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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

Sempre connessi: uso ed abuso dei social network negli adolescenti pandemici

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Sempre connessi.
Durante questo periodo di Pandemia da COVID-19, le abitudini degli adolescenti sono cambiati in termini di relazioni reali e relazioni virtuali,
L’accesso alla rete Internet è diventata un’abitudine ben consolidata tra il pubblico giovanile, la cui straordinaria partecipazione al fenomeno dei social network e la dimestichezza con la quale gestiscono le nuove tecnologie digitali ne sono una semplice testimonianza. In Italia, l’indagine Istat «Cittadini e nuove tecnologie» del 2013 ha rilevato che i maggiori utilizzatori del personal computer e di Internet restano i giovani tra i 15 – 19 anni, mentre il report su Mobile internet access and use among European Children (www.netchildrengomobile.eu, 2013) che analizza dove, da quali piattaforme, a che età i ragazzi usano internet e cosa fanno online, ha rimarcato come il 42% dei ragazzi che usano Internet accede alla rete quotidianamente dallo smartphone o da un cellulare abilitato.
Questi dispositivi sono considerati gli strumenti prediletti dal pubblico giovanile in questo periodo pandemico, e, secondo alcune previsioni, in tempi brevi, diventeranno i protagonisti del mercato vendite a danno dei personal computer. La diffusione dei dispositivi mobili ha determinato conseguentemente una crescita dell’utilizzo dei social media, i quali, sono diventati un’estensione della vita quotidiana per moltissime persone. La diffusione dei social media è in continuo aumento, sia a livello di accesso alle piattaforme, sia a livello di tempo speso.
L’espressione “sempre connessi”, descrive in maniera sintetica uno dei tratti distintivi della società globalizzata in cui siamo inseriti (Regalia et al., 2013). Le tecnologie digitali, assieme ad internet, sembrano dominare in maniera incontrastata il budget time dei ragazzi, i cui comportamenti comunicativi hanno cominciato a caratterizzarsi per una prevalenza di interattività e mobilità, tipici della “generazione 2.0” (Cavagnero et al., 2011).
Sulla base della mia esperienza di docente e di psicologo durante lo sportello di ascolto presso il Liceo G, D, Cassini in Sanremo, e di fronte allo scenario pervasivo della tecnologia nella nostra società, ho deciso di rivolgere la mia attenzione verso gli adolescenti, in modo da comprendere il loro rapporto con le tecnologie comunicative, in particolare le modalità di accesso alla rete Internet e ai siti di social network.2. L’intervista semi-strutturata
L’adolescenza rappresenta una fase dell’età particolarmente complessa e intensa, ma soprattutto quella maggiormente attiva ed esposta ai rischi e pericoli che si celano in rete. A tale scopo, ho compiuto un’indagine di ricerca, somministrando delle interviste semi-strutturate, a dodici adolescenti di età compresa tra i 13-18 anni, tra cui 180 femmine e 196 maschi. Le interviste sono state interamente registrate e fedelmente trascritte. La traccia di intervista era incentrata sugli argomenti che ritengo particolarmente significativi per la comprensione dell’uso che gli adolescenti intervistati fanno dei social network. In particolare l’intervista si proponeva:
– osservare e stabilire il grado di familiarità degli adolescenti con i dispositivi tecnologici;
– verificare la frequenza d’uso e le principali modalità di accesso a Internet;
– analizzare l’uso quotidiano dei dispositivi tecnologici; le motivazioni che spingono gli adolescenti a svolgere attività in rete (soprattutto con riferimento ai siti di social network).
La scelta degli adolescenti intervistati è avvenuta tramite una selezione, non eccessivamente scrupolosa, basata sulla mia rete amicale di Facebook. Quale posto migliore per avviare una ricerca relativa gli adolescenti e l’utilizzo dei social network? Poiché i siti di social network rappresentano uno spazio molto frequentato dagli adolescenti, ho ritenuto potesse essere un buon punto di partenza per cercare potenziali intervistati. Per selezionare il gruppo intervistato mi sono basato sull’osservazione di molti profili, sulla valutazione delle attività, quali la pubblicazione di contenuti, lo stringere nuove amicizie e gli aggiornamenti di stato, in modo da scegliere i profili di mio interesse. Più specificatamente, mi sono basato sulla gestione del profilo personale, osservando i contenuti pubblicati (foto, video, post, ecc.) e le azioni svolte in questo spazio.
La selezione ed il contatto con gli adolescenti non è avvenuto in un unico momento, bensì ad interviste già avviate, in modo da non accavallare gli impegni e per varie esigenze. Ho provveduto a contattare personalmente i ragazzi tramite il servizio chat di Facebook, spiegando loro l’oggetto dell’intervista e mostrando disponibilità ad intervistarli secondo i loro impegni. In un paio d’occasioni mi è stato chiesto dai giovani contattati di svolgere l’intervista in coppia, accompagnati dal fidanzato e dalla fidanzata. Sebbene l’unità di analisi della ricerca fosse l’individuo, ho deciso di assecondare ugualmente tale richiesta pur sapendo che l’intervista avrebbe subito un’impostazione diversa.
I ragazzi e le ragazze si sono mostrati molto incuriositi e molto disponibili nell’offrirmi il loro contributo, finanche quando, in un paio di occasioni, si è presentata la necessità di interrompere le interviste per poi riprenderle in un secondo momento. Tutto questo, probabilmente, è stato facilitato dal fatto che agli occhi dei ragazzi non rappresentavo un estraneo, ma bensì, un volto conosciuto che faceva parte della loro rete di “amici” su Facebook.
Prima di cominciare ogni intervista ho comunicato nuovamente ai ragazzi gli obiettivi che intendevo perseguire, domandando il permesso di registrare la conversazione garantendone, in ogni caso, l’anonimato. Durante lo svolgimento del lavoro, ho cercato di seguire uno schema preimpostato in precedenza, prestando attenzione agli elementi che emergevano durante la conversazione, pronto ad approfondire ogni tipo di questione che poteva rivelarsi utile al perseguimento degli obiettivi.
Una volta concluse le interviste ho provveduto ad una loro trascrizione puntuale, procedendo successivamente all’analisi cercando di individuare i concetti chiave, stabilendo eventuali elementi comuni, cercando di offrire un quadro esaustivo dell’argomento.

