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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

Perché un ‘ti amo’ non diventi ti odio

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Riceviamo e pubblichiamo una nota dello psicologo Tonino Solarino e dell’esperta in teologia Rosaria Perricone

“Ci siamo ritrovati spesso a parlare della sofferenza della coppia perché con gli omicidi dei partner si sta manifestando in forma drammatica. Troppi genitori piangono  la morte di una figlia e troppi figli piangono la morte di una madre per mano del proprio padre.


E’ un dato che la violenza fisica e verbale sia una realtà quotidiana in molte coppie. Nella maggior parte dei casi, per fortuna,  senza  esiti tragici anche se inevitabilmente dolorosi. 


Chiaramente la violenza fisica non è in alcun modo paragonabile a quella verbale, ma troppi uomini e troppe donne sono risucchiati in questa spirale a cui, in modi diversi, contribuiscono entrambi. 


E’ inevitabile che  al partner diamo il meglio, ma anche il peggio del nostro cuore. Il partner  è sia  il nostro intimo amico che  il nostro intimo nemico, ma molta aggressività nasce da equivoci di base, da idee irrealistiche sulla coppia. 


L’ ultimo mito che sopravvive in Occidente è quello dell’amore romantico che promette felicità. Nelle favole e, non solo nelle favole, la conclusione classica è: “…e vissero felici e contenti”. 
La verità è che non sappiamo amare. Ti amo è una parola che pronunciamo con tanta inconsapevolezza e tanta ignoranza del nostro cuore. 


Non ci fidanziamo e non ci sposiamo perché sappiamo amare, ma perché vogliamo imparare a farlo.  Ti amo, nel suo esordio   è una parola che ci fanno pronunciare i nostri ormoni e le nostre aspettative egocentriche: le nostre pretese, le nostre illusioni, le nostre dipendenze. 
Pretese di possesso che ci fanno vedere l’altro come uno strumento, come un oggetto per i nostri bisogni. 
Illusioni  non realistiche di felicità che ci fanno dimenticare che  l’altro non è venuto al mondo per farci felici. 


Dipendenze che ci illudono  che l’altro possa fare da protesi alle nostre insufficienze e alla nostra solitudine.
Sono le nostre aspettative autocentrate che fanno sì che la parola “ti amo”, pronunciata il giorno prima, diventi “ti odio” il giorno dopo. 
Abbiamo bisogno di un lungo apprendimento per comprendere che amare non è possedere, per riconoscere l’altro come soggetto e non come oggetto. 
Il mito del principe o della principessa che ci farà felici è un inganno.  Dobbiamo evitare di caricare l’altro di questo peso non realistico. L’altro/a è il  compagno di viaggio in questa avventura bella e faticosa che è la vita. 
L’altro/a non c’è al mondo per farci felici. La vita in comune ci regalerà gioia e dolore, soffrirà di momenti di logoramento e incomprensione.  Se pensiamo che il dolore non ci debba essere, ce ne sarà molto di più. 
La cattiva notizia è che i conflitti, le incomprensioni, i tradimenti accadono.
La buona notizia è che “resistere” insieme è possibile e può essere la più grande esperienza di apprendimento del cuore: del mio e di quello dell’altro/a. 
I conflitti, le incomprensioni sono dolorosi, ma lo sono ancora di più se pensiamo che non ci debbano essere. Se abbiamo questo  pensiero irrealistico,  quando accadono, tenderemo a colpevolizzarci o a colpevolizzare. 
In presenza di un conflitto o di una persistente incomprensione abbiamo l’incubo che l’amore stia venendo meno. La verità è che il conflitto non solo è inevitabile, ma addirittura può diventare occasione privilegiata per   apprendere e accrescere così la nostra consapevolezza interiore e relazionale.  
Abbiamo scritto tanti anni fa che “innamorarsi è preferire l’altro/a tra tanti e che amare è preferire l’altro a sé stessi”. Per imparare ad amare così non basta tutta la vita.
Abbiamo bisogno di reggere la nostra solitudine, di essere liberi dall’altro per amarlo.
Abbiamo bisogno di integrità per poter gustare la profondità dell’amore.
In un tempo in cui viene  tolta la vita a colei o a colui  che si è amato abbiamo da recuperare la lezione dello straordinario  maestro di vita di Nazareth: imparare ad amare il prossimo. Prima  come noi stessi e poi più di noi stessi. E che non c’è amore più grande di questo: “dare la vita per amore”.

