essere gestita e distribuita su più strumenti o più compiti contemporaneamente (abilità del multitasking), rappresenta una costante sullo smartphone. L’utilizzo dello smartphone, spesso, è associato ad operazioni di controllo visivo del proprio profilo online, dei messaggi ricevuti, o dell’orario, in quanto, la quasi totalità degli adolescenti intervistati non disponeva di un orologio al polso, ma faceva riferimento a quello del cellulare.
La supervisione dei genitori sui figli, nella maggioranza dei casi, è limitata alla gestione del profilo sui siti di social network con particolare attenzione al materiale condiviso. Inoltre, in famiglia, viene fatta rispettare la regola di non utilizzare dispositivi tecnologici durante i pasti, soprattutto durante la cena, in modo da non ostacolare la comunicazione faccia a faccia. Tuttavia, la mobilità dei dispositivi smartphone consente ai ragazzi di utilizzare e accedere ai contenuti mediali in qualsiasi luogo della casa, indebolendo così, la capacità di sorveglianza dei genitori, anche in riferimento ai contenuti vietati ai minori e ai rischi che si potrebbero incorrere in rete.

Conclusioni
Il rapporto tra gli adolescenti e le tecnologie comunicative riflette abbastanza nitidamente uno dei tratti distintivi della società globalizzata: l’essere “sempre connessi” (Scabini, Rossi, 2013).
La potenza e la facilità di connessione dei dispositivi mobili hanno trasferito il consumo tecnologico all’esterno delle pareti domestiche e verso un utilizzo sempre più individualizzato. L’onnipresenza dei cellulari smartphone e l’importanza che gli adolescenti attribuiscono a questi strumenti può essere spiegata dalle attività, dagli interessi e finalità di carattere comunicativo che caratterizzano la loro quotidianità, come sostenuto dalla teoria della domestiction. Il bisogno di “messaggiare” e di restare in contatto con la propria rete amicale è ciò che stimola e incoraggia maggiormente il forte utilizzo dei dispositivi smartphone, alimentando quell’ambiente di interazione continua che, si suppone, ostacoli o azzeri qualsiasi sensazione di esclusione. La creazione di un profilo personale su un sito di social network è diventata una norma. I siti di social network rappresentano gli spazi abitati della rete, in cui gli adolescenti trovano un’altra opportunità per soddisfare il bisogno di relazione, con l’aggiunta di poter mettere in “vetrina” se stessi. Potremmo supporre che la condivisione di gusti ed informazioni personali, soprattutto di fotografie, qualifichi il loro modo di stare al mondo ed è una pratica a cui viene attribuita molta importanza. Il bisogno di dare un immagine di sé accettabile, ideale, rispecchia la persistente centralità della cultura visuale in cui viviamo.
La fase dell’adolescenza risente molto del confronto con gli altri, tant’è che la dimensione sociale e comunicativa dei social network può aiutare ad interpretare e a vivere il giudizio degli altri in un duplice modo: come rinforzo dell’idea che il soggetto ha di se stesso e/o come dipendenza che rischia di non dare autonomia emotiva.
All’interno di questo lavoro i siti di social network sono stati rappresentati, secondo la definizione offerta da Riva (2013), cioè come dei luoghi digitali che consentono agli utenti di gestire sia la propria rete sociale, sia la propria identità sociale. Sono degli spazi sociali ibridi, in quanto formati contemporaneamente da legami virtuali e da legami reali. Accanto alle opportunità già descritte in precedenza, va tenuto conto che questi spazi abitati della rete non son privi di pericoli che sono resi espliciti dai seguenti tre paradossi che caratterizzano le relazioni al suo interno (Riva, 2013):