3. Lo smartphone sul gradino più alto del podio
Al fine di inquadrare i dispositivi tecnologici maggiormente utilizzati dai ragazzi, ho avviato ogni intervista chiedendo loro una lista di quelli di cui disponessero e quale fosse quello da loro preferito.
Strumenti come il Computer, il tablet Pc, l’i-Pod, le console per videogiochi e la televisione sono tutti dispositivi comuni nella quotidianità degli adolescenti intervistati, ma il cellulare smartphone risulta essere all’unanimità l’oggetto preferito e maggiormente utilizzato.
Va precisato che tutti i ragazzi intervistati hanno ricevuto il primo telefono cellulare ad un’età molto giovane (10-12 anni), cambiando fino ad oggi almeno cinque modelli, quindi, circa uno all’anno. La spesa è ricaduta sempre sui genitori. Un importante fattore che spinge i ragazzi a volere un nuovo telefono cellulare è dato dalla considerazione che il modello in loro possesso non sia più di moda. La possibilità di connettersi alla rete internet e di usufruire delle applicazioni e tecnologie più avanzate sono importanti caratteristiche che motivano il loro desiderio di cambiare. Inoltre, la spinta all’omologazione, ad avere ciò che hanno gli altri gioca un ruolo non indifferente:
Il primo cellulare l’ho ricevuto in prima media (…) Secondo me si dovrebbe cambiare quando è troppo vecchio rispetto ai nuovi modelli [Mirco, 18 anni].
Per me andrebbero cambiati se si rompono o se diventano obsoleti [Luca, 17 anni].
Se il cellulare non ha internet mi sento indietro (…) se manca internet non vale il cellulare” [Luisa, 16 anni].
Se tutti hanno un altro telefono, più moderno, piacerebbe anche a me avercelo [Andrea,15].
Il dispositivo smartphone è ormai parte integrante delle attività quotidiane dei ragazzi, in quanto lo portano con sé ovunque vadano e lo utilizzano, o possono utilizzare, in qualsiasi momento durante la giornata: al momento del risveglio, mentre si fa colazione, sull’autobus, a scuola, dopo pranzo, all’allenamento, mentre si studia, prima di addormentarsi, quando si è fuori in compagnia. Lo smartphone è costantemente utilizzato e rimane a portata di vista, tatto e udito. Solo la notte questo strumento trova riposo, lasciato sotto carica sul comodino di fianco al letto, in modo da essere operativo la giornata successiva.
Tale dispositivo viene utilizzato come forma di intrattenimento ludico e musicale, ma soprattutto è lo strumento preferito per restare in contatto con gli amici. Lo spazio domestico mantiene ancora la sua importanza e il suo peso nella fruizione dei contenuti mediali attraverso questo dispositivo, dove anche televisione e computer, seppur in maniera ridotta rispetto a qualche anno fa, mantengono tutt’ora un certo potere sull’attenzione dei ragazzi.
Le dichiarazioni degli adolescenti intervistati confermano quanto lo smartphone faccia saldamente parte della loro routine quotidiana, tant’è che il separarsi per qualche ora o, addirittura, un giorno può essere vissuto con molto disagio, quasi come subire una sorta di “trauma”:
Se si rompe il cellulare non so cosa fare [Luciano, 16 anni].
Un giorno o due riuscirei a stare, ma al terzo piuttosto vado a prenderlo a 20 euro, mi va bene anche uno scaccione, anche uno con i tastoni va bene, basta messaggiare (…) anche se mi sento un po’ indietro e mi viene voglia di cambiarlo [Liam,16 anni].
Un giorno senza sarebbe già critico [Mirco, 18 anni].
Se il cellulare si rompe chiedo subito a mia mamma e mi faccio dare il suo [Sofia, 14].
Sebbene gli intervistati non riescano ad immaginarsi privi di questo strumento, i ragazzi hanno confessato di poter resistere anche per lunghe ore senza telefono. Per esempio, in alcuni momenti come le lezioni a scuola, lo studio a casa o mentre stanno praticando sport, riescono a concentrarsi e a dedicarsi alle attività senza problemi, senza dover interagire assiduamente col proprio dispositivo mobile.
L’essere a stretto contatto col proprio dispositivo smartphone viene, in qualche modo, favorito anche dalle esigenze di alcuni genitori che vogliono avere la possibilità di contattare e monitorare gli spostamenti dei propri figli quando non sono a casa, motivo per cui, ai ragazzi viene sollecitato di portare sempre con sé il proprio cellulare. Esso rappresenta, soprattutto, lo strumento ideale per restare in contatto con la propria rete amicale e questo motivo spiega la pervasività e lo stretto legame tra ragazzo e cellulare. Sia in ambiente domestico da una stanza all’altra, sia all’esterno quando si esce per andare a scuola, all’allenamento o tra amici lo smartphone è sempre presente. Si genera, quindi, un ambiente di interazione continua, in cui la rete di relazioni è attivabile in ogni istante e in ogni luogo, motivo per cui i giovani percepiscono come una buona norma tenere il cellulare acceso in ogni momento e sempre a portata di mano (Mascheroni, 2010).

4. WhatsApp e il bisogno di “messaggiare”
L’importanza e le attenzioni che i ragazzi attribuiscono e dedicano agli smartphone di ultima generazione derivano da alcune caratteristiche tecniche insite a questi dispositivi e dalle opportunità che essi offrono: prima fra tutte la possibilità di connettersi alla rete, soprattutto in mobilità, permettendo così di usufruire di certi servizi che aiutano a mantenere il contatto con la propria rete di amici. Difatti, la connessione internet favorisce e stimola le attività comunicative dei ragazzi, permettendo loro di sfruttare le applicazioni di messaggistica istantanea e d’accesso diretto ai social network.
WhatsApp Messenger risulta essere l’applicazione di messaggistica istantanea, per smartphone, maggiormente utilizzata dai ragazzi intervistati, in quanto, una volta scaricata e installata sul proprio dispositivo, permette tramite il supporto della rete Internet di inviare in maniera immediata messaggi di testo e audio, rimanere in collegamento con la propria rete di contatti. Inoltre, questa applicazione di messaggistica mobile multi-piattaforma consente di scambiarsi messaggi coi propri contatti senza dover pagare SMS (www.whatsapp.com). Gli utenti possono, così, creare gruppi chiusi, scambiarsi messaggi illimitati, video, e messaggi audio multimediali. WhatsApp ha praticamente spodestato l’uso di chiamate e dei classici sms (short message service), rilegati oramai, solo a particolari situazioni:
Utilizzo gli sms solo con chi non ha WahtsApp [Luca, 17 anni].
Utilizzo lo smartphone principalmente per messaggiare con gli amici con i nuovi social network come WhatsApp, di chiamate ne faccio poche, solo con mio papà [Jari, 14 anni].
Le chiamate solo con mia mamma e il mio ragazzo [Denise, 17 anni].
WhatsApp mi è utile anche per la scuola, dato che è gratis, se mi serve qualcosa, chiedo a un amico, senza star lì a telefonare [Giulia, 16 anni]
Lo scavalcamento delle funzioni “classiche” del cellulare lo dimostra anche il fatto che quotidianamente i ragazzi inviano, in media tramite WhatsApp Messenger, circa un centinaio di messaggi (tramite Sms richiederebbe un costo troppo elevato) anche se in certi casi la quantità di messaggi inviati in una sola giornata ha raggiunto le mille unità.
Questa modalità di comunicazione è sostenuta soprattutto dal carattere immediato del servizio, dalla comodità di non dover attendere a lungo per una risposta e dalla consapevolezza di esser connesso/a con i propri contatti, perciò, sempre reperibile:
Se si blocca WhatsApp sono finita, mi sento fuori dal mondo [Emily, 16 anni].
Ben insediata nella quotidianità dei ragazzi, la pratica di inviare messaggi senza limiti, tramite WhatsApp, ha reso gli adolescenti sempre reattivi alla risposta. Non è un caso, a parer mio, che i ragazzi intervistati proprio durante lo svolgimento dell’intervista avessero sempre a portata di mano il proprio dispositivo mobile: gli smartphone venivano appoggiati sul tavolo in modo da avere sotto controllo il display o addirittura venivano tenuti in mano per tutta la durata dell’intervista, incuranti della mia presenza nel caso ci fosse bisogno di rispondere ad una chiamata o di inviare un messaggio testuale.
Questa applicazione si è diffusa ormai a macchia d’olio contando ormai circa cinquecento milioni di utenti attivi nel mondo (blog.whatsapp.com). Essa caratterizza un altro “spazio abitato della rete” in cui gli adolescenti trascorrono molto del loro tempo quotidiano.