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Chiesa del Rosario: coperture di piastrelle in stato di degrado

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Dallo storico Nuccio Mulè, riceviamo e pubblichiamo

Preso atto di una mancata risposta degli organi competenti, relativa ad una prima lettera aperta, datata 20 gennaio 2022, con la quale si poneva all’attenzione la precarietà di un bene culturale di pregio nella Chiesa del Rosario di Gela, pongo per la seconda volta all’attenzione dei responsabili delle Istituzioni, la salvaguardia dello stesso bene culturale, oggi maggiormente in fase avanzata di degrado, che si trova ubicato sulla cuspide della torre campanaria della chiesa. Si tratta di due pregiate coperture di piastrelle di maiolica colorate in giallo e verde ramino aderenti l’una all’altra, disposte a squama di pesce alternativamente a formare un motivo a V capovolta, impiantate su un letto di malta; il tutto, oltre ad essere un esempio unico e originale di uso di maioliche dell’ultima produzione ottocentesca di fabbriche siciliane, rappresenta il retaggio di un’arte laterizia che si perde nella notte dei tempi.

Quindi un esempio raro di una pregiata arte antica di notevole valore, un’impronta di un luogo e di una civiltà siciliana, che purtroppo da tempo si trova in uno stato di degrado, probabilmente per mancanza di finanziamenti per il suo restauro nonostante che l’ottocentesca torre campanaria da più di vent’anni sia stata provvista di un ponteggio a tale fine. Da sottolineare che già alla fine degli anni ’80, le piastrelle erano state segnalate per la loro rilevanza in un articolo presentato in occasione del XIX Convegno internazionale della ceramica di Albisola, centro ligure di primaria importanza per la Storia della Ceramica, dalla Prof.ssa Salvina Fiorilla, medievista a livello regionale. Pertanto, per la seconda volta si sollecitano gli organi competenti a intervenire sollecitamente prima che di questo complesso artistico rimanga solamente un ricordo fotografico. E in merito sempre alla chiesa del Rosario, stavolta al suo interno, con la presente si vuole cogliere l’occasione per avere contezza della fine fatta da un affresco o forse una tela dell’Ottocento, che si trovava sul soffitto della navata, quasi sopra l’altare maggiore, opera del pittore locale Filippo Casabene (restauratore presso la Galleria Borghese di Roma) che ritraeva l’”Annunciazione” e che completava assieme agli attuali “Gesù risuscita Lazzaro”, “Gesù e l’Adultera” e “Gesù nel tempio fra i Dottori”, la serie dei quattro dipinti della navata. La sparizione, si spera non definitiva, risale all’ultimo restauro avvenuto intorno al 2010 quando oltre all’interno della chiesa furono restaurati anche i suoi dipinti.

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Lo sfogo amaro di chi vede bruciare la natura

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Torna il caldo e ricominciare a bruciare la natura. È accaduto oggi nella zona industriale. E si torna a vedere il fuoco divampare in ogni dove. Arriva in redazione lo sfogo amaro di Emanuele Sacco.

“Sono amareggiato”.
Sono le parole del segretario del gruppo “Gela che cambia”, Emanuele Sacco dipendente di una ditta della zona industriale Nord 2. “Ogni anno, quando torna la bella stagione- dice Sacco – è sempre la solita storia: la campagna brucia per colpa di persone incoscienti e senza scrupoli si distrugge la natura gli animali e tutto il resto e a volte, come successo l’anno scorso, anche qualche capannone. Vengono chiamati i vigili del fuoco e si ritorna sempre agli ‘stessi giri e stessa corsa’ finché non ci scapperà il morto ed in questo caso, che speriamo non si verifichi, non sarà facile individuare i responsabili.


Quando chiedi l’ intervento dei vigili del fuoco e ti dicono cosa sta bruciando?
La natura…
La sensazione è non venga percepito come cosa importante; tanto noi uomini non abbiamo bisogno della natura…”

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La scomparsa di Rosario Lanzafame, cittadino attivo: il ricordo dei figli

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“Il 5 maggio scorso si è spento Rosario Lanzafame conosciutissimo commerciante gelese. Con lui va via un pezzo di storia di Gela che perde una grande persona rispettosa ma soprattutto un instancabile lavoratore come pochi.

Il suo mondo era il suo lavoro e la sua famiglia, chiunque lo abbia conosciuto sa che era molto attivo nell’ambito del bene comune e della cosa pubblica, più volte infatti ha denunciato disservizi che poi sono stati prontamente ripristinati.

Persona buona ma sopratutto onesta, anni e anni di attività non hanno minimamente scalfito l’onorabilità del suo lavoro, tante persone si ricorderanno di lui come una persona di animo buono e dal cuore grande”.

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