In primo luogo nei social network il soggetto diventa per i propri interlocutori quello che comunica, in quanto il soggetto può organizzare in maniera strategica la propria presentazione in modo da trasmettere un’immagine di sé ben precisa (impression management). Questo aspetto, oltre alle opportunità già descritte, implica problemi di instabilità e mancanza di sicurezza. Infatti, sui siti di social network se facilmente possiamo cambiare la nostra identità è altrettanto facile per gli utenti che compongono la nostra rete intervenire sulla nostra identità sociale. Nonostante i nostri sforzi per decidere come presentarci, infatti l’intervento esterno può improvvisamente modificare tale immagine, provocando una mancanza di sicurezza. Un esempio a questo proposito è l’uso del tagging (etichettare) con cui nei social network è possibile associare a un amico, senza che lui lo voglia, un’immagine in cui lui è presente o una nota di testo a lui riferita. Il risultato è un’identità fluida (Riva, 2010) che è allo stesso tempo flessibile ma precaria, mutevole e incerta, che può diventare un problema per un adolescente che sta cercando di costruire la propria identità.
In secondo luogo bisogna considerare che tantissime persone non si limitano ad avere un profilo su un’unica piattaforma, ma in molti casi la stessa persona si trova ad esser presente su più siti di social network. La partecipazione e la scelta di cosa pubblicare su ciascuno di essi rappresenta quello che è stato definito come personal branding, ovvero una forma avanzata di gestione della propria identità sociale. Sebbene questa promozione di se stessi possa avere risultati efficaci sia a livello relazionale che professionale, la facilità di creazione e condivisione di contenuti sui social network allo stesso tempo, rende disponibili una grande quantità di dati e informazioni personali (dati anagrafici, gusti personali, relazioni, attività preferite, posti visitati, ecc.). La scia di informazioni rilasciate dalle diverse identità virtuali che abbiamo creato può essere facilmente ripercorsa da altri per ricostruire la nostra identità reale, col rischio di essere utilizzate a scopi professionali (ad esempio, per valutare un candidato in un colloquio di lavoro) o fraudolenti, attraverso il furto d’identità (identity theft). La tutela della privacy è messa a rischio dal fatto che l’inserimento dei propri dati, dei propri commenti, delle proprie fotografie in un social network costruisce una memoria storica della propria attività e personalità che rimane disponibile online anche dopo diversi anni. Inoltre, l’eccessivo esibizionismo e la condivisione universale non aiutano a proteggere i dati personali.
Il terzo aspetto da considerare è di tipo relazionale. Nei social network non vi è distinzione tra i legami sociali, un amico è uguale agli altri amici. Questa mancata distinzione tra legami deboli (conoscenti) e legami forti (amici intimi, familiari, parenti) rappresenta un potenziale problema, in quanto non sono possibili differenze di ruoli con i membri della rete di riferimento e questo non permette al soggetto di separare chiaramente i diversi contesti di frequentazione e i ruoli che assume, rischiando di mettere a repentaglio la propria reputazione. Più precisamente, se nella vita reale la relazione con i legami deboli è regolata da ruoli (per esempio, sono professore con i miei studenti, sono allenatore con i miei giocatori, sono educatore con i bambini del gruppo estivo) che implicano una descrizione e determinati comportamenti, nei siti di social network queste relazioni tendono a confondersi. Perciò, la mancata distinzione tra gli “amici” che compongo la rete richiederebbe, da parte degli utenti, una maggiore attenzione alle informazioni condivise ed ai comportamenti che si attuano online.

Oltre ai paradossi individuati da Riva (2010), va rammentato che il successo dei social network può nascondere altre insidie. Tra queste possiamo considerare un eccessivo uso che può portare ad una dipendenza dai social network, associabile ad un vero e proprio disturbo di dipendenza da Internet, con pesanti ripercussioni sulla dimensione relazionale.
Di fronte a queste problematiche è necessario pendere in considerazione il ruolo dei genitori che possano supportare e promuovere forme di fruizione mediale consapevoli e sicure. «L’esperienza della rete deve essere mediata e tale mediazione spetta in larga misura ai genitori, ritenuti uno snodo cruciale che deve essere in grado di esercitare, a seconda dell’età del ragazzo, una funzione decisamente normativa e di controllo, o una funzione emancipativa e di orientamento» (Regalia et al., 2013). La centralità della famiglia come intreccio di relazioni e sistema culturale viene evidenziato anche nella teoria della domestication, precedentemente descritta, in cui è dato risalto ai valori, alle pratiche e allo stile di vita, che orientano gli atteggiamenti dei membri della famiglia nei confronti dei media. Inoltre, la consapevolezza riguardo ai rischi di internet da parte dei genitori può positivamente modellare un’esperienza online più sicura e positiva (Mascheroni, 2013).
I dati della ricerca Eu Kids Online II (Masceroni, 2013) hanno fornito un quadro della situazione italiana relativa alla qualità dell’esperienza online, mettendo a confronto genitori e figli. Sebbene la grande maggioranza dei genitori italiani sia impegnata in pratiche di mediazione attiva riguardo l’uso e la sicurezza online, sfortunatamente si tende ancora a sottostimare i rischi della rete Internet. Esempi di questo tipo di rischi sono il facile accesso a siti pornografici e il sexting (Mascheroni, 2013).
Una maggiore e migliore informazione sugli effetti legati alle attività che si svolgono in rete, tra cui anche una semplice condivisione di dati e contenuti personali, potrebbe generare maggiore consapevolezza dei rischi connessi e determinarne un uso più responsabile.