5. Dimensione espressiva e popolarità
L’utilizzo dello smartphone avviene prevalentemente attraverso delle applicazioni che vengono scaricate e abilitate grazie alla connessione internet. Se WhatsApp risulta essere una delle applicazioni di messaggistica istantanea più usufruite dal pubblico giovanile, la meta internet privilegiata è quella dei siti di social network. La totalità degli adolescenti intervistati ha affermato che la modalità d’accesso ai siti di social network avviene tramite smartphone, anche se vi sono alcuni che accedono anche tramite il personal computer, considerato la prima alternativa in caso di mancanza o impossibilità d’utilizzo del telefono cellulare. Tramite smartphone l’accessibilità ai siti di social network può essere immediata, grazie alle applicazioni di riferimento, le quali, risparmiano all’utente la noia di dover inserire le credenziali e la password ogni qual volta si desidera accedere al sito. Questa operazione permette di risultare sempre connessi col proprio profilo, alimentando così il legame tra lo spazio reale e quello in rete. Tramite Facebook, per esempio, attivando le notifiche push (www.facebook.com) è possibile ricevere un avviso sul display dello smartphone, ogni qualvolta ci sia una notifica da visualizzare sul sito, così da rimanere sempre aggiornati.
Tutti i soggetti intervistati dispongono di un profilo personale su almeno tre siti di social network (Facebook, Instagram, Twitter, Ask.fm sono quelli più comuni), ma Facebook si distingue, essendo il social network più visitato e vissuto:
Facebook è sicuramente il migliore per comunicare, comprende un po’ tutto, c’è un chat, sulla home compaiono delle notizie e i tieni in contatto con gli amici. Facebook è diciamo quello più completo [Luca, 17 anni].
Tra le motivazioni che hanno spinto i ragazzi a creare un profilo su un social network vi sono la gratuità del servizio e, prevalentemente, perché già utilizzato da amici.
La maggioranza dei ragazzi ha ammesso che sarebbe molto difficile resistere un giorno senza cellulare e per molti di loro significherebbe, di conseguenza, non riuscire a comunicare con amici, conoscenti e non riuscire ad accedere ai siti di social network, rinunciando a svolgere quell’operazione di controllo visivo che svolgono abitudinariamente. Approfondendo questo discorso, ho cercato di comprendere come i ragazzi adolescenti gestiscono il proprio profilo personale sui siti di social network, ponendo molta attenzione alle attività che svolgono e al materiale che condividono online (informazioni private, fotografie e pensieri personali, ecc.).
Tutti gli adolescenti intervistati hanno dichiarato che una delle prime operazioni che hanno svolto quando hanno creato il profilo Facebook, per esempio, è stato quello di scegliere la propria foto profilo in modo da essere riconoscibili alla propria rete sociale online. Il mostrarsi agli altri è un aspetto fondamentale nella creazione e gestione di un profilo personale sui siti di social network, in cui la pratica del condividere contenuti risulta avere un forte significato.
Data la quantità del materiale fotografico pubblicato sui siti di social network dai candidati intervistati, potremmo supporre che l’arte della fotografia rappresenti la modalità espressiva maggiormente utilizzata e condivisa. Per esempio, in media gli adolescenti intervistati dispongono sul proprio profilo di circa duecentocinquanta fotografie in cui sono ritratti da singolarmente o in compagnia. La fotografia rappresenta il messaggio stesso che si vuole comunicare alla propria rete sociale.
La pratica del selfie (autoscatto), alimentata dai dispositivi smartphone, è molto diffusa tra i ragazzi intervistati, soprattutto in compagnia, anche se non mancano gli autoscatti individuali in cui, per esempio, si esibisce il nuovo abito da sera, i nuovi occhiali da sole, il nuovo taglio di capelli o un evento particolare, senza troppa distinzione tra maschi e femmine. Questa moda, lanciata da figure dello spettacolo, è presto diventata oggetto di emulazione per tantissime persone, soprattutto adolescenti, i quali, esibiscono sul proprio profilo molte immagini personali in primo piano o a figura intera. Vorrei far presente, nonostante non interessi direttamente i candidati dell’intervista, come sia molto attuale il rischio per gli adolescenti di eccedere nella pubblicazione di fotografie provocanti che lambiscono lo sfondo sessuale, allo scopo di ottenere apprezzamenti ed aumentare la propria popolarità, imitando gli scatti “proibiti” che modelle e figure dello spettacolo esibiscono sui propri profili Instagram o Facebook (www.socialmedialife.it).
Un aspetto molto interessante, molto comune tra gli adolescenti intervistati, riguarda la selezione del materiale fotografico prima di condividerlo sul proprio profilo social, in quanto, data la consapevolezza di essere visibili alla propria rete di amici, la fotografia deve dare un immagine di sé accettabile, ideale:
Magari se sono venuta male, con le occhiaie, cerco di evitare…magari metto quelle in cui sono più truccata (…) perché non mi piace [Deborah, 14 anni].
Scelgo le foto in cui sono venuta meglio, non è che ti vergogni però in un certo senso mi dà fastidio [Sofia, 14 anni].
Non ne faccio solo una di foto, ne faccio due o tre e scelgo quella più bella [Emily, 16 anni].
Si, tra quelle che ho caricato sul mio profilo ho scelto quelle più belle, quelle che più mi piacevano [Liam, 16 anni].
La consapevolezza di essere visibili su un sito di social network, implica anche la consapevolezza che, inevitabilmente, il contenuto pubblicato sul proprio profilo sarà oggetto di giudizio da parte degli utenti che compongono la rete: il cliccare sul pulsante “mi piace” rappresenta la più semplice espressione di gradimento, accompagnata dal commento positivo e dall’ulteriore condivisione del contenuto. Sebbene i ragazzi, durante le interviste, non abbiano espresso troppa importanza ai commenti o al numero di “mi piace” (like) ricevuti ai contenuti condivisi, hanno comunque confessato che faccia molto piacere ricevere giudizi positivi o vedere che il contenuto pubblicato abbia ottenuto molti “mi piace”:
Per alcuni è fondamentale il mi piace (…) se non lo ricevono ci rimangono male [Mirco, 18 anni].
Fa sempre piacere se a qualcuno piace quello che hai pubblicato perché significa che c’è qualcuno che segue e guarda ciò che metti [Jari, 14 anni].
Guarda, mi è successo una volta che per una foto sono arrivata a cento mi piace, tipo in un’ora…boh…mi sentivo più bella…e basta [Debora, 14 anni].
Nonostante la condivisione di contenuti sul proprio profilo non avvenga in maniera ossessiva da parte degli adolescenti intervistati, il cliccare il pulsante “mi piace” ai contenuti degli amici in rete è una pratica assolutamente consuetudinaria, tant’è che alcuni ragazzi utilizzano il pulsante like anche più di venti volte al giorno. Si potrebbe suppore che questo circolo vizioso tra condivisione del contenuto e relativo gradimento vada ad alimentare l’attività dei ragazzi sui social network. Il legame tra la condivisione di contenuti ed il numero di “mi piace” è un aspetto da non sottovalutare, soprattutto nel periodo adolescenziale, dove conta molto il giudizio altrui. Un aspetto curioso, in questa prospettiva è dato dal fatto che alcuni ragazzi ritengono il numero di “mi piace” ricevuti indice di popolarità. Ciò spiegherebbe o, quantomeno, potrebbe esser considerato il motivo per cui molti adolescenti siano molto attivi nella pubblicazione di contenuti sui siti di social network:
Se ottieni tanti mi piace, puoi magari avere anche la sensazione di essere popolare (…) però ce n’è di gente che ha tanti mi piace e poi in giro non la conosce nessuno” [Luciano, 16 anni].
Se la foto riceve tanti mi piace significa che è piaciuta, conosco una ragazza che continua a pubblicare foto e riceve tantissimi mi piace e questo la rende popolare” [Liam, 16 anni].
Inoltre, alcuni ragazzi sostengono che se si voglia condividere pensieri personali profondi o citazioni di qualche personaggio famoso, bisogna prestare molta attenzione, senza cadere nel banale, in quanto, c’è il rischio che non venga considerato dalla rete di amici e, quindi, si otterrebbero pochi mi piace, generando magari un senso di delusione temporanea.
Un altro aspetto emerso dalle interviste è la credenza più o meno diffusa, tra gli adolescenti, che ci siano delle fasce orarie idonee per ricevere maggior visibilità e, quindi, più probabilità di ricevere “mi piace” ai contenuti condivisi. Questo aspetto è supportato anche dalla presenza di molti blog e siti in rete che alimentano queste credenze, consigliando, sulla base di dati, l’orario perfetto per pubblicare contenuti sui social network. Nonostante ciò, l’essere popolari è considerata una condizione difficile da raggiungere, in quanto, non si basa solamente sui “mi piace” ricevuti, ma, soprattutto, sul numero di amicizie che si hanno. Per questo motivo, alcuni intervistati sono spinti ad accettare o a richiedere molte amicizie, anche da sconosciuti:
Su Facebook ho mille e passa amici, ma io non li aggiungo per comunicarci o parlarci, ma per avere tanti amici che comunque è un modo per essere popolari su Facebook l’avere tanti amici (…) aggiungo spesso anche chi non conosco (…) se non mi fido li blocco [Emily, 16 anni].
Sui siti di social network, specialmente Instagram e Facebook, più sono le persone con cui si stringe amicizia e maggiore sarà il numero delle persone che potranno visualizzare il profilo. La consapevolezza di avere la visibilità del proprio profilo verso un vasto pubblico può motivare coloro che sono alla ricerca della popolarità ad ampliare le amicizie, anche verso sconosciuti, col fine di ottenere molti mi pace ai contenuti condivisi.
I ragazzi intervistati hanno in media, circa, mille e trecento amici, un numero esageratamente elevato che non rispecchia ovviamente le amicizie nella vita reale, ma che sui siti di social network per alcuni significa popolarità.

6. La pratica del controllo
L’avere il cellulare smartphone sempre con sé, in qualsiasi luogo può comportarne un maggior utilizzo, a volte anche eccessivo, che si realizza in molti casi in una costante operazione di controllo. Si tratta di semplici atti che si traducono in guardare frequentemente il display in attesa di messaggi, nell’accesso continuo ai siti di social network allo scopo di leggere nuove notizie e i continui aggiornamenti di stato degli altri profili che compaiono sulla bacheca principale. A tal proposito ho cercato di valutare la frequenza e l’eventuale livello di dipendenza domandando in quali occasioni e con che costanza svolgono tale pratica:
Continuo a guardare il cellulare per whatsapp [Giulia, 16 anni].
Controllo Facebook ogni mezz’ora [Jari, 14 anni].
Se ho il cellulare in tasca non riesco a non controllare il cellulare [Luciano, 16 anni].
Ogni giorno salgo su Facebook o Instagram, ma anche per poco…leggo un po’ di cose” [Denise, 17].
Durante le interviste, gli adolescenti abbiano ammesso la difficoltà di rimanere senza cellulare o senza accedere a Facebook o alla rete in generale, tant’è che queste pratiche di controllo e di attenzione verso se stessi e quello che compiono gli altri online, sono diventate molto frequenti e comuni per tantissimi ragazzi. Questa pratica viene effettuata fino al momento di andare a dormire, in cui il cellulare, assieme alla televisione, ha preso il posto dei libri per stimolare il sonno dei ragazzi.
Questo utilizzo, quasi compulsivo, può esser paragonato a quello che è stato definito Crackberr ossia quell’ossessiva necessità di controllare lo smartphone per vedere se sono arrivati messaggi, una forma di dipendenza paragonabile allo shopping compulsivo o al gioco d’azzardo.
Oltre alle attività di controllo messe in pratica dagli adolescenti verso i dispositivi smartphone, vi è anche quello esercitato dai genitori sui propri figli, soprattutto per quanto riguarda i contenuti condivisi in rete. La quasi totalità degli adolescenti intervistati ha almeno un genitore iscritto a Facebook con il quale ha un legame d’amicizia, così che le attività ed il profilo possano essere monitorati. Sebbene l’attività di controllo non avvenga in maniera assidua, questa ha una certa influenza su alcuni ragazzi:
Prima di pubblicare una foto chiedo sempre il permesso a mio papà [Jari, 14 anni].
Per creare il profilo Facebook e Instagram ho chiesto il permesso a mia mamma (…) mi controlla ogni tanto il profilo, magari qualche volta mi dice di cambiare foto, ma niente di più [Sofia, 14 anni].
Tuttavia, la presenza dei genitori sui social network non sembra provocare disagio nei ragazzi e non crea troppe preoccupazioni, in quanto, alcuni sono riusciti ad eludere l’attività di supervisione del genitore bloccando la visualizzazione del profilo o del contenuto.
Oltre a queste considerazioni, molti genitori non mostrano particolare interesse all’utilizzo che i figli fanno del proprio cellulare smartphone, adottando una politica della fiducia, lasciando ai ragazzi, quindi, piena libertà di agire.