Vincenzo Cascino
Psicologo, PhD. In Scienze pedagogiche presso Università G. Marconi-Roma, Docente, Formatore. Sipsarivista.org

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Facebook e l’utente perfetto

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Dallo psichiatra Franco Lauria, riceviamo e pubblichiamo

Il capitalismo della sorveglianza (fra cui Facebook) esclude la democrazia, la libertà, l’autonomia, l’individualità, la capacità critica.Non sopporta Nazioni, Leggi, Governi, partiti, Politica. Velocissimo, crea dipendenza, cattura mente e corpo, schiavizza gli utenti, crea un alveare artificioso e virtuale, estranea dal mondo reale. Nascosto, segreto, invisibile, potentissimo, ricchissimo vi scruta, vi ascolta, vi studia, vi traccia sempre e ovunque. Parole, foto, video, musica, tutto quello che pubblicate su Facebook gli appartiene. Ve lo succhia come un vampiro, lo assembla, ed infine costruisce un vostro profilo segreto (una pagina ombra) che voi non conoscete. E lo vende. A chi vuole. Tipo Amazon.Ed Amazon vi raggiunge in maniera mirata e sicura. E così si arricchiscono Facebook e Amazon e si fanno più forti e potenti E voi più deboli e fragili. E più poveri. Senza permesso, senza nessuna autorizzazione Facebook si impadronisce di tutto quello che pubblicate. Siete la fonte dei dati, i bigdate, indispensabile per il suo enorme, immenso business. Siete solo una fonte di dati comportamentali. Facebook applica i principi comportamentisti di Skinner che grazie a software, app e algoritmi trasforma voi da essere umani che pensano e si emozionano a organismi che vivono d’istinto. Come le api, come le formiche, l’essere umano viene ridotto a semplice animale. Niente pensiero autonomo, niente libero arbitrio, niente dubbio. Tutto è anticipato con certezza. Tutto deve essere certo, zero fiducia. Facebook è Prometeo, voi siete Epimeteo. Con il suo like, il suo condividi, con le sue faccine, con i suoi emotion, con i suoi link Facebook vi induce a essere e divenire l’utente perfetto. Il dipendente perfetto. Il consumatore perfetto: un essere che rinuncia a sé stesso, alla propria individualità, alla propria capacità critica, alla propria identità. Colliquato nell’alveare. Vi costruisce lui ogni giorno secondo la propria convenienza. E vi tiene incollati, bloccati, prigionieri per succhiarvi il sangue. Voi siete quello che lui vuole che voi siate.

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Ruvio: la buona sanità che cura l’anima e il corpo

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Riceviamo e pubblichiamo una nota a firma di Antonio Ruvio, sulla sua esperienza in ospedale

“Il presidio Ospedaliero Vittorio Emanuele di Gela da tempo vive un malessere generale dovuto a vari aspetti come il depotenziamento di alcuni reparti e dell’organico, mal gestione del pronto soccorso e tante altre criticità che da anni tormentano i cittadini gelesi  e che rimangono come me ignari ed impauriti sul futuro   dell’azienda ospedaliera.

Ma seppur le varie criticità attanagliano tutti noi, tempo fa per gravi problemi di salute ho dovuto iniziare una fase di visite, controlli ,cure e terapie che mi hanno permesso di conoscere medici ed infermieri dalle straordinarie competenze ed eccezionale cuore. In quel momento ho avuto la dimostrazione che non è vero che non abbiamo bravi medici o che l’ospedale è fatiscente ecc.

Io ho trovato il reparto di Nefrologia e Dialisi una struttura ricca di potenziale organico, rispettosa dei servizi e della corretta gestione. Per questo a   tutto il reparto di Nefrologia e Dialisi di Gela ,ai Dottori Costanza, Drago, Tumino  voglio esprimere il mio immenso GRAZIE! Ho vissuto un periodo veramente buio, ma da voi ho ricevuto incoraggiamento e affetto, sempre accoglienti, disponibili e solerti, di una professionalità unica.  Continuate così, sempre con tanto amore, anche tra le varie difficoltà che le istituzioni vi pongono. Il mio  grazie di cuore a tutto il reparto, a tutto lo staff. Sono stati tutti perfetti dal punto di vista professionale ed umano.

Questa è la buona sanità che dobbiamo valorizzare e che necessita avere il nostro Ospedale. Mi appello ai politici ed ai politicanti del futuro nel ribadire che dobbiamo puntare a preservare quello che già abbiamo migliorandolo con tutte le dovute accortezze del caso e non a continuare con i classici slogan “costruiremo un nuovo ospedale” ecc solo perche siamo vicini alle prossime elezioni. L’ospedale Vittorio Emanuele e i servizi della medicina del territorio non possono tornare al centro dell’attività amministrativa solo in questo momento ma deve essere sempre attenta e non solo per criticare ma soprattutto per valorizzare ciò che già di buono abbiamo”.

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