7. Osservazioni conclusive sull’analisi delle interviste
Sulla base dei dati raccolti è possibile notare la grande naturalezza con cui gli adolescenti utilizzano determinati dispositivi tecnologici. La dimestichezza con cui si muovono tra gli spazi online e offline è il risultato di un’abitudine e di un allenamento che inizia fin dalla giovane età, da quando si comincia a utilizzare il computer di casa per motivi scolastici o ludici, a quando si prende confidenza col cellulare di un genitore fino ad averne uno proprio, all’età di dieci anni. Accanto a strumenti quali la televisione, il lettore musicale i-Pod o le console game come la PlayStation4, si erge il cellulare smartphone che domina le modalità comunicative e d’intrattenimento quotidiane degli adolescenti. Infatti, tramite questo strumento i ragazzi vedono aumentare e allo stesso tempo soddisfare la propria sete di comunicazione, il bisogno di “messaggiare”, alimentato dalla rete Internet che rende la trasmissione di messaggi veloce e immediata. L’avere sempre con sé lo smartphone in ogni luogo, persino a scuola e soprattutto nel tempo libero, è caratteristica comune, favorita, come già affermato, dalla connessione Internet. Questo canale (il cellulare) permette di abitare la rete, di essere connessi, di mantenere i contatti, tanto da motivare e stimolare costantemente l’attività dei ragazzi. L’attenzione si sposta sui siti di social network, in cui i ragazzi sono molto attivi, in quanto, accedono ogni giorno per più volte al giorno ed affermano di avere un profilo su più piattaforme social, ma Facebook risulta essere la preferita.
I ragazzi intervistati vivono e gestiscono il profilo sui social network in funzione espressiva, un luogo per la presentazione del sé, una “ribalta” in senso goffmaniano (Goffman, 1997), un luogo che possono adattare ai propri stati d’animo o alle mode del momento. Il modello d’uso prevalente dei profili personali sembra esser rappresentato dal mantenimento e rafforzamento di legami già esistenti. Vero è però che accanto ai legami forti, i contatti online comprendono una varietà di legami deboli che sono i ponti che permettono di uscire dal perimetro dei legami forti, permettendo quindi di ampliare la propria rete, agendo da collegamento verso nuovi soggetti e nuove esperienze (Riva, 2010).
Il vincolo dell’amicizia permette di aumentare il numero dei membri della propria rete sociale, consentendo al proprio profilo di essere visibile a molte persone, ma soprattutto, è un modo per essere e per sentirsi popolari. Questo concetto, emerso durante le interviste, sembra essere uno status a cui molti ragazzi ambiscono, ma che gli adolescenti intervistati non rincorrono. Un altro modo per raggiungere e alimentare la propria popolarità è la pubblicazione/condivisione di contenuti, soprattutto materiale fotografico, una delle attività più praticate dagli adolescenti, incoraggiata dal gradimento che i membri della rete possono esprimere. L’espressione “mi piace” rappresenta la caratteristica più comune e rappresentante di Facebook, attraverso il quale le persone, senza commentare, esprimono il loro apprezzamento ad un contenuto condiviso. Se un contenuto totalizza molti “mi piace” può dare una sensazione positiva, di popolarità; l’opposto, cioè non ottenere gradimento rende l’effetto opposto. Il rischio è attribuire troppo valore a questo apprezzamento, sopravalutare il gradimento, tant’è che la scelta delle fotografie da condividere avviene dopo una selezione da parte dei ragazzi, i quali sono attenti a dare una certa immagine di sé. Questo aspetto può dare alcune indicazioni riguardo all’investimento identitario ed emotivo che gli adolescenti effettuano sui siti di social network.
Infine, la pervasività del controllo sul proprio dispositivo è una caratteristica molto comune tra gli adolescenti, la cui attenzione, sebbene possa essere gestita e distribuita su più strumenti o più compiti contemporaneamente (abilità del multitasking), rappresenta una costante sullo smartphone. L’utilizzo dello smartphone, spesso, è associato ad operazioni di controllo visivo del proprio profilo online, dei messaggi ricevuti, o dell’orario, in quanto, la quasi totalità degli adolescenti intervistati non disponeva di un orologio al polso, ma faceva riferimento a quello del cellulare.
La supervisione dei genitori sui figli, nella maggioranza dei casi, è limitata alla gestione del profilo sui siti di social network con particolare attenzione al materiale condiviso. Inoltre, in famiglia, viene fatta rispettare la regola di non utilizzare dispositivi tecnologici durante i pasti, soprattutto durante la cena, in modo da non ostacolare la comunicazione faccia a faccia. Tuttavia, la mobilità dei dispositivi smartphone consente ai ragazzi di utilizzare e accedere ai contenuti mediali in qualsiasi luogo della casa, indebolendo così, la capacità di sorveglianza dei genitori, anche in riferimento ai contenuti vietati ai minori e ai rischi che si potrebbero incorrere in rete.

Conclusioni
Il rapporto tra gli adolescenti e le tecnologie comunicative riflette abbastanza nitidamente uno dei tratti distintivi della società globalizzata: l’essere “sempre connessi” (Scabini, Rossi, 2013).
La potenza e la facilità di connessione dei dispositivi mobili hanno trasferito il consumo tecnologico all’esterno delle pareti domestiche e verso un utilizzo sempre più individualizzato. L’onnipresenza dei cellulari smartphone e l’importanza che gli adolescenti attribuiscono a questi strumenti può essere spiegata dalle attività, dagli interessi e finalità di carattere comunicativo che caratterizzano la loro quotidianità, come sostenuto dalla teoria della domestiction. Il bisogno di “messaggiare” e di restare in contatto con la propria rete amicale è ciò che stimola e incoraggia maggiormente il forte utilizzo dei dispositivi smartphone, alimentando quell’ambiente di interazione continua che, si suppone, ostacoli o azzeri qualsiasi sensazione di esclusione. La creazione di un profilo personale su un sito di social network è diventata una norma. I siti di social network rappresentano gli spazi abitati della rete, in cui gli adolescenti trovano un’altra opportunità per soddisfare il bisogno di relazione, con l’aggiunta di poter mettere in “vetrina” se stessi. Potremmo supporre che la condivisione di gusti ed informazioni personali, soprattutto di fotografie, qualifichi il loro modo di stare al mondo ed è una pratica a cui viene attribuita molta importanza. Il bisogno di dare un immagine di sé accettabile, ideale, rispecchia la persistente centralità della cultura visuale in cui viviamo.
La fase dell’adolescenza risente molto del confronto con gli altri, tant’è che la dimensione sociale e comunicativa dei social network può aiutare ad interpretare e a vivere il giudizio degli altri in un duplice modo: come rinforzo dell’idea che il soggetto ha di se stesso e/o come dipendenza che rischia di non dare autonomia emotiva.
All’interno di questo lavoro i siti di social network sono stati rappresentati, secondo la definizione offerta da Riva (2013), cioè come dei luoghi digitali che consentono agli utenti di gestire sia la propria rete sociale, sia la propria identità sociale. Sono degli spazi sociali ibridi, in quanto formati contemporaneamente da legami virtuali e da legami reali. Accanto alle opportunità già descritte in precedenza, va tenuto conto che questi spazi abitati della rete non son privi di pericoli che sono resi espliciti dai seguenti tre paradossi che caratterizzano le relazioni al suo interno (Riva, 2013):

In primo luogo nei social network il soggetto diventa per i propri interlocutori quello che comunica, in quanto il soggetto può organizzare in maniera strategica la propria presentazione in modo da trasmettere un’immagine di sé ben precisa (impression management). Questo aspetto, oltre alle opportunità già descritte, implica problemi di instabilità e mancanza di sicurezza. Infatti, sui siti di social network se facilmente possiamo cambiare la nostra identità è altrettanto facile per gli utenti che compongono la nostra rete intervenire sulla nostra identità sociale. Nonostante i nostri sforzi per decidere come presentarci, infatti l’intervento esterno può improvvisamente modificare tale immagine, provocando una mancanza di sicurezza. Un esempio a questo proposito è l’uso del tagging (etichettare) con cui nei social network è possibile associare a un amico, senza che lui lo voglia, un’immagine in cui lui è presente o una nota di testo a lui riferita. Il risultato è un’identità fluida (Riva, 2010) che è allo stesso tempo flessibile ma precaria, mutevole e incerta, che può diventare un problema per un adolescente che sta cercando di costruire la propria identità.
In secondo luogo bisogna considerare che tantissime persone non si limitano ad avere un profilo su un’unica piattaforma, ma in molti casi la stessa persona si trova ad esser presente su più siti di social network. La partecipazione e la scelta di cosa pubblicare su ciascuno di essi rappresenta quello che è stato definito come personal branding, ovvero una forma avanzata di gestione della propria identità sociale. Sebbene questa promozione di se stessi possa avere risultati efficaci sia a livello relazionale che professionale, la facilità di creazione e condivisione di contenuti sui social network allo stesso tempo, rende disponibili una grande quantità di dati e informazioni personali (dati anagrafici, gusti personali, relazioni, attività preferite, posti visitati, ecc.). La scia di informazioni rilasciate dalle diverse identità virtuali che abbiamo creato può essere facilmente ripercorsa da altri per ricostruire la nostra identità reale, col rischio di essere utilizzate a scopi professionali (ad esempio, per valutare un candidato in un colloquio di lavoro) o fraudolenti, attraverso il furto d’identità (identity theft). La tutela della privacy è messa a rischio dal fatto che l’inserimento dei propri dati, dei propri commenti, delle proprie fotografie in un social network costruisce una memoria storica della propria attività e personalità che rimane disponibile online anche dopo diversi anni. Inoltre, l’eccessivo esibizionismo e la condivisione universale non aiutano a proteggere i dati personali.
Il terzo aspetto da considerare è di tipo relazionale. Nei social network non vi è distinzione tra i legami sociali, un amico è uguale agli altri amici. Questa mancata distinzione tra legami deboli (conoscenti) e legami forti (amici intimi, familiari, parenti) rappresenta un potenziale problema, in quanto non sono possibili differenze di ruoli con i membri della rete di riferimento e questo non permette al soggetto di separare chiaramente i diversi contesti di frequentazione e i ruoli che assume, rischiando di mettere a repentaglio la propria reputazione. Più precisamente, se nella vita reale la relazione con i legami deboli è regolata da ruoli (per esempio, sono professore con i miei studenti, sono allenatore con i miei giocatori, sono educatore con i bambini del gruppo estivo) che implicano una descrizione e determinati comportamenti, nei siti di social network queste relazioni tendono a confondersi. Perciò, la mancata distinzione tra gli “amici” che compongo la rete richiederebbe, da parte degli utenti, una maggiore attenzione alle informazioni condivise ed ai comportamenti che si attuano online.

Oltre ai paradossi individuati da Riva (2010), va rammentato che il successo dei social network può nascondere altre insidie. Tra queste possiamo considerare un eccessivo uso che può portare ad una dipendenza dai social network, associabile ad un vero e proprio disturbo di dipendenza da Internet, con pesanti ripercussioni sulla dimensione relazionale.
Di fronte a queste problematiche è necessario pendere in considerazione il ruolo dei genitori che possano supportare e promuovere forme di fruizione mediale consapevoli e sicure. «L’esperienza della rete deve essere mediata e tale mediazione spetta in larga misura ai genitori, ritenuti uno snodo cruciale che deve essere in grado di esercitare, a seconda dell’età del ragazzo, una funzione decisamente normativa e di controllo, o una funzione emancipativa e di orientamento» (Regalia et al., 2013). La centralità della famiglia come intreccio di relazioni e sistema culturale viene evidenziato anche nella teoria della domestication, precedentemente descritta, in cui è dato risalto ai valori, alle pratiche e allo stile di vita, che orientano gli atteggiamenti dei membri della famiglia nei confronti dei media. Inoltre, la consapevolezza riguardo ai rischi di internet da parte dei genitori può positivamente modellare un’esperienza online più sicura e positiva (Mascheroni, 2013).
I dati della ricerca Eu Kids Online II (Masceroni, 2013) hanno fornito un quadro della situazione italiana relativa alla qualità dell’esperienza online, mettendo a confronto genitori e figli. Sebbene la grande maggioranza dei genitori italiani sia impegnata in pratiche di mediazione attiva riguardo l’uso e la sicurezza online, sfortunatamente si tende ancora a sottostimare i rischi della rete Internet. Esempi di questo tipo di rischi sono il facile accesso a siti pornografici e il sexting (Mascheroni, 2013).
Una maggiore e migliore informazione sugli effetti legati alle attività che si svolgono in rete, tra cui anche una semplice condivisione di dati e contenuti personali, potrebbe generare maggiore consapevolezza dei rischi connessi e determinarne un uso più responsabile.

Vincenzo Cascino
Psicologo, PhD. In Scienze pedagogiche presso Università G. Marconi-Roma, Docente, Formatore. Sipsarivista.org

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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

I giovanissimi attori spazzano via i cliché che li vedono disinteressati

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Riceviamo e pubblichiamo una nota della dott.ssa Nancy Genovese

I giovanissimi nuovi attori con un’intensità vibrante, hanno spazzato via i cliché che li vorrebbero disinteressati e superficiali, frutto di uno sguardo ormai distante.

Hanno portato in scena ieri sera al Teatro Eschilo lo spettacolo dal ritolo “Amore che non sa stare al mondo”: quell’amore che non sa amare nemmeno se stesso, che si basa su dinamiche di potere, che non cresce, che non espande il cuore ma anzi lo rende piccolo e timoroso.

Che cos’è l’amore? Lo abbiamo capito o ci sta sfuggendo qualcosa? I giovani aspiranti attori hanno dimostrato di avere un rapporto con le emozioni che, per noi alla loro età, era ancora un tentativo, una ricerca.

Loro, invece, sanno già muoversi nella poesia come se fosse una seconda pelle, con quella naturalezza che ci sorprende, che forse avremmo voluto per noi.Sono stati straordinari, bellissimi, incredibilmente talentuosi. Con ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola ci hanno condotto in un universo senza tempo, dove tutto si dissolve e si ricompone, un luogo in cui le emozioni scorrono come fiumi, sovrapponendosi e fondendosi. Eppure, ogni sensazione è rimasta, come scolpita nella memoria, estesa e dilatata, come sotto una lente che ci svela ogni sfumatura, ogni battito, ogni tumulto, ogni respiro.

Questi giovani hanno creato una magia autentica, di quella che trascende il palco e diventa carne e sangue, fatta di sincerità, di passione viva, di energia che pulsa e ci riporta a galla l’incanto. Hanno mostrato il potere dell’arte, quella forza capace di strapparci dalla quotidianità e portarci lontano, dove spesso gli adulti non osano più avventurarsi.

Grazie a loro, siamo entrati in una storia che è diventata anche la nostra, vissuta con la profondità e lo stupore che forse ci ricordiamo ancora di aver provato. Per un attimo, ci hanno riportati in un luogo senza tempo, dove tutto è possibile, dove siamo ancora capaci di credere.

Il risultato è merito dell’insegnante, Giuliana Fraglìca, che ha avuto coraggio a portare in scena verità scomode, verità che ci scuotono, che forse indignano, ma che non possiamo ignorare. Ha raccontato l’amore in tutte le sue forme: violento, negato, idealizzato, non corrisposto, utopico. Ha avuto la forza di parlarci di ciò che ci circonda ogni giorno, di ciò che spesso ci ostiniamo a non vedere. Con la sua guida, abbiamo visto quanto siamo tutti protagonisti di questo racconto, a volte carnefici, a volte vittime, e che solo osservandoci dall’esterno possiamo cogliere davvero l’impatto delle nostre azioni. Grazie per la sua visione, per averci offerto uno specchio sincero in cui rifletterci e per averci ricordato che il teatro è vita, e che la vita, ora più che mai, ha bisogno di verità.

Ecco i nomi dei giovanissimi attori, in ordine alfabetico: Flavia Barletta, Aurora Bordini, Elena Guida, Miriam Guida, Viola Gradito, Carla Iovino, Miriam Maniscalco, Leonardo Mezzasalma, Carmen Pace, Elena Pepi, Dalia Pescatore, Giuseppe Provinzano.

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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

Gran Sicilia non condivide la scelta di Franzone

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Riceviamo e pubblichiamo dal
Segretario del Movimento politico Gran Sicilia, Paolo Scicolone, una nota politica sull’adesione al gruppo Sud chiama Nord dell’Assessore Filippo Franzone.


“Apprendiamo dalla stampa dell’adesione dell’Assessore Filippo Franzone e dei suoi sostenitori al Partito politico capeggiato dall’on. Cateno De Luca, Sud Chiama Nord.
Intendiamo con questa nota, essendo il movimento Gran Sicilia fra i sostenitori più attivi della candidatura a Sindaco fuori dai partiti di Filippo Franzone, che alle ultime amministrative non era presente alcun movimento ‘Gela nel cuore’, che questo si era formato solo successivamente, come movimento civico a sostegno dell’assessore Filippo franzone, e che Gran Sicilia non ne ha mai fatto parte. Noi non abbiamo mai avuto alcun tipo di confluenze con altri partiti Italiani, pur mantenendo, ove esistono le possibilità, un rapporto di dialogo costruttivo o di affiancamento locale su obiettivi precisi. Teniamo a ribadire, per evitare ogni equivoco che, pur essendo sostenitori della candidatura di Filippo Franzone, sottolineando il fatto che si trattasse di candidatura al di fuori dei partiti, e, soprattutto, al di fuori dei giochi delle alleanze politiche regionali e nazionali, che Gran Sicilia non seguirà gli altri ex alleati. Manterremo sul programma stabilito, che non era quello di Sud Chiama Nord, una ferma attenzione e il solito attivismo, soprattutto su quei punti che hanno rappresentato il cuore delle trattative per l’appoggio al ballottaggio del candidato Sindaco Terenziano Di Stefano, poi uscito vincitore.
Proseguiamo fuori dalle istituzioni e dai tavoli della vecchia politica che coerentemente combattiamo, ai quali sono costantemente seduti esponenti del movimento di De Luca, ritenendo incompatibile questa scelta, anche per infelici esperienze negli anni passati, con le nostre idee, con la nostra storia, con i nostri principi, e, soprattutto, non comprendendone le ragioni, se non quella di entrare in un modo qualunque nei giochi di palazzo.


Auguriamo comunque un proficuo lavoro per il territorio, che è quello che ci interessa ed è la vera ragione che ci ha spinti a scendere in campo”.

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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

La chiesa e il problema del riconoscimento

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Dall’architetto Roberto Loggia, riceviamo e pubblichiamo

“In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.

E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.”. Si tratta del capitolo 16 del Vangelo secondo Matteo, segnatamente dei versetti da 13 a 18, in cui si narra del Signore Gesù che, dopo aver compiuto prodigi, guarigioni, esorcismi e resurrezioni, si trova, un giorno, con i suoi discepoli fuori della Terra Santa, esattamente a Cesarèa, in un luogo ritirato. Gesù approfitta di quel momento per chiedere loro ciò che la gente pensa e dice di Lui.

I dodici gli riferiscono allora tutte le opinioni che avevano raccolto in giro, le più disparate: per alcuni era Giovanni il Battista risorto, per altri il profeta Elia, per altri ancora Geremia.Il popolo era dunque parecchio confuso riguardo alla sua identità, ma in questa confusione si può cogliere comunque un tratto comune: le considerazioni su di Lui erano state, tutte, positive.Insomma il giudizio popolare era sicuramente positivo ma nessuno aveva ancora compreso che Lui, Gesù, fosse il Figlio di Dio, Dio stesso: quel riconoscimento sarebbe venuto invece qualche istante dopo da uno dei Suoi discepoli.

Quando si rivolgerà infatti verso di loro per chiedere: «Ma voi, chi dite che io sia?» gli risponderà prontamente Pietro, affermando: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.Il popolo aveva conosciuto ed apprezzato Gesù per le Sue gesta e per la Sua predicazione ma non era stato ancora in grado di attribuirgli la Sua reale e regale identità; i suoi discepoli, invece lo riconoscono come Figlio di Dio. Quella di Pietro è la risposta che Gesù attendeva e che Gesù stesso certifica a Pietro essere segno di beatitudine per il discepolo (“Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli…”.).

Al popolo sarebbe stato dato di riconoscere Gesù in un secondo momento, dopo che avrebbe istituito la Sua Chiesa, guarda caso fondandola proprio su colui il quale, per primo, lo aveva riconosciuto: lo stesso Pietro.Gesù, che leggeva nei cuori e nei pensieri però non avrebbe avuto necessità di sentirselo dire: sapeva già che Pietro lo avrebbe riconosciuto, ma ha voluto comunque dargli modo di esprimere il suo riconoscimento come atto salvifico e professione di fede ed è a partire da quel riconoscimento, da quell’attestazione, che Dio ogni giorno, come per Pietro anche per noi, ci garantisce beatitudine ed amicizia con la Sua Persona e con quella del Padre.

Questo brano del Vangelo di Matteo ci fa quindi comprendere il valore immenso del riconoscimento: riconoscere l’identità, i valori, le qualifiche ed anche i titoli del nostro prossimo è, similmente, anche la base delle relazioni umane qualificate e qualificanti.Oggi la Chiesa sta vivendo una delle fasi più buie della propria storia bimillenaria ed alla base di questa crisi c’è anche un problema di riconoscimento.

Una parte sempre più consistente del Popolo di Dio, dei fedeli, non riconosce più Francesco come Papa; non lo riconosce tale, sia in relazione alle “innovazioni” che egli sta cercando di apportare alla morale e alla tradizione della Chiesa che, da ultimo, anche a dei presunti profili di invalidità delle sue elezioni. Sono oramai davvero tanti i fedeli, i sacerdoti ed anche alcuni vescovi che asseriscono che il suo predecessore, Benedetto XVI, non avrebbe, in sostanza, rinunciato al Papato e ciò avrebbe reso abusivo il Conclave con cui è stato eletto Francesco e quindi nulla ed invalida la sua elezione.

A sostenere questa tesi peraltro sono oggi diverse personalità del mondo cattolico, insigni giornalisti e noti giuristi (avvocati e magistrati) che affermano che alla base della rinuncia di Papa Ratzinger ci sarebbero state delle pressioni a seguito delle quali egli avrebbe deciso di dare le dimissioni in maniera soltanto apparente, o comunque imperfetta, e cioè dichiarando di rinunciare al solo “ministerium” (l’esercizio pratico del papato) ma trattenendo il “munus” (ossia l’investitura divina) per porsi così, di fatto “in sede impedita”, come previsto dall’art. n. 335 del Codice di Diritto Canonico.

Tra l’altro l’atto canonico con cui egli avrebbe manifestato l’intento di voler abdicare sarebbe anche inesistente in quanto privo dei requisiti propri di una vera e propria rinuncia e risulterebbe soltanto una mera dichiarazione (titolata da Benedetto XVI appunto “declaratio” mentre, invece, avrebbe dovuto chiamarsi “renuntiatio”) che avrebbe iniziato ad avere efficacia in un momento posteriore (e cioè alle ore 20 del 28 febbraio 2013) rispetto a quello di effettiva promulgazione (avvenuta l’11 febbraio 2013). E ciò basterebbe, a dire dei canonisti e dei giuristi, a rendere inesistente l’abdicazione.

A sostegno della loro tesi questi prelati e studiosi evocano il combinato disposto degli articoli 76 e 77 della Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis che, richiamando l’art. 332 comma 2 del Codice di Diritto Canonico, prevede che l’atto di rinuncia del Sommo Pontefice, per risultare valido debba contenere l’espressa rinuncia sia al munus che al ministerium e che se ciò non si verifica (come appunto nell’atto con cui Ratzinger ha dichiarato di voler rinunciare al papato) l’elezione del Papa che succede al rinunciatario è nulla e invalida “…senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito.”.Così facendo Ratzinger sarebbe rimasto Papa e questa sarebbe la ragione per la quale egli non avrebbe mai smesso d’indossare la talare bianca, di impartire le benedizioni apostoliche ed, in alcune pubblicazioni, di firmarsi come Sommo Pontefice.

Ci ri riferisce ad esempio al libro “I sacramenti. Segni di Dio nel mondo”, pubblicato il 24 ottobre 2019 ed in cui Benedetto XVI, di suo pugno, si è firmato con la sigla PP, propria dei pontefici regnanti. Le personalità convinte del permanere del papato di Ratzinger anche dopo la sua rinuncia al solo ministerium, sostengono inoltre che la figura del “Papa Emerito”, attribuitagli, in realtà non esiste nelle leggi canoniche della Chiesa e quindi il papato emerito sarebbe una trovata per tentare di spiegare al mondo il perché Benedetto XVI avrebbe continuato a comportarsi da Papa pur non essendolo più (almeno apparentemente).

Questi sacerdoti e questi prelati –è bene precisare- non hanno mai contestato il papato inteso come istituzione fondativa della Chiesa ma hanno soltanto sollevato il dubbio che l’attuale Pontefice possa essere stato eletto secondo una procedura non proprio regolare. E dicono di averlo anzi fatto proprio per difendere la sede petrina. Oggi sono almeno undici i sacerdoti che hanno sposato in toto, hanno proclamato e spiegato la tesi per la quale il Cardinale Bergoglio non sarebbe mai stato validamente eletto Papa e quindi che il soglio petrino sarebbe vacante dalla data della morte di Benedetto XVI e cioè dal 31 dicembre 2022. Non riconoscendo Francesco come Papa celebrano la Messa non in unione con lui ed in vetus ordo (in latino) senza menzionarlo. Nove di essi si sono costituiti in un gruppo denominato Sodalizio Sacerdotale Mariano guidato da Don Alessandro Maria Minutella e formato da Fra Celestino della Croce, Don Vincenzo Avvinti, Don Gebhard Josef Zenkert, Don Enrico Bernasconi, Don Pavel Cap, Don Robert Benko, Don Johannes Lehrner e Don Ramon Guidetti.Due invece hanno fatto outing da poco e non si sono associati al Sodalizio: Don Ferdinando Maria Cornet e Don Giorgio Maria Farè, fine teologo appartenente all’Ordine dei Carmelitani Scalzi.

A Don Ferdinando Maria Cornet si deve peraltro la pubblicazione di un testo di estrema validità con cui il Padre ha trattato esaustivamente l’argomento: “Habemus Antipapam – Indagine in onore della verità” e prossimamente pubblicherà anche il libro “Alla ricerca del munus perduto.”Questi sacerdoti risultano oggi in buona parte scomunicati o in attesa della notifica della scomunica, senza, pur tuttavia, che nessuno di loro abbia ricevuto delle contro-argomentazioni in ordine ai manifestati e spiegati profili di invalidità del papato di Bergoglio.Per iniziativa del Dott. Andrea Cionci, insigne giornalista, il 6 giugno scorso è stato depositato, presso il Tribunale Vaticano un apposito ricorso, già regolarmente protocollato e volto ad ottenere il riconoscimento della nullità delle dimissioni di Ratzinger (e quindi della nullità/invalidità dell’elezione di Francesco) che è stato protocollato nei giorni scorsi.

Ad ogni buon conto ed anche a prescindere dai profili di possibile illegittimità del suo papato, si può affermare, e senza timore di smentita, che non esiste nella storia della Chiesa un Papa più controverso di Francesco e ciò fa venire meno il presupposto della cosiddetta “accettazione universale” quale indizio di validità del papato. Ciò che gli si contesta afferisce soprattutto all’esortazione apostolica Amoris Laetitia con cui è stata autorizzata la Santa Comunione alle coppie divorziate e risposate, alla dichiarazione Fiducia Supplicans con cui invece sono state autorizzate le benedizioni alle coppie omosessuali e, da ultimo, anche l’apertura al sincretismo religioso manifestato con l’affermazione per cui le religioni sarebbero tutte uguali. Fra i suoi contestatori si annoverano Mons. Joseph E. Strickland, Vescovo statunitense ed altri tre vescovi che peraltro, già da tempo, si sono espressamente pronunciati apertamente nel senso di aver messo in dubbio la validità dell’elezione di Francesco: Mons. René Henry Gracida, Vescovo emerito del Corpus Christi, Texas, USA, l’Arcivescovo Mons. Jan Paweł Lenga e Monsignor Luigi Negri, Vescovo di Ferrara. Francesco è stato pesantemente contestato anche dall’ex Nunzio Apostolico statunitense Mons. Carlo Maria Viganò che nel luglio 2023 ha fondato l’associazione Exsurge Domine per fornire sostegno al clero, ai laici e ai tantissimi religiosi sospesi, ridotti allo stato laicale o sanzionati dalla gerarchia cattolica a causa delle loro posizioni anti-bergogliane.

Ma in verità i sacerdoti ed i prelati che sin dall’inizio si sono apposti a Francesco sono molti di più di quelli appena. Ci si limita per ragioni di brevità ma si rimanda alle innumerevoli dichiarazioni oramai di dominio pubblico rilasciate, ad esempio, da Mons. Antonio Livi, dal Monaco benedettino Don Enrico Roncaglia e dal sacerdote ecuadoregno Don Ruben Martinez-Cordero.In definitiva sussistono oggi molteplici elementi per i quali ci si può aspettare che qualcuno dei Cardinali non nominati da Bergoglio, mosso da un impulso autenticamene evangelico si chieda “Chi è Francesco?”, metta sul tavolo questa questione e tenendo, e rendendo, conto degli elementi di dubbiezza emersi sulla validità della sua elezione, dia finalmente una risposta satisfattiva e decisiva al popolo di Dio.Nel caso in cui Francesco venisse confermato si scrollerebbe di dosso quell’alone di discredito che oramai serpeggia nella Chiesa; se invece venisse riconosciuta l’invalidità della sua elezione si potrebbe dare alla Chiesa un vero Pontefice per mezzo dell’elezione da parte dei cardinali di nomina pre-2013: quelli nominati da Francesco chiaramente non potrebbero votare perché se l’elezione di Francesco fosse risultata effettivamente nulla ed invalida, per l’effetto lo sarebbero anche le loro nomine.

D’altronde se si considera il principio canonico per cui “Papa dubius, Papa nullus”, per il quale se esiste anche soltanto il dubbio che un Papa non sia stato canonicamente eletto allora questi non è Papa (affermato anche dalla Dottrina: cfr. F. M. Cappello, Summa Iuris canonici, t. I, Roma, 1961, 297), quest’iniziativa sarebbe da ritenere persino un atto dovuto, a beneficio dei fedeli, dell’intera Chiesa e quindi dello stesso Francesco.

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